di Rita Ciatti Scrittrice, femminista, antispecista
Percy Bysshe Shelley (1792-1822), noto soprattutto per essere uno dei principali esponenti del romanticismo inglese, poeta talentuoso e pensatore dalle idee decisamente anticonvenzionali, critiche verso la religione ortodossa e il matrimonio (contratto che imbriglia l’amore), addolorato dall’evidenza di una società verticistica fondata sull’ingiustizia, è di recente stato rivalutato anche come pensatore antispecista, in anticipo sui tempi di almeno 200 anni.*
Il suo sogno per la realizzazione di un mondo privo di violenza e dominio si estende infatti anche a coloro che egli definisce «my fellow animals», cioè «compagni animali», introducendo quindi il concetto di una fellowship, una comunità di pari, in continuità tra la natura e i suoi abitanti, senza distinzioni di specie.
Sostenitore dell’alimentazione vegetale che esclude ogni prodotto di origine animale, ci ha lasciato alcuni scritti che oggi possono essere interpretati come precursori del pensiero antispecista moderno che contesta l’uso e la schiavitù degli animali non umani in quanto riconosciuti come esseri senzienti dotati di un valore intrinseco non riducibile ai nostri interessi e scopi.
In A vindication of natural diet (estensione della nota 17 del poema Queen Mab) e On the vegetable system of diet, Shelley ravvisa nel modo in cui trattiamo gli animali la corruzione morale della società che ci alienerebbe anche l’empatia verso i nostri simili, impedendoci la felicità e un sano sviluppo morale, rendendoci violenti e ingiusti. Con argomentazioni decisamente moderne e grazie al confronto con medici del periodo sostenitori dell’alimentazione vegetale, Shelley descrive la differenza tra noi e gli animali predatori che uccidono e mangiano carne per necessità facendo riferimento alla dentatura, allo stomaco, alla conformazione degli arti e alle nostre origini frugivore, ben più consone alle nostre caratteristiche fisiche, così lontane da quelle dei carnivori che si nutrono di animali senza bisogno di cottura, utensili e spezie; ma non si ferma qui, nei due piccoli trattati si sofferma sulla senzienza e sofferenza degli animali, capaci come noi di provare sentimenti, di stringere relazioni e di fare esperienza del mondo.
E se questi scritti non bastassero, ci sono testimonianze di come diverse volte fosse intervenuto per salvare degli animali: era solito acquistare al mercato dei gamberi di fiume per poi liberarli nel Tamigi, intendendo il pagamento non come una forma di mercificazione della vita animale, ma un necessario riscatto per impedire che venissero bolliti o arrostiti vivi, così risparmiandogli sofferenze atroci; ci è giunto l’aneddoto dell’acquisto di alcuni scoiattoli venduti per strada dentro una gabbietta e successivamente da lui liberati nel bosco. In occasione di una gita ad Anagni, presso Napoli, impedì che un cane venisse usato nella cosiddetta “Grotta del cane” per dimostrare la letalità dei gas tossici che sprigionavano dal terreno, ma che, fermandosi a poche decine di centimetri (ad altezza cane, appunto) non erano pericolosi per i visitatori; i cani venivano ripetutamente usati per fare questi test, lasciati svenire a causa delle esalazioni e poi rianimati all’esterno, esperimento che alla lunga gli danneggiava gli organi, condannandoli irreversibilmente a sofferenze e morte precoce. Da questi episodi si comprende come la scelta di Shelley di abbracciare un’alimentazione vegetale non sia mai stata dettata esclusivamente da motivazioni di salute, ma dal rifiuto della violenza sugli animali maturato dalla consapevolezza che essi sono individui senzienti da rispettare e non schiavi da ridurre in materia organica da consumare e usare in ogni modo possibile e inimmaginabile.
NOTA
È importante sottolineare che, sebbene le intenzioni di Shelley fossero mosse da compassione, OIPA è contraria all’acquisto di animali, anche a fini di salvataggio, poiché ciò contribuisce ad alimentare il mercato e il volume d’affari del venditore, incentivando la riproduzione e la commercializzazione di altri animali. Inoltre, gli animali nati e cresciuti in cattività non possono essere liberati in natura, in quanto incapaci di sopravvivere autonomamente e potenzialmente dannosi per gli equilibri ecosistemici.
* Per approfondire si consiglia la lettura del saggio di Carmen Luciano Percy Bysshe Shelley pensatore antispecista, edito da Carmignani Editrice (2024).