11 Settembre, 2025
Come ridurre il debito tecnico e liberare capacità di delivery con il Low Code
L’articolo in breve
- Il backlog non si svuota, il debito tecnico cresce e le integrazioni API-first sempre più complesse rallentano la delivery dei prodotti.
- I quattro KPI forniti da DORA — frequenza di rilascio, lead time, tasso di fallimento e tempo di ripristino — misurano le performance e aiutano a capire dove si perde tempo.
- Il Low Code automatizza il ripetitivo, standardizza componenti e processi e si integra nativamente con DevOps lungo versioning, CI/CD e promozione degli artefatti.
- I benchmark indicano un vantaggio di produttività concreto con ~8,3 ore/FP con lo sviluppo tradizionale, ~1,8 ore/FP con lo sviluppo in Low Code “standard” e ~1,13 ore/FP con lo sviluppo Low- Code con WebRatio Platform.
- Per gli sviluppatori significa rilasci più prevedibili, meno rework e meno debito a fine sprint, con più tempo dedicato a dominio, performance, sicurezza e integrazioni.
- L’adozione funziona al meglio su domini ad alta ripetitività e integrazione come CRUD, workflow, front-end transazionali e orchestrazioni, mentre le parti specialistiche o latency-sensitive restano in full-code.
La crescita della domanda di funzionalità, l’eterogeneità dei sistemi esistenti e i vincoli di sicurezza e conformità impongono ai team di sviluppo di aumentare la velocità senza sacrificare qualità e controllo architetturale.
In questo scenario, l’adozione di piattaforme Low Code non va letta come sostitutiva del codice, ma come leva per standardizzare attività ripetitive, accelerare l’integrazione e focalizzare gli sforzi sulle logiche core.
Il problema di backlog, debito tecnico e integrazioni complesse
Per molti team di sviluppo la pressione è sempre la stessa: rilasciare più spesso senza perdere qualità, sicurezza e scalabilità. Quando i rilasci diventano lenti o irregolari, il backlog non si svuota: ogni sprint è assorbito da imprevisti, correzioni e attività ripetitive. Le ricerche DORA mostrano che quattro indicatori raccontano bene la salute della delivery:
- Frequenza di rilascio (Deployment Frequency)
- Tempo di consegna delle modifiche (Lead Time for Changes)
- Tasso di fallimento dei rilasci (Change Failure Rate)
- Tempo di ripristino (Mean Time to Restore)
Migliorare questi elementi — tramite automazione e processi coerenti — è ciò che fa la differenza nel tempo.
Il debito tecnico non è solo “codice disordinato”, è anche architetture non uniformi, infrastrutture datate, test e documentazione insufficienti. Secondo McKinsey, i CIO stimano che il debito tecnico valga dal 20% al 40% dell’intero parco tecnologico e che una quota rilevante del budget per nuovi progetti venga di fatto usata per gestirlo. Rinviare gli interventi significa, quindi, pagare interessi sempre più alti: ogni rilascio costa di più e arriva più tardi.
Sul fronte integrazione, la normalità oggi è un approccio API-first: nel 2024 il 74% dei team si definisce tale e un’applicazione media poggia su 26–50 API (Postman, 2024 State of the API Report). È un ecosistema potente ma anche complesso, che prevede più dipendenze, maggiore variabilità e una superficie d’attacco più ampia — soprattutto per le API interne. Senza standard condivisi, governance e automazione, l’integrazione diventa il collo di bottiglia che rallenta l’analisi, i test e la messa in produzione.
Perché intervenire adesso?
- Ridurre il debito significa liberare capacità e andare incontro a meno rework e incidenti e quindi avere più tempo da dedicare a funzionalità rilevanti;
- Standardizzare le integrazioni e i passaggi di rilascio rende il percorso più prevedibile;
- Misurare con le metriche DORA aiuta a individuare dove si perde tempo.
Laddove versioning, pipeline e promozione degli artefatti sono disciplinati, i passaggi a collaudo si misurano in settimane invece che in mesi: effetto diretto di componenti riutilizzabili e configurazioni per ambiente ben governate.
Il ruolo del Low Code in un contesto enterprise
Abbiamo visto come i quattro indicatori DORA evidenzino i punti in cui si disperde capacità. Ora vediamo in che modo il Low Code può contribuire a migliorare queste metriche agendo su ciascuno di esse, ovvero:
- l’automazione delle attività ripetitive riduce il tempo di consegna delle modifiche;
- la standardizzazione e l’impiego di componenti riutilizzabili abbassano il tasso di fallimento dei rilasci;
- l’integrazione nativa con la toolchain DevOps aumenta la frequenza di rilascio e accelera il tempo di ripristino.
A questo, si aggiunge la generazione automatica del codice, che crea uno standard privo di errori. Questo processo non solo riduce il debito tecnico, ma consente anche agli sviluppatori di continuare a lavorare senza interruzioni durante la fase di generazione. Inoltre, i vendor delle piattaforme low-code si occupano direttamente di aggiornare le tecnologie sottostanti le applicazioni, garantendo che i sistemi rimangano sempre al passo con i tempi.
In un’organizzazione complessa, i benefici più solidi dell’utilizzo del Low Code si concentrano quindi sulle seguenti aree operative.
1) Riduzione del lavoro ripetitivo, maggior tempo sul core
La modellazione visuale consente di eliminare attività a basso valore (boilerplate, wiring, CRUD, UI standard) e di generare automaticamente artefatti applicativi su tecnologie aperte, riducendo il tempo speso su compiti meccanici e ripetitivi.
Nello specifico, il modello copre dati/servizi (OpenAPI e UML), comportamento (IFML), processi (BPMN) e interfacce (WYSIWYG su HTML5), con produzione di codice in Java, SQL, HTML, CSS, TypeScript—lasciando sempre la possibilità di intervenire in full-code con componenti e plugin personalizzati quando necessario. In questo modo si preservano ispezionabilità e qualità del ciclo SDLC esistente, senza sacrificare la capacità di personalizzazione.
2) Standardizzazione by design (e meno variabilità tra team)
Nel lavoro multi-team, la variabilità di scelte e stili è un moltiplicatore di debito tecnico. L’uso disciplinato di modelli, librerie comuni e componenti riutilizzabili impone coerenza (naming, pattern d’integrazione, gestione errori, layout), semplifica le code review e velocizza l’onboarding. Il risultato è un codice più omogeneo e manutenibile, con benefici cumulativi su qualità e tempi di rilascio. Inoltre, la piattaforma integra nativamente database e servizi (JDBC/Hibernate; REST/OpenAPI), evitando soluzioni ad-hoc che aumentano l’entropia progetto su progetto.
3) Integrazione nativa con DevOps: dal versioning al deploy
L’integrazione con strumenti di versioning (Git), CI/CD (ad es. Jenkins, Azure DevOps, Bamboo/Ansible), test automation e containerizzazione rende pipeline e promozione degli artefatti parte del flusso di sviluppo—non un’integrazione “a posteriori”. Nei casi reali, i repository e le pipeline per progetto orchestrano build (risoluzione dipendenze, generazione dell’artefatto EAR/WAR o immagine Docker) e deploy su ambienti separati; il passaggio tra sviluppo, collaudo e produzione riutilizza artefatti già validati, con configurazioni per ambiente gestite tramite variabili (senza toccare il codice). Questo accorcia i cicli di rilascio e aumenta la prevedibilità,