Hai un minuto per un sorriso? Perché quello decide se il cliente tornerà.

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Campagne pubblicitarie sì, ma se non saluti chi entra nel tuo negozio, stai sprecando tutto. La gentilezza non è buona educazione: è il marketing più potente che c’è.

Giorni fa parlando con un cliente con cui collaboriamo da diversi anni, che si occupa di marketing di prossimità (ovvero una decina di punti vendita sparsi in giro per la città e provincia), la conversazione è scivolata naturalmente su un tema che li tocca da vicino: la crisi delle piccole/medie attività commerciali locali. Non quella economica o almeno, non solo ma una crisi più sottile, più silenziosa: quella dell’attenzione. Dell’umanità. Della presenza.

Sai qual è il vero problema di tanti negozi?” mi ha detto, quasi a bruciapelo. “Non è la mancanza di visibilità, né la concorrenza degli e-commerce. È che quando entri, spesso non ti saluta nessuno, sei quasi abbandonato a te stesso.

Un’affermazione semplice, ma pesante come un macigno.
Un saluto quando entro. Un “grazie” quando pago. Un “le serve aiuto” all’interno del punto vendita.
Un “arrivederci” quando esco.

Tre gesti elementari, quasi banali. Eppure, oggi, sono diventati rari. E quando mancano, lasciano un vuoto che nessuna campagna pubblicitaria può colmare.

Il paradosso? Molti di questi esercenti, quando decidono di investire, lo fanno in marketing: social media, promozioni, flyer, spot locali. Ma spesso lo fanno senza aver prima curato le basi — quelle basi fatte di sguardi, di sorrisi, di riconoscimento. Come se si potesse costruire una casa partendo dal tetto.

Eppure, un sorriso costa meno di qualsiasi campagna. E dura più a lungo.

Chi lavora nella vendita, in qualsiasi settore, dovrebbe ricordare una verità semplice ma trascurata: la gentilezza è una leva commerciale. Forse la più potente. Perché non vende un prodotto, vende un’esperienza. E le persone non tornano per un prezzo o un articolo: tornano perché si sono sentite bene.

Il cliente non è importante solo quando entra. È importante soprattutto quando esce. Perché è in quel momento che decide — in silenzio, nel suo cuore — se tornerà o no. E quella decisione non la prende sulla base di un logo ben disegnato, ma su come si è sentito mentre usciva: visto? Apprezzato? Rispettato?

Spesso, però, dietro la freddezza di un negozio, non c’è cattiveria, ma stanchezza. Titolari schiacciati dal lavoro, dalla burocrazia, dai margini sempre più stretti, che arrivano a fine giornata con il sorriso esaurito. Oppure dipendenti lasciati soli, senza formazione né supporto, che non conoscono i prodotti e, ancor di più, non sanno come relazionarsi con le persone.

Ma proprio per questo, la gentilezza non dovrebbe essere lasciata al caso, né al buon umore del momento. Dovrebbe essere parte della strategia. Dovrebbe essere insegnata, coltivata, valorizzata. Perché non è “solo” un valore umano: è un vantaggio competitivo.

Oggi, in un mondo sempre più veloce, digitale, impersonale, chi riesce a regalare un momento di autentica umanità sta facendo qualcosa di rivoluzionario.

Sta dicendo: “Tu conti. Sei qui, e io lo vedo.

E questo, nessun algoritmo potrà mai replicarlo.

Forse è il momento di smettere di pensare che il marketing sia solo comunicazione esterna. Il vero marketing di prossimità inizia dentro il negozio. Comincia con un saluto. Con uno sguardo. Con un “grazie” detto con il cuore.

Perché alla fine, non si tratta di vendere di più. Si tratta di creare legami. E i legami nascono dalla cura.

Capita anche a voi? Vi siete mai trovati a uscire da un negozio pensando: “Tutto bene, ma nessuno mi ha guardato negli occhi?” Oppure, al contrario, avete mai deciso di tornare in un posto solo perché qualcuno vi ha salutato con un sorriso?

Forse, la prossima campagna di marketing che serve a tanti piccoli esercenti non è sui social.
È tra gli scaffali. È fatta di gentilezza. E costa zero.

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