Quando un/una leader prende la parola, non sta solo comunicando un messaggio: sta incarnando i valori e la visione dell’azienda, con il potenziale di trasformare il proprio ruolo in un punto di riferimento riconoscibile, capace di tradurre in modo trasparente le fondamenta dell’organizzazione.
Se gestito bene, questo tipo di visibilità – che va sotto il nome di thought leadership – permette di rafforzare e aumentare la reputazione, generare interesse da parte di clienti e investitori e stimolare la crescita, favorendo le opportunità commerciali.
Come emerge anche dallo studio High Growth 2024 del Hinge Research Institute, le aziende che crescono più rapidamente non si limitano a promuovere i propri servizi, ma si impegnano nel costruire una comunicazione basata:
- sulla thought leadership e il personal branding dei/delle leader
- sul racconto chiaro del valore unico che offrono, sia attraverso la voce del brand sia attraverso i propri executive
- sull’utilizzo di contenuti informativi (articoli, podcast, studi) come strumento per educare il pubblico e posizionarsi autorevolmente.
- sull’empatia e il riconoscimento delle reali esigenze del proprio pubblico target
In questo modo la comunicazione del/della leader diventa un’estensione coerente della strategia aziendale, capace di generare valore reale e relazioni più solide con il mercato.
Attraverso interviste, interventi pubblici o post sui social media, il leader può creare quindi una narrazione che mette in luce l’impegno dell’azienda – verso clienti, collaboratori, investitori – e allo stesso tempo stimolare discussioni e relazioni con i propri interlocutori.
Tuttavia, esistono momenti nei quali esporsi con continuità può risultare controproducente.
In caso, ad esempio, di crisi reputazionale, ristrutturazioni interne o situazioni delicate, la comunicazione del leader va calibrata con estrema attenzione: è opportuno che a guidare questo processo, magari in forma indiretta, siano i/le PR, con il compito di preparare il terreno con risposte allineate agli obiettivi.
Si rischia, infatti, di pagare un prezzo alto se le parole dei C-Level vengono percepite come sorde al contesto circostante.
Il media training
A questo punto emerge la naturale necessità del media training: non si tratta di insegnare ripetizioni di risposte perfette e costruite come se fossero slogan, ma di affinare la capacità di rispondere a domande difficili, gestire l’attenzione dell’intervistatore e tornare sui propri messaggi principali, senza essere sopraffatti dall’imprevisto.
Anche i leader più esperti infatti traggono beneficio da un percorso strutturato di media training.
Un percorso ben strutturato permette di acquisire strumenti pratici per affrontare interviste, eventi pubblici e comunicazione sui social media, senza improvvisazione e superficialità.
Le competenze che un/una executive può sviluppare attraverso il media training includono:
- la capacità di sintetizzare messaggi chiave in modo chiaro e incisivo;
- il controllo del linguaggio del corpo e della voce per trasmettere sicurezza e affidabilità;
- la gestione di domande complesse o provocatorie senza perdere coerenza;
- la familiarità con il funzionamento dei media e delle dinamiche giornalistiche;
- la prontezza nel rispondere anche in situazioni di crisi o forte esposizione.
Al centro di tutto il percorso c’è l’allenamento alla consapevolezza: sapere “come” si comunica è tanto importante quanto conoscere “cosa” si comunica.
Per questo motivo, il supporto di professionisti esterni – come un’agenzia PR – non è solo consigliabile, ma necessario per trasformare la comunicazione del/della leader in un reale vantaggio competitivo.
Alcuni errori più comuni
Gli errori più frequenti in questi contesti sono spesso sottovalutati: si va dall’abuso di tecnicismi che rischiano di disorientare chi ascolta, a interventi eccessivamente centrati su se stessi, passando per un uso improprio di supporti visivi o una preparazione poco approfondita.
Anche piccole disattenzioni, come l’utilizzo di parole riempitive o un tono disallineato, possono compromettere la fiducia del pubblico e rendere inefficace il messaggio.
Nella relazione con i giornalisti, invece, alcuni comportamenti rischiano di rovinare il rapporto: inviare comunicati indistinti e autoreferenziali, ignorare le esigenze editoriali o forzare un’agenda comunicativa senza una reale rilevanza, sono tra gli scivoloni più comuni.
Tutti questi rischi rafforzano l’idea che il media training non sia una formalità da affrontare una tantum, ma un investimento continuo per lavorare su come questi messaggi prendono forma, in quali contesti, con quale linguaggio del corpo e con quali strumenti.
Un’agenzia può accompagnare il/la leader anche nella pianificazione della presenza pubblica, nella definizione dei momenti opportuni per intervenire e nella misurazione dei risultati ottenuti in termini di engagement, copertura mediatica e impatto sulla percezione esterna.
Un/una leader preparatə è, a tutti gli effetti, un elemento di coesione tra ciò che l’azienda è internamente e ciò che comunica verso l’esterno.
Senza questa preparazione, ogni uscita pubblica rischia di trasformarsi in un’occasione persa o, nel peggiore dei casi, in un boomerang.
Con il giusto supporto e una visione chiara della propria esposizione, anche la comunicazione più complessa può diventare uno strumento di costruzione identitaria e di relazione efficace con il pubblico.