Una delle argomentazioni che si sentono più di frequente da parte degli oppositori del nucleare è che lo stesso sarebbe ormai in via di abbandono da parte dei Paesi occidentali. Che in qualche modo la via delle rinnovabili sarebbe ormai stata scelta da tutti e che l’Italia, decidendo di tornare a investire sull’atomo, opererebbe una scelta in controtendenza.
In realtà le cose non stanno proprio così: fino al 2023 l’Italia era in effetti l’unico paese al mondo ad aver chiuso anticipatamente il proprio programma nucleare. Nel 2023 è entrata in questo club piuttosto esclusivo anche la Germania, e fino a qualche anno fa avevano manifestato intenzioni analoghe anche Belgio, Spagna e Svizzera.
Le cose però sono rapidamente cambiate negli ultimi tre anni. In parte a causa della guerra in Ucraina, che ha dimostrato al mondo che sistemi energetici basati su fonti intermittenti, quali solare ed eolico, richiedono l’integrazione con altre fonti complementari, caratterizzate da alta flessibilità e basso CAPEX – il che si traduce in gas naturale, con tutti i problemi che questo comporta in termini di dipendenza; e in parte proprio a causa dello spettacolare fallimento della Energiewende (la transizione energetica) tedesca, che è costata allo Stato diverse centinaia di miliardi, ma non ha prodotto risultati apprezzabili né in termini di riduzione delle emissioni (l’intensità carbonica della produzione di elettricità in Germania continua ad essere 10 volte superiore a quella francese) né in termini economici – la Germania ha chiuso il 2023 e il 2024 in recessione, e la causa è proprio la crisi della manifattura, dovuta ai costi troppo alti dell’energia. Non proprio un bellissimo spot per chi ha decantato per decenni i bassi costi delle rinnovabili, solitamente guardando solo al lato della produzione e non a tutto il sistema.
Così, se in Germania il cancelliere in pectore Merz promette uno studio del dossier nucleare per valutare una possibile riapertura delle centrali, gli altri Paesi iniziano a sfilarsi dalla crociata contro l’atomo: in Spagna è stata approvata una mozione parlamentare (per ora non vincolante) per cancellare l’uscita dal nucleare (prevista tra il 2028 e il 2035); in Belgio, dove tre dei sette reattori sono già stati chiusi, due di quelli ancora operativi hanno ricevuto un’estensione di licenza almeno fino al 2035 (il governo sta negoziando per ulteriori 10 anni); in Svizzera, l’uscita del nucleare non avverrà almeno fino a quando i reattori esistenti potranno operare in sicurezza, e si è ripreso a discutere di costruirne di nuovi.
Persino un paese storicamente anti-nucleare come la Danimarca sta valutando se cancellare la moratoria contro il nucleare prevista dalla legge danese – sarà che la Danimarca ha uno dei tassi di dipendenza energetica più alti al mondo, e quindi dei prezzi dell’elettricità in bolletta particolarmente alti.
La situazione è quindi quella dei Paesi storicamente meno entusiasti dell’atomo in preda ai ripensamenti, mentre il blocco opposto sembra essere più che mai convinto delle sue scelte: la Francia, nonostante i ritardi e i sovracosti del reattore di Flamanville-3, sta scegliendo i siti per 6 nuovi reattori (che porterebbero il numero totale a 63, più di uno per milione di abitanti); la Svezia ha dichiarato che vuole 10 GW di nuova capacità installata, la Repubblica Ceca ha assegnato l’appalto per due nuovi reattori ai coreani di KHNP, mentre la Polonia costruirà la sua prima centrale con tecnologia americana Westinghouse; la Romania, unico paese in Europa ad utilizzare la tecnologia canadese di reattori ad acqua pesante, sta studiando un meccanismo di finanziamento per due nuove unità; Slovenia e Croazia studiano un raddoppio della centrale di Krsko (situata in territorio sloveno, ma formalmente di proprietà comune); l’Ungheria ha già iniziato la costruzione di nuovi reattori a Paks (di tecnologia russa) e l’UK oltre a proseguire col progetto di Sizewell C ha messo in cantiere una legge per velocizzare i progetti nucleari.
Persino l’Italia, sebbene con cautela, sembra intenzionata a dotarsi di una normativa che riapre al nucleare – la legge delega è stata approvata in Consiglio dei ministri e passerà ora alla discussione parlamentare. Anche a livello europeo il nucleare è stato incluso nella Tassonomia della Finanza Sostenibile, nel Net-zero industry act (come tecnologia strategica) e sarà probabilmente incluso tra le tecnologie chiave per lo sviluppo della filiera dell’idrogeno.
Il rischio, d’altra parte, è quello di restare indietro rispetto al resto del mondo: il report presentato dal DOE alla presidenza degli Stati Uniti a novembre parla esplicitamente di un fabbisogno pari a 200 nuovi reattori, per rilanciare la produzione industriale e attirare investimenti sull’AI, e la presidenza Trump sembra intenzionata a mantenere alto il focus sulla produzione energetica.
Il Canada ha già in costruzione nuovi reattori, e nuovi piani di sviluppo nucleare sono stati recentemente annunciati anche da Argentina e Giappone. Al momento della stesura di questo articolo, ci sono 63 reattori nucleari in costruzione nel mondo, oltre la metà dei quali in Cina: tra reattori pianificati e proposti la Cina potrebbe avere nel 2040 la stessa potenza nucleare installata di tutto il resto del pianeta, e già si manifesta una competizione con la Russia per la fornitura di know-how e tecnologia ai Paesi africani e asiatici, i quali a loro volta si stanno affacciando a questo settore.
Chi parla di una storia già scritta e in declino, dunque, sbaglia di grosso; ma lo stesso fa chi pensa che solo le tecnologie future e in via di sviluppo siano la chiave per il progresso tecnologico e la sicurezza energetica. L’urgenza della riduzione delle emissioni climalteranti e l’esigenza di una rapida re-industrializzazione europea impone la considerazione di tutte le tecnologie nucleari disponibili sul mercato: escludere un qualunque sottoinsieme è indice di grave miopia. Il trend mondiale ormai è chiaro: le politiche 100% rinnovabili hanno fallito e l’acquisto di gas a basso costo da Paesi autocratici in cambio della chiusura di entrambi gli occhi di fronte alle politiche imperialiste degli stessi si è rivelata una pessima idea.
Ora è il momento di dare all’atomo una possibilità, e per farlo seriamente non basta investire su qualche progetto pilota basato su qualche tecnologia sperimentale: serve un piano Messmer europeo, che entro il 2040 ci porti ad essere completamente autosufficienti e in grado di riportare nel nostro continente le industrie che sono fuggite, i cervelli che sono scappati e i capitali che sono stati investiti altrove.
Luca Romano è laureato in Fisica (curriculum Astrofisica e Fisica teorica) presso l’Università di Torino e consegue successivamente un master in Giornalismo scientifico e Comunicazione della Scienza presso lo IUSS di Ferrara. Nel 2020 ha aperto la pagina Facebook L’Avvocato dell’Atomo nel tentativo di rivoluzionare l’approccio all’ambientalismo e riportare il tema del nucleare nel dibattito pubblico. Nel 2022 pubblica L’avvocato dell’atomo. In difesa dell’energia nucleare, Fazi Editore.
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