*Ricercatore, Scuola Superiore Universitaria – CASD **Dottoranda di ricerca, Università degli Studi di Torino
1. Introduzione
In un contesto tecnologico in rapida e continua espansione, la precisione terminologica è fondamentale, specialmente quando si analizzano discipline che non possono prescindere da una dimensione sovranazionale.
Con la locuzione «diritto dello spazio» si intende, infatti, un articolato e complesso sistema normativo in cui si intrecciano disposizioni nazionali e sovranazionali, mirato a regolare una pluralità di attività intrinsecamente eterogenee, ma accomunate dal fatto che si svolgono in un ambito privo di sovranità statale, richiedono investimenti finanziari di grande rilievo, sono soggette a un elevato rischio di insuccesso e richiedono un continuo avanzamento tecnologico che apra nuove opportunità operative. Negli anni Cinquanta lo spazio extra-atmosferico era ancora un territorio inesplorato nelle sue risorse e potenzialità. Il primo satellite artificiale, lo Sputnik, fu lanciato solo nel 1957, e le attività spaziali non rientravano tra gli interessi diretti della quasi totalità delle nazioni.
Il contesto attuale non potrebbe essere più diverso, lo spazio è infatti oggi una risorsa strategica e limitata, nell’utilizzo della quale i soggetti giuridici pubblici sono stati affiancati da un numero sempre crescente di attori privati e le cui applicazioni sono di tale portata da influenzare profondamente la vita quotidiana della quasi totalità della popolazione mondiale[1].
L’evidente dimensione internazionale delle attività spaziali divenne chiara già alla fine degli anni Sessanta, pertanto le Nazioni Unite si impegnarono nella negoziazione e promulgazione di un corpus di cinque trattati internazionali[2] per disciplinare l’accesso, l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio da parte degli Stati. Tali strumenti, riconosciuti in parte come diritto consuetudinario[3], stabiliscono come principio cardine il carattere pacifico dell’uso dello spazio, la libertà di esplorazione da parte degli Stati in condizioni di uguaglianza e il divieto di appropriazione di porzioni di spazio, sempre nel rispetto delle norme internazionali vigenti.
Sebbene tali trattati contemplino esplicitamente il coinvolgimento di soggetti diversi dagli Stati, quali enti governativi, organizzazioni intergovernative o non governative e operatori privati, sul piano internazionale resta fermo il principio della responsabilità degli Stati per le attività spaziali[4].
Inizialmente limitate alla ricerca scientifica e all’esplorazione, le attività spaziali si sono ben presto estese allo sfruttamento commerciale delle applicazioni e, più recentemente, delle risorse spaziali, delineando un panorama sempre più complesso che esige una disciplina giuridica adeguata e multidimensionale.
La proliferazione dei detriti spaziali, l’aumento della complessità delle operazioni, l’emergere di grandi costellazioni di satelliti e i crescenti rischi di collisione e interferenza con il funzionamento degli oggetti spaziali, costituiscono inoltre una seria minaccia alla sostenibilità a lungo termine delle attività nello spazio[5], rendendo ancora più urgente la questione della regolamentazione delle attività spaziali[6].
Dall’ultimo report sull’implementazione delle linee guida sulla sostenibilità a lungo termine dello spazio, redatto dallo Space Generation Advisory Council[7], sono emerse significative difformità a livello nazionale nell’adozione di normative interne volte a disciplinare le attività spaziali e il loro sfruttamento, in particolare per finalità commerciali. Allo stesso modo, si rileva come soltanto quattordici Paesi hanno confermato l’implementazione di previsioni nazionali volte a vincolare gli operatori spaziali (siano essi pubblici o privati) a rispettare gli standard internazionali in materia di sostenibilità[8].
L’Italia ha concluso l’iter per l’adozione di una normativa nazionale con l’approvazione del disegno di legge presentato dal Consiglio dei Ministri[9] in data 13 giugno 2025.
La l. n. 89/2025[10], in continuità agli indirizzi di natura politica[11], si basa su considerazioni economiche, giuridiche e strategiche e si compone di 31 articoli, suddivisi in cinque titoli, ciascuno dedicato a specifici aspetti delle attività spaziali. La normativa intende fornire una maggiore certezza ai rapporti giuridici al fine di sostenere lo sviluppo e la competitività dell’industria spaziale italiana, visti il sempre maggiore utilizzo delle tecnologie spaziali per scopi commerciali e la crescita sia in termini di numero che di volume delle imprese italiane nel settore. Inoltre, dal punto di vista della sicurezza e della difesa emerge l’urgenza di proteggere le infrastrutture spaziali e di garantirne la resilienza, in un contesto geopolitico sempre più sensibile agli impatti delle tecnologie spaziali sulle capacità strategiche degli Stati.
