UN VOLTO NELLA STORIA CHE CONTINUA AD ACCADERE
Martedì 26 agosto 2025 ore 15.00
AUDITORIUM ISYBANK D3
INTERVENGONO
Margaret Karram, presidente Movimento dei Focolari; Davide Prosperi, presidente Fraternità di Comunione e Liberazione; René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano; Silvia Guidi, giornalista Osservatore Romano.
SILVIA GUIDI
Buonasera, ben arrivati. È bello essere qui tutti insieme a scoprire un'altra, l'ennesima pepita d'oro che ci è stata consegnata. Dico pepita d'oro perché l'immagine logo di questo Meeting mi fa pensare ovviamente ai mattoni, a un mosaico, ma anche a frammenti d'oro che si nascondono nel quotidiano, nella vita quotidiana che a volte ci sembra così opaca, così pesante, così segnata da un inspiegabile male, ahimè, anche nel periodo storico in cui siamo con le guerre che divampano e l'umanità che sembra impazzita.
Ma passiamo a quello che di bello possiamo condividere stasera, alla scoperta di un libro che già dal titolo ci fa capire come riguarda ciascuno di noi. Ciascuno di noi ha un volto, ma è chiamato ad avere il suo vero volto unico e irripetibile come Dio lo ha pensato. "Un volto nella storia": questo è il libro di cui parleremo stasera e ci aiuteranno a capire meglio, entrare dentro questo messaggio che ci è stato regalato: René Roux, il rettore della Facoltà di Teologia di Lugano, Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari e Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, che però stasera è anche in veste di curatore del libro, quindi ha un doppio ruolo.
Io sarò rapida perché il tempo è prezioso, c'è moltissimo da dire e quindi passo immediatamente la parola al rettore della Facoltà di Teologia di Lugano che ci aiuti a capire il valore e la preziosità di quello che don Giussani ha filtrato e distillato dalla sua esperienza nel periodo storico in cui è vissuto e in cui poi ha scritto le lezioni che sono raccolte in questo libro, la Chiesa post Concilio, una chiesa che aveva subito lo tsunami del '68, una chiesa che era però anche in ascolto nei confronti del grido del bisogno di autenticità, di verità che il '68 è stato.
Lascio subito la parola al professore. Grazie.
RENÉ ROUX
Anzitutto ringrazio per essere stato invitato a questo incontro. Leggere Giussani è sempre un'esperienza interessante. Da un lato si respira una grandezza, dei panorami straordinari. Dall'altro ci si sente sempre molto interrogati, un po' piccini, in particolare anche nel lavoro come teologi.
Guardando questa serie di dieci lezioni che lui ha tenuto tra il '69 e il '70 al Centro Péguy, mi sono chiesto cosa volesse fare Giussani esattamente. La mia impressione è che si tratti a tutti gli effetti di una sorta di introduzione al cristianesimo. Come Ratzinger ne aveva scritta una nel '68. Un'altra la farà un altro teologo famoso, Karl Rahner, nel '76. Giussani, in qualche modo, di fronte alla grande crisi del '68, che aveva visto l'esodo di moltissimi ragazzi giovani di GS, ma non solo, anche la Fuci era andata nella stessa direzione, per non parlare di tantissimi ordini religiosi e sacerdoti che avevano lasciato gli impegni, di fronte al piccolo gruppo del Centro Culturale Péguy decide di tornare sull'essenza, sulle basi, sui fondamenti. Ecco dunque il senso di queste lezioni.
