Vent’anni di Shantaram, quindici di BEAT e ci si prepara all’ottantesimo! Intervista a Giovanni Francesio.
di Paolo Soraci
Periodo di intensi festeggiamenti per la casa editrice Neri Pozza. L’anno è iniziato festeggiando i vent’anni dalla pubblicazione di Shantaram, il picaresco romanzo e memoir di Gregory David Roberts, arrivato di ristampa in ristampa in vista del mezzo milione di copie vendute. Subito dopo è stata la volta dei quindici anni dalla nascita di Beat, la collana di economici della casa editrice festeggiata nei mesi scorsi con una poderosa campagna promozionale. La ripresa autunnale vede, per prima cosa, la riapertura, dopo brevissima chiusura per lavori, della libreria il Trittico, storica libreria milanese in Via San Vittore acquisita da Neri Pozza, il cui indirizzo coincide con quello della casa editrice e immediatamente a seguire la seconda edizione di Wunderkammer, bella manifestazione “a marchio” nella città di Verona. Il tutto mentre ci si prepara per l’ottantesimo compleanno. Gran cerimoniere, il direttore editoriale Giovanni Francesio, da due anni alla guida della casa editrice, una lunga esperienza, in compenso, in un grande gruppo come Mondadori. Due anni sono già un buon periodo per tirare qualche somma parziale di questa esperienza.
Giovanni Francesio, come si passa dal Moloch Mondadori a un’agile nave corsara come Neri Pozza?
Come sono passato? In modo totalmente inaspettato, nel senso che dopo vent’anni nel gruppo Mondadori ero serenamente convinto che lì avrei finito la mia vita professionale. E invece quando è arrivata questa proposta, ripeto in modo del tutto inaspettato, ho deciso di accettarla perché speravo che succedesse quello che in effetti è successo, e cioè di trovarmi in una dimensione aziendale in cui fosse possibile mettere a fattor comune tutte le esperienze che avevo accumulato a Segrate. Perché la differenza è proprio di ruolo, del tipo di lavoro che faccio: in Mondadori ho coperto diverse funzioni, dal direttore editoriale al direttore marketing, ho avuto la possibilità di spaziare un po’ in tutti i settori di una casa editrice, ma in qualche modo, uno per volta. In un gruppo come Mondadori fai quello che sei in quel momento, se sei editor fai l’editor, se sei il marketing fai il marketing, se sei l’ufficio stampa fai l’ufficio stampa, e puoi non sapere cosa significa ricoprire un altro ruolo.
In Neri Pozza, invece, riesco più o meno a seguire, a “vedere” insieme tutte le fasi del lavoro, che è una cosa discretamente logorante dal punto di vista fisico però davvero molto stimolante da quello professionale. Il cambiamento più radicale è poi che venivo da cinque anni come responsabile della narrativa italiana di Mondadori, quindi, sostanzialmente mi occupavo in prima istanza di scelte editoriali e di babysitting degli autori. Adesso la scelta editoriale è sicuramente quel che mi impegna di meno: c’è la vice direttrice editoriale Sabine Schultz per la letteratura straniera, c’è Francesca Lang per la narrativa italiana, e c’è Pierluigi Vercesi su un pezzo importante di saggistica. Quindi le proposte editoriali arrivano copiose e di grande qualità da queste colleghe e colleghi e io mi occupo sostanzialmente di tutto il resto: del publishing nel senso più ampio del termine.
