Diagnosi precoce e percorsi integrati: la chiave per cambiare la vita dei bambini con sordità

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Screening, diagnosi e trattamento protesico-riabilitativo nei primi mesi di vita sono fondamentali per lo sviluppo del linguaggio, ma servono centri specializzati e percorsi mirati

La sordità congenita è una delle principali cause di disabilità sensoriale infantile e, nelle sue forme legate a malattie rare, può essere difficile da individuare tempestivamente. Ritardi nella diagnosi comportano conseguenze importanti per lo sviluppo del linguaggio e per l’autonomia del bambino. Ne abbiamo parlato con il professor Sandro Burdo, tra i massimi esperti italiani di audiologia pediatrica e già direttore del reparto di Audiovestibologia dell’Ospedale di Varese, che da anni si occupa di diagnosi, riabilitazione e ricerca sulle ipoacusie genetiche. 

Secondo il prof. Burdo, un approccio diagnostico tempestivo e integrato può fare la differenza tra una vita segnata dalla disabilità e una vita comunicativamente autonoma”.

DIAGNOSI: ANCORA TROPPO TARDI IN MOLTI CASI

Negli ultimi anni lo screening audiologico neonatale ha consentito di identificare molte ipoacusie già alla nascita, ma in Italia la diagnosi completa arriva spesso troppo tardi. “L’età media di diagnosi è ancora di un anno, un anno e mezzo”, spiega il professore. “È un progresso rispetto al passato, ma l’obiettivo deve essere quello di arrivare entro tre mesi di vita, perché è in questa finestra che il cervello sviluppa le connessioni necessarie per il linguaggio”.

Lo screening, ricorda l’esperto, non è una diagnosi definitiva: “Individua un sospetto, ma serve un centro specializzato che completi l’iter, identifichi la causa e avvii immediatamente la riabilitazione”. Non tutte le Regioni garantiscono lo stesso livello di presa in carico, e in molti casi le famiglie restano senza un percorso chiaro dopo il primo allarme.

Una diagnosi efficace deve includere anche un’indagine genetica e virologica, perché le forme di sordità congenita non sono tutte uguali. Circa la metà dei casi ha origine genetica, ma all’interno di questa categoria esistono mutazioni molto diverse tra loro. Il professor Burdo distingue due forme principali: la più frequente è quella causata da alterazioni della connessina (una proteina che consente la comunicazione tra le cellule dell’orecchio interno), che rappresenta circa il 40% dei casi e non è candidabile alla terapia genica; l’altra è quella legata alla mutazione del gene che codifica per l’otoferlina (una proteina cocleare coinvolta nella attivazione del nervo uditivo), attualmente oggetto di studi, che hanno superato la fase della sperimentazione animale per, il ripristino dell’udito attraverso terapia genica. Un altro 20% è legato a infezioni prenatali, come il citomegalovirus, che può causare danni progressivi e richiede monitoraggio costante. Esistono poi forme idiopatiche, anch’esse intorno al 20%, di origine sconosciuta, che necessitano di una diagnosi differenziale approfondita. Infine, circa il 10% dei casi è acquisito, per esempio a causa di traumi, meningiti o complicanze neonatali.

IL “QUANDO” E IL “COME” FANNO LA DIFFERENZA

Per il professor Burdo, non basta scoprire la sordità, bisogna gestirla correttamente e subito. Nei primi mesi di vita, il cervello del bambino è plastico e pronto a sviluppare il linguaggio, ma se l’input uditivo manca o è distorto, questa finestra si chiude.

L’impianto cocleare, oggi diffuso, è solo un mezzo: “L’impianto non fa miracoli da solo. Serve un percorso educativo intensivo, fatto di stimolazione quotidiana, logopedia mirata e soprattutto coinvolgimento attivo della famiglia”. Quando questo avviene, i risultati possono essere straordinari; quando invece l’intervento è tardivo o la riabilitazione è frammentaria, il bambino resta indietro nello sviluppo linguistico.

IL RUOLO DEI CENTRI SPECIALIZZATI E DELLA RIABILITAZIONE

L’Italia ha pochi centri di terzo livello realmente in grado di seguire tutto il percorso: dalla diagnosi genetica e audiologica fino alla riabilitazione. “In molti ospedali – sottolinea l’esperto – si limita l’intervento all’impianto e si demanda poi a logopedisti isolati, senza un progetto complessivo. Questo è un errore grave”.

L’esperienza di Varese, dove il clinico ha lavorato per anni, dimostra l’efficacia di un approccio integrato: “Già negli anni ’90 – racconta – facevamo videoconferenze con le famiglie per guidarle passo passo. Il coinvolgimento dei genitori è fondamentale: devono sapere cosa fare durante tutto il giorno, non solo nelle sedute di logopedia”.

NUOVE FRONTIERE: LA TERAPIA GENICA PER LA SORDITÀ DA OTOFERLINA

Tra le forme di ipoacusia genetica, quella causata dalla mutazione dell’otoferlina sta aprendo scenari rivoluzionari. “Per questi bambini si sta sperimentando una terapia genica capace di ripristinare l’udito. È qualcosa di straordinario, ma sembra funzionare solo se si interviene nei primi mesi di vita”, spiega Burdo.

Questa prospettiva rende ancora più cruciale la diagnosi genetica precoce. “Se non si conosce la causa della sordità, si rischia di fare interventi – come l’impianto cocleare – che precludono l’accesso alla terapia genica. Per questo dobbiamo capire subito chi sono i bambini candidati a queste cure”.

UNA DIAGNOSI TEMPESTIVA CHE CAMBIA IL FUTURO

Le parole del professore tracciano un quadro chiaro: la diagnosi precoce, associata a una presa in carico specialistica e a percorsi riabilitativi adeguati, è la chiave per cambiare radicalmente la vita di un bambino con sordità.

Oggi abbiamo strumenti potentissimi, dallo screening alle terapie più avanzate, ma senza una rete di centri competenti e senza il coinvolgimento delle famiglie, rischiamo di sprecare queste opportunità”, avverte Burdo.

L’appello è a politiche sanitarie che garantiscano uniformità di accesso, supporto alle famiglie e sviluppo di centri di eccellenza in tutto il territorio nazionale. “Solo così – conclude – potremo davvero offrire a questi bambini un futuro in cui la sordità non sia più un limite, ma solo una condizione gestita nel modo giusto”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Alessandra Babetto)