In un panorama globale sempre più dinamico, caratterizzato dall’ingresso massiccio di capitali privati e da un crescente coinvolgimento degli operatori economici nelle attività spaziali, la legge si propone di definire un quadro normativo organico, conforme ai trattati internazionali e adeguato alle esigenze del settore. Tuttavia, forse ancor più rilevanti risultano le motivazioni di carattere giuridico: la legge si pone infatti diversi obiettivi, tra i quali quello di regolare le attività degli operatori privati, in conformità con l’articolo 6 del Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico (Outer Space Treaty, OST)[12], di promuovere l’economia dello spazio attraverso l’innovazione e la competitività delle imprese italiane, di mitigare i rischi ambientali, in particolare i danni derivanti dai detriti spaziali, nonché di rafforzare la cooperazione internazionale e di consolidare il ruolo strategico dell’Italia nel settore spaziale. Il testo di legge si propone quindi di fornire una maggiore certezza del diritto, consentendo agli investitori di indirizzare le proprie scelte in un settore che «stands at the forefront of technological innovation, contributing to cutting-edge advancements, the resilience and security of modern societies – either directly or through spillovers. Satellite services, data and their applications are key enablers and form a fundamental part of modern infrastructure»[13].
L’evoluzione del settore dello spazio ed il suo valore economico sono fattori che hanno influenzato l’adozione di una disciplina nazionale. Le attività spaziali erano, fino a poco tempo fa, ricondotte esclusivamente a soggetti pubblici, in quanto gli unici dotati delle risorse (economiche, tecniche e fisiche) per la gestione di attività spaziali, il ruolo dei privati (si v. a titolo esemplificativo: Space X, Blue Origin, ABL Space Systems, Rocket Lab, Relativity Space, Stratolaunch, Virgin Galactic) è costantemente incrementato, comportando la definizione di forme di collaborazione pubblico-privato e lo sviluppo di attività economiche interamente gestite da operatori economici privati in maniera indipendente da Stati.
L’economia spaziale globale nel 2023 era considerata pari a 630 miliardi di dollari, e le stime di crescita indicano che potrebbe raggiungere i 1.800 miliardi di dollari entro il 2035, con aumento annuo medio del 9%[14].
Sulla crescita economica del settore spaziale incide anche lo sviluppo tecnologico e l’interconnessione dei sistemi che consentono di rendere applicabili o utilizzabili beni o prestazioni anche ad altri settori tecnologici con un valore di crescita elevato, oggi stimato in circa 500 miliardi di euro al 2030[15]. Prendendo quindi in considerazione il valore economico dei settori collegati a quello spaziale (che svolge un ruolo abilitante), il valore stimato del settore risulta già di oltre 3.000 miliardi di dollari[16].
L’articolo si propone di effettuare un’analisi del regime giuridico della responsabilità civile e della correlata previsione di un obbligo assicurativo da parte degli operatori spaziali (per la copertura dei danni causati a terzi da oggetti spaziali per un’attività spaziale autorizzata) nella nuova disciplina nazionale.
La ricerca intende evidenziare alcune potenziali criticità nonché i punti di forza della disciplina che emergono ad una prima analisi in astratto. Tali profili potranno essere approfonditi alla luce della prassi applicativa che verrà a delinearsi in concreto.
2. La responsabilità civile degli operatori spaziali privati alla luce della nuova legge
I trattati internazionali sullo spazio si caratterizzano per una formulazione che consente – e al contempo richiede – un adattamento diversificato nei singoli ordinamenti nazionali. L’attuazione delle disposizioni pattizie presuppone, infatti, un intervento attivo degli Stati, i quali sono chiamati non solo a predisporre i meccanismi operativi richiesti dal diritto internazionale (ad esempio, la registrazione obbligatoria degli oggetti spaziali), ma anche a interpretare e applicare tali norme a realtà e attività non esistenti, né prevedibili, al momento della redazione del corpus normativo internazionale. La tecnica redazionale utilizzata nei trattati lascia dunque ampi margini di discrezionalità ai singoli Stati nell’adattamento normativo, con il risultato che l’interpretazione unilaterale delle disposizioni internazionali, attraverso gli atti nazionali di implementazione, può dar luogo a discipline difformi. Questa divergenza interpretativa riflette la flessibilità – ma anche l’ambiguità – insita nel diritto spaziale internazionale, che inevitabilmente si traduce in una disomogeneità regolatoria tra gli ordinamenti nazionali che incide negativamente sugli investimenti nei settori economici interessati.
