Ha senso questa asimmetrica distribuzione delle risorse pubbliche, nello scenario attuale?
Il fenomeno mantiene la sua attualità: da molti giorni ormai, “silenzio stampa” ovvero nessuna attenzione mediatica rispetto al cinema italiano… le polemiche su “Tax Credit” sono scomparse dai media, completamente, ed anche l’eco del “caso Kaufmann” (il presunto omicida di compagna e figlia in quel di Villa Pamphilj) si è affievolito… E ancora non s’ode la grancassa dell’imminente Festival di Venezia, nella sua edizione n° 82, nelle due settimane che vanno da mercoledì 27 agosto a martedì 9 settembre. Già si immaginano i tanti articoli “spettacolistici” ovvero “di costume”, dalle star attese sul “red carpet” a qualche prevedibile polemica su tematiche variegate…
E della “struttura” (politica e economia) del cinema e dell’audiovisivo?! Dopo l’informativa del Ministro Giuli in Senato, ormai due settimane fa, poco è dato sapere. Silenzio assoluto. La stessa Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, sempre iper-comunicativa, non si manifesta da molti giorni, fatta salva la prevedibile enfasi su presunti eccezionali risultati della misteriosa campagna promozionale “Cinema Revolution”, che cozzano con la amara realtà di un “box office” che segna una deprimente -23% rispetto allo stesso periodo (le prime undici settimane) dell’estate 2024.
È stato reso noto il programma del cosiddetto “Italian Pavilion”, ovvero il calendario delle iniziative tra i “professional” al Lido…
Sicuramente due iniziative stimoleranno un qualche dibattito. Il 28 agosto, un incontro dal titolo “Cinecittà-Tac Credit. Cinema Globale”, che prevede l’intervento della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (Lega Salvini), della Presidente di Cinecittà Manuela Cacciamani e del Presidente dell’Associazione dei Produttori Esecutivi (Ape) Marco Valerio Pugini, e questa sarà l’occasione per capire se il solito entusiasmo per il credito di imposta sarà rinnovato ancora una volta ciecamente (ignorando – come è avvenuto per anni ed anni – deficit di controlli e valutazioni, abusi e sprechi..).
Qualcosa di più realistico (e forse dialettico) potrebbe emergere dall’incontro del 31 agosto, che prevede l’intervento di due associazioni imprenditoriali “minori”, rispetto alle due potenti lobby Anica ed Apa (che – anche loro – in questo periodo, sono stranamente silenti): sono previsti interventi di Salvatore Scarico Presidente di Itaca e di Gianluca Curti Presidente di Cna Cinema e Audiovisivo, e di Federico Mollicone, Presidente della Commissione Cultura della Camera (FdI). Curiosamente non coinvolta invece Confartigianato Cinema e Audiovisivo, presieduta da Corrado Azzolini, associazione che si è spesso posta fuori dal coro, denunciando i privilegi accordati ai grossi produttori ed alle multinazionali straniere, a danno dei piccoli produttori indipendenti.
Notoriamente, una kermesse come quella veneziana si pone soprattutto come “vetrina” d’immagine, per attrarre cinefili ed appassionati e come macchina promozionale (anche se nessuno ha mai finora studiato seriamente la sua reale efficacia): non è certamente l’occasione più adatta per un laboratorio di analisi critica dello “stato di salute” del settore, anche se (non ancora calendarizzata ma sicuramente in agenda) ci sarà la presentazione del dossier annuale “I numeri del cinema e dell’audiovisivo italiano”, curato dalla Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic, che è uno dei rari strumenti di conoscenza dei “numeri” del settore (apprezzabile che dall’edizione dell’anno 2024 non rechi più l’ambiziosa titolazione precedente, non corrispondente – ahinoi – a verità, ovvero “Tutti i numeri del cinema e dell’audiovisivo italiano”).
La presentazione del dossier potrebbe essere quella giusta, per un confronto pubblico tra le istituzioni e le varie anime associative del settore, anche se temo che la regia della presentazione concederà poco o nessuno spazio agli osservatori critici, che vengono sempre tacciati di disfattismo “anti-sistema”. E forse vedrà anche l’intervento del nuovo Direttore Generale cooptato dal Ministro Alessandro Giuli (FdI) dopo le dimissioni – per ragioni personali, ma sullo sfondo dello “scandalo” del Tax Credit – dello storico Nicola Borrelli ad inizio luglio…
Molte volte ho chiuso queste noterelle con una sorta di formula – ahinoi – ripetitiva: “ancora una volta, trasparenza a metà e governo nasometrico delle istituzioni culturali”. Ci si deve domandare “chi” ha voluto che il sistema procedesse per inerzia, senza dotarlo di una strumentazione adeguata a misurarne e controllarne lo sviluppo: abbiamo assistito ad una crescita abnorme, alimentata dalla droga di un intervento pubblico sempre più generoso, in assenza di una strategia politica lungimirante.
Nell’ultimo anno prima dell’entrata in vigore della Legge n. 220 del 2016 (che ha iniziato ad operare nel 2017), lo Stato impegnava complessivamente 406 milioni di euro attraverso l’allora Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus): all’interno di questa torta, la fetta del cinema assorbiva soltanto il 19% del totale, quota che si era tradotta in quell’anno in 77 milioni di euro.
La Legge Franceschini “sganciò” dal 2017 il settore cine-audiovisivo dal Fus, e dotò il fondo autonomo di una dotazione minima annua di 400 milioni di euro, che è andata via via crescendo fino a toccare il picco nel 2022, con ben 746 milioni di euro.
Per l’anno 2025, il “Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo” assorbe 446 milioni di euro, a fronte dei 696 milioni di euro del “Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo”, per un totale di 1.142 milioni di euro, con un rapporto corrispondente a 61% a favore del cinema ed al 39% a favore di tutto lo spettacolo dal vivo (ovvero teatro, musica, danza, circhi…). Si pensi che il “Tax Credit” per il cine-audiovisivo assorbe poco meno dell’intero sostegno pubblico a favore dello spettacolo dal vivo (teatro, musica, danza…): 412 milioni di euro, a fronte di 446 milioni.
In sostanza, nell’arco di 10 anni il settore cine-audiovisivo è passato dal 19% (anno 2016) del totale dell’intervento pubblico a favore dello spettacolo (ovvero cinema+spettacolo dal vivo) al 61% (anno 2025).
Ha senso questa asimmetrica distribuzione delle risorse pubbliche, nello scenario attuale del sistema culturale nazionale, anche alla luce delle varie rivoluzioni digitali?!
La domanda andrebbe posta all’ex Ministro dem Dario Franceschini, dato che è stato lui, nell’ultimo decennio, a privilegiare fortemente l’immaginario cinematografico (e soprattutto audiovisivo), a danno dell’immaginario dello spettacolo dal vivo. Questa sì è stata – senza dubbio – una radicale decisione di “politica culturale”. Che però non è mai stata oggetto di un’analisi predittiva, né di valutazioni a consuntivo. Sicuramente una gran vittoria delle “lobby” impreditoriali Anica (cinema) ed Apa (audiovisivo), ed una pesante sconfitta della “lobby” Agis (spettacolo dal vivo). Però… mai si è sviluppato in Italia un dibattito critico su queste scelte politiche.