Per cogliere l'originalità, credo vada forse vista nel contesto di quella che era stata la problematica e l'evoluzione della teologia negli anni '60, nel XX secolo in generale, ma in particolare in quel periodo. Se qualcuno di voi prende in mano un manuale di teologia pubblicato ancora l'ultimo volume nel 1962, la Summa Sacrae Theologiae di un gruppo di professori gesuiti spagnoli, una teologia ancora scritta in un chiaro latino scientifico, more geometrico con definizioni, conseguenze, citazioni probanti dalla Scrittura e dalla Tradizione, si accorge che è avvenuta una sorta di rivoluzione confrontando quel modello di manuale, usato fino al Concilio, con quello che nascerà subito dopo, il Mysterium Salutis iniziato in Svizzera in prospettiva di storia della salvezza. Si è passati da una teologia che era estremamente argomentata, logica, razionale, secondo un modello genericamente tomista o neotomista, a un tentativo di ripensarla in chiave storica.
Questo cambiamento voleva essere una risposta ad alcune esigenze che si sentivano già nel corso del XX secolo. Non è che quando arrivano i cambiamenti nei manuali è perché sono accaduti prima, ma ci fanno capire alcune problematiche e come anche le risposte non sempre furono semplici.
Una prima grande crisi della teologia cattolica del XX secolo è stata quella del rapporto con le scienze storiche, la filologia, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento e dell'Antico Testamento, sembrava mettere in crisi le fondamenta stesse della fede. Allo stesso tempo, quella lettura molto analitica che si faceva nella manualistica dei testi della Tradizione era carente di senso storico e quindi sembrava non cogliere il vero nesso.
Ecco allora l'esigenza di recuperare una dimensione di autentica storicità, il metodo della nouvelle théologie, all'interno del ragionamento teologico. Ma il rischio, quando teologi e sacerdoti cresciuti in un metodo analitico senza mai aver appreso la vera tecnica della ricerca storica, compresi i suoi limiti, era quello di cadere in un'assolutizzazione di quei risultati che finivano col mettere in crisi le basi stesse della fede. Questo era un problema.
Un altro problema era forse la sconnessione che si accusava tra la formazione teologica e quella spirituale e la vita concreta. Anche lì, quella conoscenza teorica sembrava non avere presa sulla vita. Ecco che la ricerca di questo contatto a volte è avvenuta in quegli anni proprio attraverso il prevalere di un'ideologia marxista di sinistra che sembrava essere in grado di realizzare meglio il ponte tra l'ideale di giustizia, di autenticità e la vita, con il rischio di mettere in secondo piano l'esperienza stessa della fede o di trasformarla in una sorta di momento intimistico, di un benessere tutto interiore, ma non in grado di dire qualcosa nel mondo.
Una terza problematica era quella dell'apostolicità, l'esigenza dell'annuncio del Vangelo trasformata in esigenza di inculturazione, in esigenza di parlare il linguaggio di coloro ai quali noi portiamo il Vangelo. Rischiava però, se fatto in maniera acritica, di assumere le categorie che si attribuivano al destinatario, senza interrogarsi se quelle categorie, da un punto di vista antropologico, fossero davvero adeguate ad accogliere il messaggio cristiano, con il rischio di perderlo per strada.
Giussani reagisce di fatto con questo suo insegnamento, di cui in queste dieci lezioni abbiamo una testimonianza. Non era la totalità della sua attività, ma è comunque molto rappresentativa.
Permettetemi dunque, a mio modesto parere, di dare alcune pennellate di quelle caratteristiche di novità che renderanno questo suo insegnamento effettivamente fruttuoso, fertile da un punto di vista spirituale e sociale, per la crescita della Chiesa.
Anzitutto lui si rivolge alle persone che ha di fronte: si rivolge a quel gruppo di ragazzi giovani che erano al Péguy, che probabilmente erano, scusate l'espressione, quattro gatti. Non si fa il problema di andare a dire come vado a prendere tutti quelli che sono scappati fuori, come penseranno quelli che hanno altre categorie mentali. Quelli che io ho davanti a me, loro sono importanti come tutti gli altri, anzi se non passa da qui forse non arriverà nemmeno agli altri. Questo realismo iniziale, che è forma di umiltà, ma anche di realismo alla chiamata, mi sembra estremamente significativo.