Inoltre, nel contesto dell’Unione europea, ove si contano undici diverse discipline nazionali, alle quali si aggiunge quella italiana, il contesto giuridico è reso più complesso dalla presenza di un ulteriore livello di governo (quello UE) che, con i suoi meccanismi di funzionamento e le proprie istituzioni, mira a regolamentare il settore spaziale con una propria disciplina, attualmente in via di definizione.
Sebbene necessarie, tali normative nazionali risultano prive di un coordinamento adeguato sia in relazione alla definizione dei rispettivi ambiti di applicazione, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, sia rispetto alla disciplina del regime autorizzatorio previsto dagli obblighi internazionali. Questa frammentazione evidenzia l’urgenza di adottare un approccio unitario che assicuri coerenza normativa, certezza del diritto e una maggiore competitività, quantomeno a livello europeo (in parallelo alle politiche di sviluppo e crescita economica)[17] per favorire investimenti privati nel settore. Tuttavia, in attesa di un tale intervento armonizzatore a livello europeo, il nuovo testo colma la risalente lacuna dell’ordinamento italiano in relazione alla regolamentazione delle attività spaziali e, specialmente, al regime di responsabilità ad esse connesso.
2.1. L’ambito di applicazione
L’ambito di applicazione della legge include tutte le attività spaziali condotte da operatori italiani, sia sul territorio nazionale sia all’estero, nonché tutte le operazioni condotte sul territorio italiano da operatori di qualunque nazionalità[18]. L’applicazione è estesa quindi a tutte quelle attività per le quali l’Italia è considerata Stato di lancio ai sensi dell’articolo 1 della Liability Convention e quindi internazionalmente responsabile per i danni causati ai sensi dell’art. 6 della stessa convenzione. Tale previsione è quindi volta ad individuare, in continuità con quanto previsto nell’OST[19], le attività spaziali che rientrano nella giurisdizione italiana e sulle quali quindi lo Stato è tenuto ad esercitare un controllo preventivo ed una vigilanza continua.
Il testo definisce poi concetti utili per comprendere il suo ambito di applicazione. La nozione di «attività spaziale» delimita in questo modo l’ambito di applicazione oggettivo della norma[20]. L’ambito di applicazione soggettivo è influenzato dalla qualificazione dell’operatore spaziale che è individuato nella «persona fisica o giuridica che conduce, o intende condurre, sotto la propria responsabilità, attività spaziali». Ulteriori definizioni introdotte consentono poi di chiarire concetti che comunque incidono su tali elementi.
In questo modo la nozione di Stato di lancio è ricondotta alle previsioni della Liability Convention[21] secondo cui ci si riferisce allo Stato che lancia o commissiona il lancio di un oggetto nello spazio ovvero come quello Stato dal cui territorio o dalle cui infrastrutture un oggetto viene lanciato. Tale definizione lascia aperta la possibilità che al lancio di un unico oggetto possa corrispondere una pluralità di stati di lancio. Infatti, anche la ricorrenza di uno solo dei quattro criteri è in tal senso sufficiente. La legge chiarisce poi, tra l’altro, alcuni altri concetti fondamentali, tra cui che cosa si intenda per attività di lancio, per gestione in orbita e che cosa sia un oggetto spaziale[22].
2.2. La responsabilità civile degli operatori spaziali
La disciplina nazionale introduce per la prima volta in Italia una disciplina organica per regolare la responsabilità degli operatori spaziali, pubblici o privati che siano. Tale normativa, necessaria per allinearsi agli obblighi internazionali, è contenuta nel Titolo IV, con particolare attenzione agli articoli 18 e 19, che definiscono i rapporti tra la responsabilità degli operatori e quella dello Stato, strutturando un sistema integrato a doppio regime che si collega ai principi stabiliti a livello internazionale.
Il regime di responsabilità per danni causati da oggetti spaziali è uno degli aspetti centrali del diritto spaziale internazionale, disciplinato principalmente dall’articolo 7 dell’OST[23] e dalla Liability Convention che qualifica il danno come lesione personale o materiale a persone fisiche o giuridiche o alle loro proprietà[24]. Il danno rimborsabile è quindi quello causato alle persone o alle proprietà di uno Stato o di un altro operatore spaziale. La Liability Convention stabilisce un duplice regime di responsabilità internazionale degli Stati: da un lato, l’articolo 2 prevede che lo Stato di lancio risponda a titolo di responsabilità oggettiva per i danni causati da un oggetto spaziale sulla superficie terrestre o a un aeromobile in volo, quindi per i danni causati all’interno dell’atmosfera[25] (danno intra-atmosferico); dall’altro, l’articolo 3 stabilisce che, per i danni causati da un oggetto spaziale nello spazio extra-atmosferico (danno extra-atmosferico), lo Stato di lancio è responsabile solo se è possibile dimostrare che il danno è riconducibile ad un atto colposo dello Stato o di un operatore privato il cui operato è riconducibile allo Stato[26].
