Perché mio figlio non risponde al cellulare?

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Perché mio figlio non risponde al cellulare? Una guida semiseria alla comunicazione genitori-adolescenti

“Se tuo figlio risponde al telefono, chiamate Lourdes”

(ovvero: il cellulare che non telefona più)

C’era una volta il telefono. Quello vero. Quello con la cornetta, il disco, la suoneria da infarto e la madre che urlava dal corridoio:
“È per te!”.

Oggi, invece, c’è Elio. Anni 15. Vivo, sano, simpatico. Ma telefonicamente scomparso.

Sua madre Yvonne (nome di fantasia, ma disagio autentico) lo dice chiaro:
“Se mio figlio risponde al cellulare, è un miracolo.”

E non è l’unica. Ci sono intere schiere di genitori nella stessa condizione. Gente che per comunicare con la prole deve passare per intermediari, segnali di fumo o invocazioni agli spiriti guida.

Il cellulare non è più un telefono

Per Elio (e milioni di coetanei), il telefono non è un telefono.
È un’estensione del gruppo. Una piazza. Un baretto digitale dove si sta con gli amici, non per farsi trovare dai genitori.

È come se ti dessero una trombetta da carnevale e pretendessero di usarla come strumento d’allarme antincendio.

I genitori chiamano. Elio non risponde.
Mandano un messaggio. Elio forse lo legge.
Ma solo se:

  • non è in compagnia
  • non è occupato a inviare meme
  • non ha il telefono in modalità “non disturbare eterno”

Il problema? Noi usiamo il telefono per raggiungerli.
Loro lo usano per sfuggirci.

“Mi controllo da solo, grazie”

Quando Yvonne e il marito hanno chiesto spiegazioni, Elio è stato sincero:
“Non vi ho risposto perché sapevo che avreste detto di no.”

Tradotto: se non ti rispondo, non mi controlli.
E se non mi controlli, sono libero.
Semplice. Geniale. Diabolico.

Ma c’è anche una logica più sottile.
Gli amici portano notizie, battute, vita.
I genitori… spesso ordini, richieste, ansie travestite da “solo per sapere se stai bene”.
E allora il silenzio diventa autodifesa.

Genitori 2.0: meno controllo, più strategia

Dopo l’episodio della pizza “clandestina”, i genitori hanno fatto qualcosa di rivoluzionario: hanno pensato.
Hanno smesso di fare gli elicotteri da salvataggio e hanno trattato Elio come un essere pensante (più o meno).

Hanno stretto un patto:

  • li chiameranno solo per necessità
  • Elio deve rispondere, o almeno avvisare
  • se non lo fa, il cellulare diventa un fermacarte

Un compromesso semplice. Una crescita reciproca.

Il parere della psicologa

Rossana Silvia Pecorara, psicologa clinica e mental coach, applaude alla svolta:
“Quando i ragazzi chiudono la porta, spesso è perché i genitori bussano troppo forte.”

Il punto è che il telefono ha cambiato le regole del gioco. Non è più un oggetto, è un ambiente.
Un habitat relazionale dove i genitori sono intrusi rumorosi.
Serve un’altra lingua.

  • Invece di chiamare, mandiamo un meme.
  • Invece di scrivere “Dove sei?”, mandiamo una canzone che gli piace.

Si chiama pebbling: piccoli sassi di presenza.
Gesti minuscoli che dicono: “Ci sono, ma non ti sto spiando.”

A volte anche un semplice “👍” vale più di un interrogatorio da caserma.

Conclusione

Se tuo figlio non risponde al telefono, non è rotto il cellulare.
Siete voi a usare la linea sbagliata.

La generazione Z parla silenziosamente.
E a volte, ascoltando il loro silenzio, si capisce più di mille chiamate.

Ti è successa una cosa simile? Scrivilo nei commenti o condividi l’articolo. Anche i genitori hanno bisogno di una piazza tutta loro.

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Red