Notiamo anche che con questo metteva in discussione i tentativi troppo astratti di modelli di inculturazione che immaginavano un essere umano perfetto, intellettuale, ma che non era quello concreto che tu hai davanti agli occhi.
Il secondo punto che mi pare estremamente interessante è il ritorno alla cristologia: Cristo, nostra speranza. Questo tornare alla speranza è sicuramente un aspetto geniale della sua sottolineatura in quel momento storico. Credere nella fede. La fede è una cosa importante, lo sappiamo, ma pensare che veramente Gesù sia Figlio di Dio, arrivato e poi c'era il presepio col bue e l'asinello, è un aspetto che già richiede un passo in più.
Ma in un momento in cui la totalità dei giovani andava alla ricerca di un mondo ideale, di un futuro fantastico, ecco che si presenta Cristo come speranza e diventa un modello autentico da scegliere, che ha, guarda caso, lo stesso livello di credibilità, se non addirittura superiore a quello dei progetti politici.
In qualche modo questa scelta della speranza mi sembra una risposta molto concreta al contesto storico e mi ricorda quella poesia di Péguy che piaceva tanto a Giussani, ma anche al gruppo del Centro dove Péguy parla di fede, speranza e carità come di tre sorelle. Le più grandi e le più importanti sono la fede e la carità, la speranza è la sorella piccolina, ma è lei che le prende per mano e le trascina avanti.
Detto questo, il suo modo di leggere la Scrittura e anche la Tradizione della Chiesa è molto particolare. Per lui l'aspetto storico è centrale, il realismo di questi fatti è autentico, ma ciò che va a cercare in questi è la profondità, l'autenticità del senso religioso. È questo che dà la verità di quelle testimonianze ed è questo che permette, se volete, la contemporaneità con noi dei testi della Bibbia, dai grandi profeti agli apostoli, a Gesù, a tutti quelli della Tradizione. In questo modo lui riusciva a mettere a frutto la vera scienza storica a servizio di quella che è una conoscenza di un'esperienza umana che ci trasmette, ci testimonia la presenza del divino attraverso questo aspetto del senso religioso.
La fede così concepita si trasforma in un criterio di giudizio. Rendiamoci conto cosa voleva dire in quegli anni, ma forse il problema non è finito, in una cultura italiana e non solo, che per tanti anni concepiva il cattolicesimo e la fede come qualcosa di buono per i bambini. Ma mano a mano che si sale nelle scuole si diventa filosofi, magari liberal, "liberal chic", marxisti; poi la denominazione può scegliere.
E qui invece Giussani ha il coraggio, la fierezza di rimettere al centro la fede come criterio di giudizio delle cose del mondo. E da questo viene con chiarezza quello che è il compito del cristiano: costruire la Chiesa. È questo che dà la sua missione. Questo diventa il suo contributo. Quello che mi colpisce molto in questa costruzione – ogni tanto lui si ripete fra le lezioni, ovviamente anche le cose che diceva a latere – è che in questa visione del cristianesimo è una visione in grado di prendere dentro tutti gli aspetti: dall'esperienza intellettuale a quella spirituale e a quella della concretezza della vita.
E in questo modo lui riesce a recuperare anche l'importanza della Tradizione, perché la Chiesa diventa il luogo dove io posso fare esperienza della presenza storica di Cristo, di Cristo nella comunità che lui ha fondato, nel suo corpo mistico, nel suo corpo spirituale che continua.
Proprio attraverso questa presenza di Cristo nella Chiesa, io posso fare un'esperienza diretta e valutare se questo aspetto vale anche per me e a quel punto io entro in questa grande comunione. Giussani riesce in qualche modo, in questo suo approccio, a dare risposta a quelle che erano state le problematiche della teologia preconciliare. Non si vergogna di farlo per un gruppo di studenti universitari o di giovani. Si sarebbe potuto rivolgere tranquillamente anche ai grandi teologi, ma il suo affetto, la sua amicizia andava anzitutto per le persone che ha di fronte, perché questa concretezza della vita della Chiesa è la strada stessa dell'incarnazione che Gesù ha scelto. Mi fermo qui con queste mie considerazioni.
