A quel pozzo - Azione Cattolica Italiana

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Siamo ad un pozzo. A quel pozzo. Lì dove sta la Samaritana, lì dove arriva Gesù.

Come giovani di AC in questi giorni ci siamo accostati a quel pozzo insieme agli oltre 3.000 giovani che con noi hanno vissuto le catechesi organizzate in collaborazione con il Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile. Affianco a quel pozzo c’è un cartello con una parola molto conosciuta, troppo spesso sottovalutata, spesso rifuggita: responsabilità. Una parola cara in associazione e che, a primo impatto, potrebbe sembrare quasi un fardello, un “dover fare”, ma che, nel profondo, si è rivelata in questi giorni una chiamata all’amore, un eco dello sguardo di Cristo che irrompe nella nostra quotidianità.

A quel pozzo siamo stati condotti per mano da giovani testimoni e tre vescovi, che insieme hanno cercato di prenderci per mano e farci sentire gli odori, i sapori, i rumori di quello scorcio di Vangelo.

La ferialità incisa dallo sguardo

A quel pozzo, il sole picchia sulla nostra pelle, sentiamo la sabbia calda sotto i piedi, e nell’aria si mescola il profumo secco della terra e quello pungente della fatica. Gesù arriva e si avvicina alla Samaritana non per imporre, ma per desiderare, per rivelare che Dio ha sete di incontrare proprio lei, con la sua storia, le sue fatiche, la sua vita “banale”. Dio ha sete di incontrare Cristiano, nel suo essere lavoratore fuori sede che ogni settimana deve gestire il bucato e sistemare la casa; ha sete di incontrare Giovanni, nel suo studio appassionato prima dell’esame di stato, con il bruciore degli occhi stanchi; ha sete di incontrare Lucia, nel suo servizio di educatrice parrocchiale dell’ACR, tra le risate cristalline dei bambini e il calore di un abbraccio sincero. 

Ma quante volte, specialmente noi giovani, abbiamo la tentazione di sfuggire alla monotonia del quotidiano con diversivi che finiscono per essere ancora più vuoti? E invece, è proprio in questa ferialità, come quella che ha contraddistinto l’esistenza di un giovane straordinariamente normale come Pier Giorgio Frassati – coi suoi conflitti che bruciavano dentro, i suoi studi che sapevano di inchiostro e fatica, le sue sigarette che lasciavano un retrogusto amaro – che Dio ci attende. Non un giovane “lunare”, ma uno che ha permesso alla sua quotidianità di essere il luogo dell’incontro con il Signore.

Lo sguardo che genera la scelta

A quel pozzo, sotto un cielo ampio e chiaro, ciò che trasforma la donna è lo sguardo di Gesù. È uno sguardo che si sente sulla pelle, come una carezza inaspettata, che fa sciogliere i nodi alla gola e riscalda il cuore. L’essere vista, riconosciuta e amata da Lui. Ed è questo il punto cruciale: quando pensiamo alla responsabilità sociale e politica, spesso ci concentriamo su “cosa dobbiamo fare noi”, quasi un peso da portare, che affatica le spalle. Ma l’incontro con la Samaritana ci ricorda che la responsabilità non nasce da un’imposizione esterna, da un ordine secco, ma dal rispondere a uno sguardo di amore gratuito. Un amore che irrompe per me, ma anche per l’altro, e che si sente come un gusto nuovo in bocca, quello della gratitudine. È come ha testimoniato Antonino Adragna, vice giovani di Trapani, quando il suo amico gli ha chiesto perché va a Messa ogni settimana: per gli amici troviamo il tempo. E per Gesù? “Non posso andare a fare servizio,” ha detto Nino, con la voce carica di convinzione, “senza essere stato riempito dalla Sua Parola, dall’Eucaristia”. La responsabilità, allora, non è un’azione fine a se stessa, un semplice elenco di compiti, ma la gratitudine concreta per quell’amore ricevuto, che si manifesta nel sapore dolce del dono di sé.

La pazienza della relazione e la sete autentica

Il dialogo con la Samaritana è lento, paziente. Si percepisce il tempo che scorre, il silenzio riempito da parole che pesano, che lasciano un segno profondo, come il suono dell’acqua che si raccoglie goccia a goccia. Gesù irrompe, sì, ma lei prende coscienza di sé e di Lui passo dopo passo. Questa lentezza, questa pazienza, è un richiamo potente per noi. Spesso pensiamo che la fede sia un “tutto e subito”, o ce l’hai o non ce l’hai, come un interruttore che si accende o si spegne. Invece, come ci ha ricordato il cardinal Repole, la fede è relazione viva con il Signore, e come ogni relazione profonda, richiede tempo, silenzio, ascolto. Richiede di maturare, come un frutto che matura lentamente sotto il sole. La logica mondana del “tutto subito” non si addice alle cose profonde della vita, né alla fede né ai legami autentici, che hanno un loro ritmo e una loro melodia. Abbiamo sete di un’acqua che ci disseti per sempre, e questa sete non è solo spirituale, ma si riflette anche nei nostri rapporti sociali e politici. Sentiamo la gola secca per la sete di relazioni diverse, capaci di accogliere chi sbaglia senza condannarlo per sempre, permettendogli di riprendere il cammino. Abbiamo sete di un mondo in cui i giovani possano sbocciare senza che questo sia un problema, ma una benedizione che ha il sapore fresco della novità. Abbiamo sete, come suggeriva Cecilia Ricci, consigliera comunale di Imola, di una società capace di prendere le distanze dall’idea che la politica sia qualcosa di “sporco”, che lascia un retrogusto amaro. La politica è la possibilità di vivere relazioni diverse, di tessere una trama di bene per la comunità, che ha il profumo della speranza.

Sete di incontro e comunità

Ma quel pozzo è anche luogo di ristoro. Si sente il rumore dell’acqua che viene attinta, un suono che disseta l’anima prima ancora del corpo. Gesù arriva stanco e chiede una cosa semplice: acqua. Niccolò Anselmi, vescovo di Rimini, ha sottolineato come quella stessa sete tornerà sulla Croce, un grido che ancora risuona nei nostri cuori. Ma qui, al pozzo, è la sete dell’incontro, la passione del Signore per lo straniero, per il diverso. Quella sete che in questi giorni anima gli occhi lucidi di tanti giovani passati per questa piazza, quella sete che anima anche noi e che ci incuriosisce di fronte ai gruppi che provengono da tutta Italia e dal mondo, portando con sé gli accenti e le storie più diverse. La Samaritana, dopo aver incontrato Gesù, abbandona tutto per andare dai suoi e chiedere: “Dite che sia lui il Messia?”. Non impone, non dice “so chi è Gesù, vieni con me”, con un tono perentorio, ma piuttosto invita a scoprire insieme, a capire se è davvero Lui, con la curiosità viva che apre al futuro. Il vescovo Claudio Giuliodori, parlandoci dell’elogio della sete di Tolentino Mendonça, ci ha raccontato una sete che c’entra con la chiamata all’amore che il Signore fa a ciascuno di noi, un amore che risuona come una melodia dolce nell’anima. E Matteo Bovarini, neolaureato dell’Università Cattolica, ha condiviso la saggezza di un anziano signore: le relazioni sono la parte più importante che rimarrà nel tempo. Non è forse questa la vera responsabilità? 

Curare i legami, rispondere allo sguardo d’amore che ci raggiunge e portarlo agli altri, nella quotidianità e nell’impegno per una società più giusta e umana, dove ogni incontro ha il sapore del pane spezzato e condiviso.

Recapiti
Sofia Livieri