NEET: l’Acronimo che racconta una generazione ferma

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NEET: Not in Education, Employment or Training

Ci sono parole che non nascono per spiegare, ma per contenere.

NEET è una di queste.
Tre sillabe, una sigla inglese — Not in Education, Employment or Training — per raccontare il vuoto di una generazione.
Ma è davvero solo una parola tecnica?

Nel 2025, in Italia, i Neet sono più di 2 milioni. La fascia 15-29 anni ne contiene il 15,2%. Peggio di noi, in Europa, c’è solo la Romania (19,4%).
La media UE è 11%. L’obiettivo per il 2030 è 9%.
Siamo ben lontani.

Neet non vuol dire “sfaticati”

Spesso, quando se ne parla, si cade nella semplificazione.
Come se fossero tutti uguali: giovani svogliati, passivi, incapaci di adattarsi.
Ma basta un giro tra amici per capire che non è così.

Ilaria, 35 anni, ex visual merchandiser. Dopo i tagli della sua azienda, ha scelto di non accettare lavori che considera vuoti. Aspetta qualcosa che la rappresenti.
Matteo, 42 anni, ex grafico freelance. Ha detto basta a una vita di rincorse senza riconoscimenti. Ora è fermo, più per dignità che per pigrizia.
Flavio, dopo anni nel lusso, ha preso una buonuscita, si è concesso un viaggio, e poi il silenzio: candidature, CV, video… Nessuna risposta concreta.

Dedalo: un osservatorio per capire

A mappare con precisione questa complessità è il Progetto Dedalo, lanciato da Fondazione GiGroup con Istituto Toniolo, Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo.

Dedalo dice che i Neet non sono un gruppo omogeneo, ma un arcipelago con sette isole, racchiuse nell’acronimo MADEI:
Marginalizzazione, Ansia, Disillusione, Entitlement, Idea di lavoro.

I sette volti dei Neet

  • Libertini – cercano la libertà prima di tutto. Si godono il tempo sospesi, senza ansie da prestazione.
  • Disillusi – arrabbiati col sistema. Sentono di essere stati usati e traditi.
  • Pretenziosi – sanno cosa vogliono e non scendono a compromessi.
  • Pit-stopper – si sono presi una pausa. E la rivendicano come spazio di riflessione.
  • Fragili – ansia, insicurezza, paura di fallire. A volte serve più uno psicologo che un recruiter.
  • Ritirati – spesso donne, madri o caregiver. Danno priorità alla famiglia, ma desiderano ricominciare.
  • Disorientati – sanno fare mille cose, ma non sanno cosa scegliere. E allora si fermano.

L’anomalia italiana

Una delle distorsioni più evidenti è di genere.
Le donne Neet sono molte di più degli uomini, soprattutto tra i 30 e i 34 anni: 31,5% contro 15,2%.
Le cause? Maternità, cura dei familiari, mancanza di supporti.

Le donne italiane che lavorano e hanno figli sono solo il 57,3%.
Ultimi in Europa.

Le donne sono anche il 20,6% tra chi è Neet per “responsabilità familiari”.
Per gli uomini, questa quota è appena del 2,4%.
Non si tratta solo di dati: è la fotografia di un Paese che dà per scontato che il lavoro di cura sia gratuito e femminile.

Ma i Neet sono davvero “persi”?

No. Non tutti almeno.
Dedalo distingue:

  • In transizione (8,9%)
  • Scoraggiati (11,2%)
  • Disoccupati da oltre un anno (14%)
  • Disoccupati da meno di un anno (11,4%)

Molti sono fermi, sì, ma in attesa. In attesa che qualcuno apra una porta.
O almeno una finestra.

Le 5 proposte di Dedalo per invertire la rotta

  1. Rafforzare il ponte tra scuola e lavoro
  2. Legare l’obbligo scolastico a un titolo di studio vero
  3. Potenziare l’istruzione terziaria
  4. Incentivare la partecipazione con percorsi personalizzati
  5. Monitorare i percorsi di studio e lavoro lungo tutta la vita

“Come Paese non possiamo permetterci di lasciare soli più di due milioni di giovani”, dice Chiara Violini, presidente di Fondazione GiGroup. “Dilapidare questo capitale umano è un danno per tutti.”

Il linguaggio dei Neet

Tornando alla parola: NEET.
Un termine freddo, burocratico.
Come se si potesse racchiudere la fatica, l’attesa, la paura e il desiderio in un acronimo.

Ma dietro quella parola si agitano vite reali, che chiedono più ascolto che giudizio.
Neet non è solo chi non lavora.
È chi, a volte, non viene messo in condizione di scegliere.

In un mondo dove le parole pesano, chiamarli “inattivi” è un altro modo per lasciarli ai margini.

Conclusione

Il problema dei Neet non è solo economico. È culturale, linguistico, sociale.
Serve un nuovo sguardo.
Serve una nuova parola.

O forse serve solo tornare a chiamarli per nome.

Fonti:

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Red