SILVIA GUIDI
A Margaret Karram chiediamo qualcosa che riguarda una parola guida dei Focolari: l'unità. Unità vuol dire vivere la dimensione comunitaria come costitutiva di sé, non superflua, non un optional, qualcosa che fonda l'identità del singolo. Nella sua esperienza, com'è questo aspetto in rapporto ai temi su cui stiamo lavorando oggi pomeriggio?
MARGARET KARRAM
Buon pomeriggio a tutti, saluto tutti voi. Sono molto felice e onorata di essere qui e ringrazio soprattutto Davide che mi ha invitata. È la prima volta qui al Meeting. Mi ricordo quando mi ha chiamato ero stupita perché non aspettavo che mi invitasse a partecipare, ma sono molto grata, molto felice di questo invito e ho potuto assaporare e vedere alcune cose ieri e oggi che sono qua in tutte le mostre. Sono grata soprattutto per l'amicizia che ci lega personalmente, ma anche come comunità ecclesiali.
Per rispondere in sintesi alla domanda che mi fai, vorrei iniziare uno dei passaggi del libro di don Giussani che mi ha colpito di più, perché è di un'attualità straordinaria per tutti noi e per la Chiesa oggi. Lui afferma che per ogni persona – l'abbiamo sentito dal rettore – il rapporto più importante è quello con Dio e cito: "Il criterio delle mie scelte è Dio, è la sua opera, il suo operare, il suo agire." La comunione cristiana si instaura in proporzione a questa iniziale conversione. Nella misura in cui c'è questo spirito di comunione, io collaboro a valorizzare quel che fai e così diventa sempre più potente il riverbero benefico sul mondo e la Chiesa si costruisce.
Mi ha colpito quello: "Io collaboro a valorizzare quello che fai ed insieme possiamo costruire la Chiesa." Potrebbe sembrare davvero scontato sottolineare l'attualità del messaggio di don Giussani, ma è stata questa la prima forte impressione che continuo a custodire nel cuore dopo la lettura di questo volume. Questo non è un libro da leggere tutto d'un fiato, almeno non è stato così per me. Fin dal primo capitolo ho sentito che queste parole scritte oltre 50 anni fa mi chiedevano di riflettere e di interrogarmi. Don Giussani ha tenuto queste undici lezioni in una stagione incandescente, in un'epoca di svolta culturale ed ecclesiale. Si comprende come egli si sia sentito fortemente interpellato come cristiano dal tempo in cui, in un momento storico di forti contrapposizioni ideologiche, non aveva paura di sfidare soprattutto i giovani.
Anzi, con coraggio ha indicato loro la strada che parte da Dio e raggiunge tutti i luoghi del mondo, in ogni situazione in cui l'umanità è immersa. La missione di don Giussani continua perché ha sempre parlato al divino presente in ognuno. E questo è un cammino che non scade. La conversione a Dio che ci innesta nella comunione cristiana non passa di moda. È il nostro eterno presente. Tutto il percorso tematico che don Giussani ha trattato ci porta a fare un'esperienza nuova di un luogo di cui forse abbiamo bisogno di riscoprire la potente profezia evangelica, e questo luogo è la comunità, per assaporare l'amicizia con Dio e con i fratelli e le sorelle, una comunità aperta al mondo per la sua trasformazione in Cristo.
