TARI, il MEF sul tributo da applicare agli immobili destinati al culto - redigo.info

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Il MEF, Dipartimento Finanze, emana la risoluzione n. 1 del 15 settembre 2025, chiarendo l’applicazione della tassa sui rifiuti (TARI) per gli immobili destinati all’esercizio del culto.

Intanto, scrive il Ministero, in materia di TARI alcuna disposizione prevede l’esenzione degli immobili per la sola circostanza che siano destinati al culto; tantomeno i luoghi di culto rientrano nelle tipologie di immobili per i quali, ex art. 1 c. 659 della L. 147/2013, è esplicitamente riconosciuta la facoltà del Comune di deliberare, con proprio regolamento, riduzioni tariffarie ed esenzioni.

Gli immobili destinati al culto possono, però, essere agevolazioni ai fini TARI in forza della facoltà riconosciuta al Comune dal comma 660 di quella Legge, che consente all’Ente locale di deliberare, con apposito regolamento, esenzioni o riduzioni della TARI per categorie di immobili ulteriori a quelle contemplate dal precedente comma 659, se la relativa copertura viene assicurata con il ricorso a risorse che derivino dalla fiscalità generale del Comune (diverse dal gettito della Tassa sui rifiuti).

Che la TARI non vada esclusa per la sola circostanza che gli immobili a cui deve applicarsi sono “edifici destinati al culto” è principio giurisprudenziale. Tuttavia, la Corte di Cassazione afferma che il Comune può disporre l’esenzione o l’agevolazione, ai fini del tributo locale, se riconosce, in applicazione del principio unionale “chi inquina paga” che l’art. 14 della direttiva 2008/98/Ce stabilisce, che quelle del fabbricato destinato al culto, per il particolare uso cui sono adibite, configurano aree non idonee alla produzione di rifiuti o con capacità produttiva ridotta degli stessi.

Ed infatti, presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani (art. 1, c. 641 della sopraccitata L. 147/2013). Pertanto, secondo la risoluzione ministeriale e la giurisprudenza di legittimità, il Comune, nell’esercizio della sua potestà regolamentare, può prevedere un’agevolazione ai fini della TARI per i fabbricati destinati al culto, se riconosce che si tratta di aree non idonee (o meno idonee) alla produzione di rifiuti, in ragione non solo della destinazione, ma anche dell’uso effettivo.

L’esercizio del culto va provato

Per il riconoscimento delle agevolazioni deliberate dal Comune:

– l’immobile deve effettivamente essere impiegato per la destinazione di culto;

– il contribuente deve presentare apposita dichiarazione (denuncia originaria o di variazione) nella quale indicare l’effettiva destinazione dell’immobile all’esercizio del culto (non essendo sufficiente, a tal fine, la sola classificazione catastale).

Di più: la Suprema Corte stabilisce che se il contribuente non assolve a tale onere di denuncia nei confronti del Comune, la circostanza della destinazione al culto dell’immobile non può essere fatta valere in sede contenziosa. Ove, viceversa, il regolamento comunale non preveda agevolazioni per gli immobili destinati al culto, questi sono assoggettati alla TARI secondo la disciplina ordinaria. In questa ipotesi, il Comune è tenuto a determinare le tariffe relative alla TARI in applicazione del menzionato principio “chi inquina paga”, tenendo conto della capacità di produrre rifiuti dell’immobile, alla luce dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

In altre parole, per definire le tariffe a cui assoggettare l’immobile destinato all’esercizio di culto, il Comune deve considerare che si tratta di superfici che non comportano la formazione di rifiuti in quantità elevate; dal che deve derivare una determinazione proporzionale del tributo locale.

Attenzione che la violazione del principio di proporzionalità può essere oggetto di controllo in sede di contenzioso: il regolamento che reca le tariffe della TARI può essere impugnato, se sussistono i presupposti, davanti al giudice amministrativo, ai fini dell’annullamento; nel contenzioso instaurato davanti al giudice tributario, la delibera illegittima può invece essere disapplicata (art. 7, c. 5, D. Lgs. 546/1992).

Redazione redigo.info

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