La legge, armonizzandosi con tali obblighi, introduce una disciplina specifica che regola le attività spaziali condotte sotto la giurisdizione italiana, così come individuata ai sensi dell’articolo 3 della stessa normativa, ponendo una particolare attenzione ai rapporti tra la responsabilità degli operatori e quella dello Stato.
L’articolo 18 stabilisce il regime di responsabilità per danni causati da oggetti spaziali. Gli operatori spaziali cui tali oggetti sono riconducibili[27] sono responsabili civilmente per i danni derivanti dalle loro attività, sia verso terzi che verso lo Stato. La responsabilità è qualificata come oggettiva, prevedendo l’obbligo di risarcire i danni senza necessità di dimostrare la colpa, in linea con quanto previsto dall’articolo 2 della Liability Convention. Tale responsabilità non richiede infatti la prova di colpa, salvo il caso in cui l’operatore dimostri che il danno è stato causato esclusivamente dal dolo di un terzo estraneo o dallo stesso danneggiato. L’articolo introduce tuttavia un limite a questo tipo di responsabilità degli operatori, specificando che essa è circoscritta ai massimali indicati nell’articolo 21 della legge, salvo situazioni di dolo, colpa grave o violazione di obblighi autorizzatori. Questo sistema mira a bilanciare la tutela delle vittime con la necessità di promuovere uno sviluppo responsabile e sostenibile del settore spaziale privato. L’articolo 18 pone quindi la disciplina sulla base della quale i danneggiati possono agire direttamente nei confronti dell’operatore (o dell’assicuratore[28]) per il risarcimento del danno subito. Questo articolo qualifica espressamente tale responsabilità «civile», implicitamente richiamando, per quanto non espressamente previsto dalla normativa di settore, alla più ampia disciplina della responsabilità civile e, soprattutto, ai principi fondanti la materia[29].
Tuttavia, mentre la formula di cui al comma 1 dell’articolo 18 enuncia il principio generale per cui «l’operatore è responsabile dei danni cagionati in conseguenza delle attività spaziali condotte», il comma 2 restringe l’ambito di applicazione della norma prevedendo espressamente che «l’operatore è sempre tenuto al risarcimento dei danni cagionati a terzi sulla superficie terrestre nonché agli aeromobili in volo e alle persone e cose che si trovano a bordo di questi ultimi». Il danneggiato può quindi rivolgersi direttamente all’operatore solo nel caso di danno intra-atmosferico, mentre la norma nulla stabilisce per i casi in cui il danno si sia verificato nello spazio extra-atmosferico.
L’articolo 19, istituisce invece un’azione di rivalsa esercitabile da parte dello Stato nei confronti dell’operatore nei casi in cui lo Stato Italiano sia stato chiamato a rispondere a livello internazionale per i danni causati da operatori spaziali autorizzati. In questi casi, lo Stato ha il diritto di esercitare l’azione nei confronti dell’operatore responsabile entro 24 mesi dall’avvenuto risarcimento, garantendo un meccanismo di riequilibrio che protegga sia gli interessi dello Stato sia quelli dei soggetti danneggiati. L’articolo 19, a differenza dell’articolo 18, non distingue tra danno intra ed extra-atmosferico, implicitamente stabilendo quindi che lo Stato abbia diritto di esercitare l’azione di rivalsa sia che sia stato chiamato a risarcire il danno ex articolo 2 che ex articolo 3 della Liability Convention. Tale previsione pare in linea con il principio che sancisce la generale responsabilità civile dell’operatore per i danni cagionati a causa delle attività spaziali dallo stesso condotte. La norma applica quindi de facto all’operatore privato lo stesso regime di responsabilità previsto a livello internazionale: tramite l’azione di rivalsa da parte dello Stato, l’operatore sarà chiamato a rispondere del danno intra-atmosferico su base oggettiva, mentre risponderà del danno extra-atmosferico per colpa. Nel caso in cui lo Stato sia chiamato a rispondere in via internazionale del danno extra-atmosferico[30] causato da un operatore la cui attività gli sia riconducibile, resta tuttavia priva di disciplin