Anch'io, come te, Davide, sono rimasta molto impressionata e, come tu dici anche nelle prime pagine della prefazione, il costante riferimento di Giussani alla Sacra Scrittura. Questo è il primo autentico motivo dell'attualità del suo pensiero: quasi non c'è pagina in questo libro in cui non attinga a questa sorgente sapienziale. Da essa continua a scaturire la freschezza delle sue sollecitazioni. La Parola di Dio è il centro che ha saputo donare, spiegare e ritrovare in tutto quello che il Padre ha creato di buono e di bello. Un secondo motivo dell'energia trasmessa ancora oggi da queste lezioni lo riconosco nel dono dello Spirito che Giussani ha ricevuto, un carisma a beneficio del corpo ecclesiale e dell'umanità.
A pagina 39 leggiamo infatti che, perché il cristiano compia la sua, occorre che abbia la sua faccia nel mondo. E questa è un'espressione che mi è piaciuta moltissimo. Giussani spiega cosa significhi: "La propria faccia è quella della comunità vissuta, è la faccia della Chiesa vissuta." Cristo, fatto speranza del mondo, è il fondamento dell'annuncio di don Giussani. Non ho potuto non notare la sintonia con il momento ecclesiale che attraversiamo, in particolare in questo anno giubilare in cui siamo tutti interpellati a rimettere al centro della nostra vita Cristo, nostra speranza, e a uscire dai nostri mondi per incontrarci, per fare esperienza di comunione nelle nostre comunità, ma ben oltre.
E siccome siamo cristiani, continua Giussani, siamo chiamati a vivere il mondo, ad entrare negli abissi più profondi dello smarrimento, della solitudine, del dolore, delle guerre e delle violenze terribili, e porteremo maggior frutto se lo facciamo in comunione, vivendo la comunione nel senso più autentico e universale che solo la Chiesa può rappresentare. I tanti eventi giubilari che il mondo ha guardato anche con stupore, come quello recente dei giovani, sono una forte presenza di Dio oggi, una testimonianza di una Chiesa comunità che attira e rende manifesta questa presenza in questo tempo difficile.
Potrete immaginare quanto mi abbia interpellata la centralità che Giussani pone alla dimensione comunitaria ai fini della missione del cristiano nel mondo. Mi ha dato gioia la lettura di alcune pagine in cui ho ritrovato grande sintonia tra i nostri carismi, quello di Comunione e Liberazione e i Focolari, attorno alla vita di comunione. In una di queste Giussani dice: "È la comunione cristiana il vero soggetto dell'essere dentro una situazione: quartiere, scuola, università, città, nazione, mondo. Il vero soggetto cristiano è l'uomo che vive e porta con sé e crea, costruisce la Chiesa là dove è. È la comunione vissuta, è la comunione cristiana."
Come dicevo, ho trovato una grande consonanza, pur nella diversità dei rispettivi doni, con la spiritualità dell'unità di Chiara Lubich, la nostra fondatrice. Se posso dire anche qualcosa di personale, è stata proprio la qualità dell'amicizia tra un gruppo di giovani e la loro testimonianza di vivere le parole del Vangelo che, quando avevo 14 anni, mi ha toccato nel più profondo e mi ha fatto incamminare sulla strada del Focolare.
Chiara Lubich ha parlato infinite volte di comunione, trasmettendo la passione a migliaia di persone. Nell'89 ha definito l'espressione di comunione come il sacramento dei laici. Lei diceva: "Ho l'impressione che Gesù in questa epoca, attraverso noi laici, voglia uscire dai tabernacoli, voglia andare in mezzo al mondo, voglia venire in mezzo a noi. Anzi, questo Gesù in mezzo, secondo me, è il sacramento dei laici.
Se noi non entriamo nella società, nell'umanità, rimaniamo un movimento troppo spiritualista che non è quello che Dio vuole, perché Gesù si è incarnato, è diventato uomo. Ma le conferme che la vita in comunione è centrale per la Chiesa e per le tante situazioni che l'umanità vive non si esauriscono di certo qui. Un ulteriore importante esempio che ho vissuto è stato il Sinodo sulla Sinodalità a cui ho partecipato. Lo definirei una p