“Tornerà presto il sole”, scriveva Carlo Bianchi ai propri familiari (la moglie Albertina, i tre figli piccoli, i genitori, i suoceri) dal carcere milanese di San Vittore. In realtà tale speranza per lui non si realizzerà e verrà fucilato a Fossoli il 12 luglio 1944 in un eccidio di massa che coinvolse altre 66 persone. La sua testimonianza tuttavia è rimasta viva e oggi splende più che mai.
Cresciuto nell’Azione cattolica della parrocchia milanese dei santi Nazaro e Celso, alla Barona, nella prima metà degli anni Trenta durante gli studi universitari partecipa attivamente alla vita della Fuci, conoscendo personalmente il presidente nazionale Igino Righetti e il giovane assistente, mons. Giovan Battista Montini.
Laureatosi in ingegneria nel 1935, entra nell’azienda paterna, una cartotecnica con annessa tipografia. Nel 1938 si sposa con Albertina Casiraghi e ben presto arrivano tre figli maschi.
In risposta ad un appello del 16 febbraio 1943 del card. Schuster, arcivescovo di Milano, Carlo Bianchi si dedica a tempo pieno per quanti sono più colpiti dalla guerra in corso e dai bombardamenti sulla città; riunisce i vecchi amici fucini e crea la “Carità dell’Arcivescovo”, un’opera assistenziale e caritativa, che garantiva anche assistenza medica e legale a coloro che ne avevano bisogno.
Accanto a Teresio Olivelli con “Il Ribelle”
Dopo l’8 settembre 1943 si inserisce nell’attività resistenziale con le Fiamme Verdi, accanto a Teresio Olivelli, occupandosi soprattutto della redazione e della diffusione della stampa clandestina, in particolare del foglio “Il Ribelle”, di cui usciranno 26 numeri tra il 5 marzo 1944 e il 16 giugno 1945, con una tiratura che raggiungeva anche le 15 mila copie.
E poi la “Preghiera del Ribelle”. Don Giovanni Barbareschi, del gruppo delle Aquile Randagie, ha scritto che «la famosa “Preghiera del ribelle” è stata quasi completamente composta dai miei amici Olivelli e Bianchi».
Carlo Bianchi. «Per un domani non solo di pane, ma di giustizia e di libertà» di Anselmo Palini – Editrice Ave, 2025
Nello stesso periodo Carlo Bianchi collabora attivamente con l’O.S.C.A.R. (“Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati”, poi divenuta “Organizzazione Soccorso Assistenza Collocamento Ricercati”), una realtà creata da alcuni sacerdoti, in particolare dal suo carissimo amico, già dai tempi della Fuci, don Andrea Ghetti-Baden, del gruppo scout delle Aquile Randagie, e da don Giovanni Barbareschi. Scopo dell’Oscar era favorire l’espatrio di quanti erano braccati dai nazifascisti.
Don Ghetti scriverà che «la figura più bella degli appartenenti all’O.S.C.A.R. è stata quella di Carlo Bianchi». Oltre duemila saranno le persone fatte espatriare dall’Oscar. Compito di Carlo Bianchi era quello di stampare i documenti falsi e i vari permessi che servivano per eludere i controlli nazifascisti.
Porre le basi di un mondo migliore
Consapevole dei rischi che correva, Carlo Bianchi continuò nella propria attività per porre le basi di un mondo migliore. Il 27 aprile 1944 a seguito di una delazione viene arrestato, assieme a Teresio Olivelli, in piazza San Babila a Milano e tradotto a San Vittore, dove, con gli altri amici del Ribelle, nel frattempo a loro volta arrestati, organizza una sorta di cenacolo culturale e spirituale, un luogo di preghiera e di confronto.
Con il trasferimento nel lager di Fossoli, il cenacolo si arricchisce della presenza di Odoardo Focherini, amministratore del quotidiano cattolico bolognese l’Avvenire d’Italia, arrestato per avere organizzato una rete che favoriva l’espatrio degli ebrei.
Le lettere che Carlo Bianchi invia, da San Vittore e da Fossoli, agli anziani genitori e alla moglie Albertina, testimoniano la sua grande fiducia in Dio e la serenità per le scelte fatte, oltre all’amore per tutti i suoi familiari e per i “tre crapini”, come chiamava i suoi figli.
Il 12 luglio 1944 Carlo Bianchi e altre 66 persone vengono fucilate in un eccidio di massa motivato come rappresaglia per un attentato in cui a Genova avevano perso la vita sette soldati tedeschi. In realtà tale eccidio fu probabilmente la volontà di decapitare la Resistenza attiva nel nord Italia con l’eliminazione dei suoi maggiori esponenti detenuti a Fossoli
Mettersi a seminare il bene contrastando il male con il bene
Quaranta giorni dopo la morte di Carlo Bianchi, la sua famiglia si arricchisce con la nascita di Carla, tuttora impegnata a far sì che il sacrificio di suo padre, che non ha potuto conoscere, e di tanti come lui non sia dimenticato.
Dieci mesi dopo l’eccidio vi sarà l’esumazione delle salme grazie alle ricerche del luogo di sepoltura, una fossa comune, a cura di Angelo Bianchi Bosisio, amico fraterno di Carlo Bianchi fin dai tempi della Fuci.
E sul Ribelle del maggio 1945 appare uno struggente articolo di Claudio Sartoni dal titolo “Chi manca?” dove si ricorda in particolare Carlo Bianchi.
Ha osservato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini durante una cerimonia al campo della Gloria del Cimitero maggiore di Milano il 16 aprile 2019, cui partecipò anche il sindaco Sala: «Carlo Bianchi ha affrontato la prova estrema perché sapeva di poter contare sulla potenza e misericordia di Dio. Ci ha indicato che c’è un modo speciale dei cattolici e di tanti uomini e donne di buona volontà di reagire e di aggiustare il male, che è mettersi a seminare il bene contrastando il male con il bene. Quando una cosa è storta, è meglio mettere mani all’impresa per raddrizzarla. Prendiamo spunto da Carlo Bianchi e da tanti altri che hanno dato la vita perché anche noi, per ciò che ci compete, cerchiamo di mettere mano all’impresa»