Intervista ad Andrea Coccia, direttore responsabile della rivista che racconta la contemporaneità a fumetti.
di Rachele Cassoli
In un’epoca in cui le notizie ci travolgono e il dibattito pubblico si consuma in pochi minuti tra titoli urlati, c’è una rivista che va in direzione diversa. La Revue nasce nel 2022 e da allora racconta la contemporaneità con inchieste e reportage a fumetti, offrendo uno spazio di informazione rigorosa, che si prende i propri tempi ed è capace di riflettere su temi che il giornalismo tradizionale spesso ignora.
Esce quattro volte l’anno, un numero per ogni stagione, e propone ogni volta storie diverse per stile e argomenti, ma unite da uno sguardo attento, empatico e documentato. Ne abbiamo parlato con Andrea Coccia, il direttore responsabile, per capire meglio com’è iniziata questa avventura editoriale, che nel 2024 ha incrociatto la sia strada con il gruppo Fandango che da gennaio è promossa da PDE, e dove sta andando.
Com’è nata l’idea di una rivista di informazione e reportage giornalistici sotto forma di graphic novel?
In realtà l’idea l’abbiamo presa in prestito dalla Francia. Per i primi dieci numeri infatti ci chiamavamo La Revue Dessinée Italia, proprio perché il progetto originale esisteva già dal 2013 ed è un vero punto di riferimento oltralpe: ha ventimila abbonati ed è una realtà veramente enorme. L’idea di portarla in Italia è venuta a Massimo Colella, che oggi è il nostro direttore di pubblicazione. Lui vive a Parigi, era un lettore appassionato dell’edizione francese e durante il lockdown ha pensato: “Facciamola anche in Italia”. Così ci siamo incontrati: lui aveva già coinvolto due amici del collettivo Mammaiuto, fumettisti e fumettiste di La Spezia e insieme abbiamo deciso di provarci davvero. Abbiamo lanciato un crowdfunding per fondare la società e finanziare il primo numero ed è andata molto bene, Abbiamo raccolto abbastanza per coprire i costi iniziali e partire con un anno di anticipo sulle uscite, perché ogni storia ci richiede un anno intero di lavoro. Il primo numero è uscito a giugno del 2022.
E in che modo vi distinguete dal giornalismo tradizionale?
Innanzitutto siamo senza pubblicità, che nel panorama giornalistico è già una cosa abbastanza rara. E poi siamo una rivista interamente a fumetti, cosa che in Italia non esisteva prima. Credo, però, che il vero elemento distintivo sia il nostro modo di trattare l’attualità. I quotidiani vivono nel tempo del “qui e ora”: raccontano quello che è successo oggi, a volte ieri, ma se succede domani non fa notizia. Questo porta a un flusso continuo di breaking news, che invecchiano in fretta. Dopo una settimana, nessuno si ricorda più di cosa si parlava. Il dibattito è veloce, spesso violento. Noi, invece, dovendo lavorare con un anno di anticipo, possiamo permetterci di concentrarci su dinamiche più profonde, su questioni strutturali che ci riguardano tutti, ma che i giornali trattano solo quando succede una tragedia. Queste cose fanno della Revue un prodotto unico, sia nel settore del fumetto, ma anche in quello del giornalismo. Questa “distanza” ci permette di evitare le polemiche e i toni aspri, sarcastici, cattivi. Molte lettrici e molti lettori condividono questa sensazione di avvelenamento. Ecco La Revue è una sorta di antidoto all’informazione tossica. È una baia riparata dentro la quale informare con calma e empatia, perché il fumetto permette anche questo.
All’interno di ogni numero de La Revue, convivono stili figurativi e narrativi molto diversi, tra loro tematiche molto varie che spazzano dall’attualità al reportage all’impegno sociale. Come avviene la selezione delle persone con cui collaborate e dei temi da trattare?
Tutto parte sempre dalle storie. Da giornaliste e giornalisti riceviamo i pitch, che sono delle proposte di titolo e poche righe di sommario, oppure contattiamo direttamente colleghe e colleghi per chiedere un reportage o un’inchiesta su temi che ci interessano. Una volta che abbiamo selezionato – in gergo giornalistico si dice “tagliato” – l’inchiesta, è Massimo Colella, il nostro art director, a scegliere chi le disegnerà. È bravissimo nel capire quale stile visivo può accompagnare al meglio ogni storia. A quel punto mettiamo in contatto chi scrive con chi disegna e chiediamo di elaborare insieme un primo “trattamento”, che è un termine preso dal linguaggio del documentario. Poi c’è Lorenzo Palloni, che è fumettista ed editor e fa un po’ da ponte tra le due figure: accompagna la creazione, fa in modo che la storia funzioni sia come testo giornalistico, sia come fumetto, perché non chiediamo una sceneggiatura a chi scrive. Il lavoro legato a ogni inchiesta dura dai nove ai dodici mesi. A volte ci sono anche sopralluoghi, ricerche sul campo, molte call, molti incontri. Ci teniamo a creare un fumetto che abbia il rigore del giornalismo, con fonti, dati, interviste, tutto verificato, che poi nel linguaggio si mischiano, diventando ballon, didascalie, infografiche, a seconda dell’argomento e della sensibilità di chi disegna.
Ci potresti parlare dell’ultimo numero uscito e fare qualche anticipazione sul futuro?
Sì, assolutamente, perché lavoriamo con molto anticipo, è un flusso continuo. Nel numero 13 – Estate 2025, uscito a giugno, c’è un’inchiesta sulla mobilità dei bambini a Milano, scritta da me e disegnata da Giovanni Gastaldi. C’è poi un approfondimento sul diritto alla contraccezione per le donne, firmato da Maria Catena Mancuso e illustrato da Francesca Arena, e un’inchiesta sulla desertificazione del Sud Italia, scritta da Davide Mazzocco e disegnata da Cammamoro, un artista siciliano.
Nei prossimi numeri affronteremo la crisi della professione de camionista, perché c’è un problema di ricambio generazionale. Parleremo anche della trasformazione del supermercato, come spazio e come modello economico, mettendo a confronto realtà molto diverse tra loro. Ci sarà un’inchiesta sul fenomeno della compravendita tra privati. Stiamo lavorando anche a un reportage sul mondo della birra artigianale in Italia, previsto per il 2026, e a un’inchiesta sulle donne senza dimora, un tema di cui si parla pochissimo e che richiede uno sguardo particolarmente attento.
E secondo te è possibile fare un identikit di chi vi legge?
Ci pensiamo di continuo. È difficile tracciare un identikit preciso, ma posso dirti che ci leggono persone molto diverse. Di sicuro ci sono persone appassionate di fumetto, anche perché lavoriamo con stili e segni molto diversi. Ma c’è anche chi è semplicemente prova un senso di frustrazione di fronte all’informazione quotidiana, perché si sente impotente. Come fascia d’età, direi che il grosso del nostro pubblico ha tra i 30 e i 50 anni. Però ci leggono anche persone appartenenti alla generazione precedente, oppure lettrici e lettori giovani, spesso tramite le biblioteche o gli incontri che facciamo nelle scuole. Il nostro è un pubblico variegato, proprio perché siamo una rivista generalista. Avremmo potuto fare monografie, ma preferiamo offrire un contenitore che parli di tutto: magari entri attraverso un tema ma finisci per scoprire anche altro. È anche questa una forza.
Potete ascoltare la nostra intervista in formato audio nella trentunesima puntata del nostro podcast INDIE-Libri per lettori indipendenti.