Torniamo ai festeggiamenti che citavamo in apertura. Citerò tre autori e tre successi: Roberts con Shantaram, Chevalier con La ragazza con gli orecchini di perla, il recente McDowell di Blackwater. Come si iscrivono i grandi successi di vendita come questi nella vita di una casa editrice come Neri Pozza? Come si sopravvive ai propri best seller
Sono tre casi molto diversi tra di loro. Per rispondere subito alla tua domanda, al best seller non si sopravvive. Lavoravo in Piemme ai tempi del Cacciatore di aquiloni e uno dei miei maestri, il professor Ferrari, mi disse: “Ricordati che nessun successo rimane impunito”. Frase perfetta e giustissima. I tre casi che citi sono davvero tre casi diversi. Partiamo dal più recente in termini cronologici, cioè Blackwater, che è proprio il classico successo che non rimane impunito, perché sai da subito quanto sarà dura farci i conti da un punto di vista gestionale, economico. Ovviamente, una bellissima scelta editoriale, un bellissimo progetto di publishing, tutto è bellissimo, ma è una scommessa che vinci al di là delle tue stesse aspettative. Ne metti in libreria cinque-seimila copie, il libro parte, tu gli corri dietro, lo accompagni e finisci per venderne centomila. Magnifico, un esito che sorprende tutti a partire da te che lo hai pubblicato, e con cui negli anni a seguire continuerai a fare i conti perché ti mancherà a lungo quel di più che nessuno aveva preventivato.
Tracy Chevallier, in compenso, è un grande patrimonio della casa editrice. Ogni suo nuovo libro è un’uscita attesa, lanciata e pianificata con piena consapevolezza. Perché è vero che è sempre difficile prevedere quanto venderà un libro, quale impatto commerciale avrà, però con un’autrice come la Chevallier, con la sua storia editoriale, un’idea di base ce l’abbiamo, e quindi la novità viene prenotata in un certo modo, gestita in un certo modo, lanciata in un certo modo: rientra in un lavoro che può e deve essere programmato in anticipo.
Shantaram è il sogno di chiunque faccia questo mestiere. Lascio anche perdere l’aspetto commerciale di un libro di vent’anni fa che continua a vendere 300-400 copie alla settimana tutte le settimane, per puro passaparola. Shantaram è un miracolo culturale, perché smentisce qualsiasi luogo comune dell’editoria. Si dice che i libri lunghi non funzionano? Shantaram è lungo milleduecento pagine. Si dice che la vita dei libri è sempre più corta e Shantaram da vent’anni conquista sempre nuovo pubblico: siamo probabilmente alla terza generazione di lettori che hanno amato quel libro. Si afferma che leggono in pochi, che la lettura è un’attività elitaria e invece gli “shantaramisti” uniscono le generazioni, attraversano i più diversi strati di competenza, arrivano dagli ambienti meno ovvi, dallo sport – e penso a Daniele De Rossi, a Luigi Datome, l’ex capitano della nazionale di basket – a attori, scrittori, amici. Se in una cena dove ci sono cinque sei persone si cita Shantaram, novanta volte su cento qualcuno dirà che lo ha letto e novantanove volte su cento dirà che gli è piaciuto.
E quindi dove si colloca in questo momento Neri Pozza nell’eterna dialettica tra ricerca delle novità e costruzione del catalogo?
Si colloca in un contesto dove si cerca di lavorare tanto e bene. Abbiamo leggermente ridotto il numero di nuove uscite all’anno con il solo scopo di lavorarle al meglio possibile. Le risorse non sono infinite e quindi quando si pubblica un libro ci deve essere un’assunzione di responsabilità nei confronti non tanto dell’autore, quanto del libro stesso. Anche il più piccolo dei libri, la più piccola delle tirature deve ricevere il giusto sostegno nella misura del suo potenziale. Neri Pozza viaggia intorno alle novanta, cento novità all’anno, un numero considerevole, che con grande sforzo di tutto il meraviglioso gruppo che compone la casa editrice cerchiamo di pubblicare al meglio, dalla cura redazionale alla scelta delle copertine, alla comunicazione ai punti vendita. Per quanto riguarda il catalogo, credo che si debba sempre cercare di dare ai libri il loro tempo, perché non sempre trovano subito i loro lettori: a volte ci vogliono mesi, a volte anni, a volte persino decenni, e bisogna fare in modo che i libri buoni resistano, reggano, siano disponibili. In questi due anni abbiamo cercato di razionalizzare il catalogo, mettendo ordine, facendo della “Biblioteca” un contenitore di classici contemporanei, libri destinati a durare nel tempo. Tra novità e catalogo cerchiamo, in sostanza, di fare bene entrambe le cose, evitando di concentrarci soltanto sulle novità, che è un po’ un vizio dell’editoria italiana.
