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di Giada Fazzalari

Il refrain che riempie le pagine dei giornali nelle ultime settimane sembra essere lo stesso che ha animato il dibattito degli ultimi trent’anni: il conflitto tra giustizia e politica, che riemerge ogni volta che indagini giudiziarie investono la politica; i casi Sala e Ricci ne sono testimonianza. La riflessione, però, merita di essere approfondita, e ci interroga su cosa sono diventati, oggi, i partiti. La loro reputazione è in calo da decenni e le notizie di queste settimane hanno contribuito a peggiorarla. Con la fine della Prima Repubblica si è aperta una stagione, che in parte ancora stancamente dura, in cui la politica e i partiti vengono di fatto considerati associazioni di malaffare. Benché in crisi di legittimazione e svuotati della loro vera missione di “ponte tra Stato e cittadini” – così osservava Giuliano Amato proprio sulle pagine di questo giornale – sono stati architrave essenziale del sistema istituzionale italiano: hanno progettato e costruito l’edificio istituzionale della Repubblica infisso nella Costituzione del 1948. La Seconda Repubblica ha determinato la fine dei partiti di massa, trasformandoli in meri comitati elettorali, nonostante fino ad allora fossero stati l’unico strumento per selezionare la classe dirigente del Paese. È sotto gli occhi di tutti quanto l’emarginazione della politica dalla società abbia deteriorato la democrazia in Italia, e quanto grande sia il bisogno di una ricostruzione del più importante pilastro della democrazia: senza partiti di massa, infatti, la partecipazione si rinsecchisce. Oltre che con il discredito, e grazie a esso, l’offensiva contro i partiti si è realizzata eliminando ogni forma di finanziamento della politica, che significa cancellare l’educazione a essa dei cittadini, attraverso le scuole politiche di partito, il luogo dove si formano le classi dirigenti e si elaborano programmi politici. Nel 2024 l’introito dal 2×1000 destinato ai partiti era di ventinove milioni di euro. Una cifra insufficiente alla vita dei partiti e alle scuole di formazione, che deve spingere chi li governa ad alimentarla per evitare quello che, drammaticamente, si è poi rivelato: spariti i centri studi, chiusi i giornali di partito (tranne l’Avanti!), strangolate le reti delle sezioni, cancellate quasi totalmente le scuole di formazione politica. Non è un caso che da una recente ricerca Istat sei giovani su dieci non siano interessati alla politica. Forse perché, evidentemente, quel ponte si è interrotto. Ribelli al pensiero antipolitico, con lo stesso spirito di resistenza con cui continuano a pubblicare l’unico giornale di partito italiano in edicola, i socialisti tengono vive anche le loro scuole di partito, in cui formano i giovani agli strumenti di lettura della società che non trovano più a scuola, in famiglia, sui giornali. La tre giorni di Ostuni della Summer School del Psi ne è stata la rappresentazione più nobile. Se non altro perché è nobile l’idea di lavorare ogni giorno per costruire le classi dirigenti per questa e le prossime generazioni.

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