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10 Luglio, 2025

Database relazionali: perché sono utili per affrontare le sfide future

Database relazionali: perché sono utili per affrontare le sfide future
  • Nonostante l’evoluzione tecnologica, i database relazionali restano fondamentali per solidità e coerenza dei dati.
  • Una buona modellazione consente di delegare al DBMS funzioni critiche, riducendo codice, errori e complessità.
  • Le architetture cambiano nel tempo, ma le sfide su consistenza e coerenza dei dati restano attuali.
  • Ogni DBMS adotta approcci diversi: non si tratta di scegliere “il migliore”, ma “quello giusto per il contesto”.
  • I DBMS multi-modello, che permettono di gestire nello stesso sistema dati tabulari, documentali e a grafo, sono certamente promettenti.
  • Un approccio solido, pragmatico e ben progettato è ancora la chiave per innovare con intelligenza.

 Molto è cambiato nel modo in cui gestiamo i dati, ma una cosa è rimasta stabile: il ruolo centrale dei database relazionali. Nonostante l’emergere di modelli alternativi e architetture distribuite, il rigore logico alla base di SQL continua ad offrire solidità e coerenza, soprattutto nelle applicazioni di natura commerciale. 

In RES ci lavoriamo dagli anni ’80, a partire dai primi progetti IBM su DB2. Oggi, in un contesto che include cloud, Big Data e sistemi ibridi, vediamo chiaramente cosa funziona, cosa no e dove si sta andando. 

Una buona modellazione fa ancora la differenza 

Fin dagli anni ’80, quando la modellazione dei dati seguiva un’impostazione matematica rigorosa (formalizzata da Edgar F. Codd e Christopher J. Date), chi non aveva le competenze necessarie per costruire uno schema coerente e normalizzato si trovava presto a fare i conti con problemi funzionali e prestazionali. 

Oggi la potenza dei sistemi tende a mascherare questi errori. Ma questo non significa che il rigore non serva più: al contrario, molte applicazioni contemporanee rinunciano a sfruttare pienamente le potenzialità del database, spostando funzioni logiche sull’applicazione. Il risultato? Più codice, meno efficienza, maggiore fragilità. 

Chi progetta correttamente il modello dati può invece delegare al DBMS molte funzionalità fondamentali (controlli di integrità, aggregazioni, ordinamenti, relazioni complesse), ottenendo prestazioni migliori e sistemi più semplici da mantenere. 

L’evoluzione tecnologica dei DBMB ha cambiato le regole, ma non i fondamenti 

Rispetto agli anni in cui le risorse computazionali erano estremamente limitate, oggi possiamo “permetterci” di sbagliare di più. Un disegno dati incoerente raramente blocca un sistema moderno. Tuttavia, i problemi si manifestano altrove: aumento della complessità, difficoltà nella diagnosi degli errori, codice ridondante, costi più alti nel tempo. 

Una buona modellazione consente invece di ottimizzare la struttura, ridurre le dipendenze, migliorare la scalabilità. Non è un esercizio accademico: è la base per costruire applicazioni robuste, stabili, comprensibili. E, cosa non trascurabile, più semplici da evolvere. 

Il cloud non cambia la logica, ma cambia le architetture dei DBMS

La transizione al cloud non ha cambiato il funzionamento interno dei DBMS, ma ne ha profondamente trasformato l’architettura: distribuzione geografica, replica, ridondanza, comunicazione tra database separati. 

Sono sfide che i DBMS moderni hanno imparato ad affrontare, ma che richiedono attenzione e progettazione. Le correlazioni tra entità distribuite, ad esempio, impongono riflessioni sul modo in cui modellare e interrogare i dati. 

Chi ha familiarità con le logiche distribuite sa che le difficoltà non stanno nella scrittura di una query, ma nella garanzia che i dati siano coerenti, accessibili e aggiornati al momento giusto. Tutti temi che non si risolvono automaticamente con il passaggio al cloud. 

Modelli alternativi ai DBMS: perché esistono e quando usarli? 

I database relazionali non sono gli unici esistenti, e non sono sempre la scelta migliore. Alcune applicazioni non hanno bisogno di gestire relazioni complesse tra dati, e in quei casi può essere più efficiente usare altri modelli. 

È il caso dei database key-value come MongoDB: sistemi in cui ogni record è un documento indipendente, privo di relazioni con gli altri. Questo approccio è molto efficiente in scenari dove si lavora con oggetti isolati o strutture flessibili. 

Esistono poi i database a grafo, utili quando le relazioni tra i dati sono l’elemento centrale – come nel caso di reti, dipendenze, mappe logiche. Qui entra in gioco un altro modello matematico, con linguaggi di interrogazione non ancora standardizzati. 

Infine, i DBMS multi-modello cercano di unire questi approcci. Alcuni sistemi recenti supportano sia dati relazionali che documenti e strutture a grafo. Sono ancora acerbi, ma offrono prospettive interessanti, soprattutto per chi lavora su applicazioni ibride. 

La distribuzione dei database: un problema ancora aperto 

Quando un database è distribuito su più macchine, entra in gioco una complessità notevole: come si garantisce la consistenza? Come si ottimizzano le query? Come si gestisce il fallimento parziale di un nodo? 

Oggi esistono numerose strategie, ma nessuna soluzione definitiva. Ogni DBMS adotta approcci diversi, con vantaggi e compromessi. Non si tratta di scegliere “il migliore”, ma “quello giusto per il contesto”. 

Questo significa che il ruolo dell’architetto di sistema è più importante che mai. La scelta dell’infrastruttura DB incide direttamente su prestazioni, affidabilità e costi futuri. E non può essere delegata a uno strumento automatico. 

Il futuro? Sistemi multi‑modello e maggiore consapevolezza progettuale 

Una delle direzioni più promettenti è rappresentata dai DBMS multi-modello, che permettono di gestire nello stesso sistema dati tabulari, documentali e a grafo. Oggi sono agli inizi: spesso poco efficienti, ancora lontani dalla maturità dei DB relazionali. Ma se evolveranno, potranno ridurre drasticamente la complessità architetturale delle applicazioni che usano più modelli in parallelo. 

Un vantaggio significativo? Evitare di dover orchestrare più DB diversi per rappresentare dati con strutture differenti, mantenendo consistenza e integrità senza duplicare logiche e infrastrutture. 

Nel frattempo, la capacità di progettare bene resta centrale. Capire che tipo di dati si gestiscono, quali sono le esigenze applicative, quanto è importante la performance rispetto alla flessibilità: sono domande che ancora nessuna tecnologia può sostituire. 

Conclusione 

Il cambiamento è costante, ma non tutto deve essere reinventato. Alcune fondamenta – come una buona architettura dati – reggono nel tempo e si adattano al nuovo. 

Per questo continuiamo a credere che un approccio solido, pragmatico e ben progettato resti la chiave per fare innovazione con intelligenza. 

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Federica Squaiella