Parlare di catalogo porta ovviamente alla seconda festeggiata. In questi quindici anni BEAT ha conosciuto diverse vicissitudini che faccia sta assumendo con la tua nuova conduzione?
Una faccia sola, nel senso che stiamo sostenendo con grande energia i BEAT Bestseller in cui facciamo ricadere le novità che hanno funzionato di più, che hanno dimostrato di piacere di più al pubblico, fra quelle già pubblicate in Neri Pozza. Certo, i BEAT sono una collana di tascabili economici, ma rientrano in una fascia di qualità medio alta: volumi con le alette, molto curati anche dal punto di vista redazionale e da quello del publishing. E da quest’anno abbiamo iniziato a fare politica d’autore anche in BEAT: gli autori e le autrici che hanno diversi titoli e sono riconosciuti dal pubblico hanno il loro catalogo dentro i BEAT Bestseller, con una veste univoca e riconoscibile. Penso a Natsuo Kirino, a Pierre Martin, a Bannalec, a Romana Petri e sicuramente sto dimenticando qualcuno. Così BEAT diventa il catalogo di Neri Pozza e non solo un contenitore di riversamenti.
Una novità vistosa della sua nuova conduzione è sicuramente il rinnovato slancio dedicato alla narrativa italiana.
Non esagererei, nel senso che la narrativa italiana di Neri Pozza era ben viva anche prima di me. Diciamo che con l’arrivo di Francesca Lang, arrivata come responsabile della narrativa italiana poco dopo il mio ingresso in casa editrice, la proposta si è strutturata, con qualche novità: Francesca ha portato autori, e soprattutto autrici, con cui aveva già lavorato in precedenza e ne ha trovate anche di nuove e di nuovi. Anche lei viene dal gruppo Mondadori, e ha portato in dote una ferrea logica di organizzazione del programma editoriale, motivo per cui forse la narrativa italiana ora si nota di più. Effettivamente l’anno scorso abbiamo avuto delle belle soddisfazioni: penso a due autrici che avevano già pubblicato fuori da Neri Pozza come Paola Barbato e Carla Maria Russo. C’è stato un libro importante come quello di Francesca Diotallevi, che pubblica in Neri Pozza da tempo, e c’è stato l’esordio di Marta Lamalfa, che ha vinto il premio Bagutta Opera Prima. Ma anche il 2025 chiuderà come un anno di narrativa italiana interessante, all’altezza della straniera, che da sempre è il cuore pulsante della casa editrice. D’altra parte sono molto contento anche del lavoro avviato sulla non fiction: l’anno scorso abbiamo avuto Nathan Thrall che ha vinto il Pulitzer, mentre Maurizio Serra – che è da anni un autore cruciale per la nostra saggistica – ha ricevuto un riconoscimento importante come il Premio Arbasino, e adesso stiamo dando nuovo slancio anche alla collana curata da Giorgio Agamben, “La quarta prosa” che pur essendo ovviamente piccola dal punto di vista della dimensione commerciale è però molto importante da quello editoriale e culturale.
Non ci resta che ricordarvi l’appuntamento con la seconda edizione di Wunderkammer, dal 26 al 28 settembre 2025 a Verona: ve ne abbiamo parlato qui, ma il programma completo e tutte le info sono disponibili sul sito della manifestazione.
Potete ascoltare la nostra intervista in formato audio nella puntata trenta del nostro podcast INDIE – Libri per lettori indipendenti.