Fenilchetonuria: con una diagnosi precoce e un trattamento adeguato chi ne è affetto può condurre una vita piena

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Rovelli (San Paolo): “La patologia è complessa. Le nuove formulazioni aiutano a personalizzare la terapia con BH4”

La fenilchetonuria (PKU) è una malattia metabolica genetica rara causata da un deficit dell’enzima fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per metabolizzare correttamente la fenilalanina (Phe), un amminoacido presente in molti alimenti proteici. In assenza di trattamento, l’accumulo di Phe può provocare gravi danni neurologici. Oggi, grazie allo screening neonatale, la diagnosi avviene precocemente, già nei primi giorni di vita, permettendo di avviare tempestivamente il trattamento. E non solo: negli ultimi anni l’approccio terapeutico si è evoluto, con l’introduzione di nuove opzioni, tra cui la terapia con BH4 (sapropterina), che in pazienti responsivi consente una gestione più flessibile della malattia. Possiamo oggi affermare che, con una diagnosi precoce e un trattamento adeguato, le persone con PKU possono condurre una vita piena e normale.

La dietoterapia rimane il gold standard nel trattamento della PKU”, spiega la Dott.ssa Valentina Rovelli, Referente dell’Equipe Malattie Metaboliche Congenite della SC di Pediatria dell’Ospedale San Paolo di Milano – ASST Santi Paolo e Carlo, Università degli Studi di Milano, Centro di riferimento regionale per le iperfenilalaninemie/PKU e per lo screening neonatale esteso. “Oggi però – prosegue – abbiamo a disposizione diverse opzioni farmacologiche efficaci, da impiegare come integrazione o, in alcuni casi, anche in alternativa alla dieta.” Tra queste la sapropterina, un cofattore impiegato in pazienti responsivi per favorire il controllo dei livelli di fenilalanina, e la terapia enzimatica sostitutiva, approvata per i pazienti dai 16 anni in su, particolarmente indicata per chi fatica a mantenere un’adeguata aderenza alla dieta e presenta discontrollo metabolico. “All’orizzonte – aggiunge Rovelli – c’è poi la sepiapterina, un’opzione promettente per quei pazienti che non hanno ancora raggiunto un buon controllo metabolico con le terapie disponibili. Non è da escludere che, in futuro, sarà possibile combinare queste terapie tra loro o associarle alla dieta, nell’ottica di un approccio sempre più personalizzato.” E conclude: “Naturalmente sarà necessario attendere le autorizzazioni ufficiali all’utilizzo della sepiapterina, ma i dati clinici finora disponibili sono incoraggianti.”

In un panorama terapeutico in continua evoluzione, è importante sottolineare che anche i trattamenti già disponibili possono essere migliorati nel tempo. L’esperienza clinica consente infatti di individuare criticità pratiche e, di conseguenza, sviluppare soluzioni più adatte ai bisogni dei pazienti. Un esempio significativo è la sapropterina, da sempre utilizzata nella formulazione in compresse, ma oggi disponibile anche in bustine orodispersibili.

Le bustine, da sciogliere in un bicchiere d’acqua, rappresentano una nuova formulazione molto utile – spiega Rovelli – soprattutto nei bambini o nei pazienti con difficoltà di deglutizione. Questa modalità di somministrazione consente una maggiore flessibilità nella gestione del dosaggio e può contribuire a migliorare l’aderenza alla terapia.”

In alcuni casi, infatti, i pazienti rispondono bene alla sapropterina ma necessitano di dosaggi elevati: “Parliamo anche di 10-15 compresse al giorno – continua Rovelli – e per qualcuno questo può rappresentare un ostacolo alla continuità terapeutica. Disporre di una bustina da 500 mg può semplificare notevolmente l’assunzione nei pazienti adulti che richiedono alte dosi giornaliere.”

Per questo è fondamentale che l’équipe metabolica possa valutare insieme al paziente la formulazione più adatta, tenendo conto non solo dell’efficacia clinica, ma anche della praticità, delle preferenze individuali e della sostenibilità del trattamento nel tempo. Così come nella vita quotidiana possiamo scegliere se assumere una vitamina in bustine, compresse o film orosolubili, è giusto che questa possibilità venga considerata anche in ambiti clinici più complessi. I bisogni legati alla salute – conclude Rovelli – sono gli stessi per tutti: poter scegliere la modalità più adatta rende la terapia più accessibile, più tollerabile e, quindi, più efficace.”

Ma che cos’è la sapropterina esattamente? “Si tratta di una forma sintetica della tetraidrobiopterina (BH4), un cofattore naturale della PAH. In alcuni pazienti con una forma “responsiva” di PKU, l’integrazione con sapropterina può potenziare l’attività enzimatica residua, facilitando il metabolismo della fenilalanina e riducendo la rigidità della dieta. In molti casi, ad oggi, il cardine del trattamento della PKU resta la dietoterapia, che consiste nell’eliminazione o riduzione degli alimenti ricchi di fenilalanina (carne, pesce, uova, latticini, legumi, frutta secca e alcuni cereali). Questa dieta deve essere seguita fin dai primi giorni di vita e adattata nel tempo, in base all’età e ai livelli ematici di Phe. La dieta prevede inoltre la supplementazione con aminoacidi privi di fenilalalanina, l’uso di alimenti aproteici (pasta, pane, biscotti, etc) ma soprattutto un monitoraggio regolare e costante dei livelli di fenilalanina nel sangue.”

Per questo è fondamentale che i pazienti facciano riferimento sempre e comunque al proprio centro: solo un’equipe metabolica esperta può garantire un programma terapeutico strutturato e personalizzato. L’equilibrio tra terapia farmacologica e dieta resta fondamentale per garantire uno sviluppo neurocognitivo ottimale e la migliore qualità della vita possibile nonostante la patologia.”

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Ilaria Vacca)