Quando Sergio Mattarella inaugura l’anno scolastico ricordando nel suo intervento che “saranno i giovani, diversi dagli adulti, a interpretare e governare i mutamenti epocali”, non pronuncia solo un augurio benevolo. Mette sul tavolo una responsabilità collettiva. La scuola, dice, è una “grande, preziosa seminatrice”. E non a caso evoca Vittorio Bachelet. Il martire della democrazia, il presidente dell’Ac, il servitore della Repubblica che in un’Italia in pieno mutamento sociale e ferita dal terrorismo ammoniva: “Quando l’aratro della storia scava a fondo… è importante gettare seme buono, seme valido”.
Parole – lo ricordiamo – pronunciate da Bachelet dieci anni dopo lo Statuto Ac del 1969. Per dare ragione della “scelta religiosa” dell’associazione: «Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa (…) è questo: riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato. Essa è impegno più rigoroso a ritrovare le radici della fede e a viverla con coerenza» (Scritti ecclesiali -Vittorio Bachelet, a cura di Matteo Truffelli, Editrice Ave, 2005, 1089).
L’aratro oggi scava ancora. Lo vediamo nelle guerre che insanguinano l’Europa orientale e il Medio Oriente. Nei muri che si rialzano mentre cresce la disperazione di interi popoli in fuga. Nelle democrazie che scricchiolano, logorate da populismi urlati, da derive autoritarie e da una crescente sfiducia verso le istituzioni. Anche l’Italia non è immune: la disaffezione politica, l’astensionismo record alle urne, la polarizzazione dei dibattiti mostrano un tessuto democratico fragile, che fatica a rigenerarsi.
In questo scenario, la frase di Vittorio Bachelet non suona come una citazione di circostanza. È una consegna: seminare buon seme proprio quando la terra sembra più sconvolta. Perché la storia insegna che i vuoti lasciati incolti si riempiono facilmente di erbacce: di violenza, di odio, di indifferenza.
La scuola è il campo privilegiato in cui questa semina può avvenire. Non solo trasmettendo competenze utili al mercato, ma soprattutto formando cittadini capaci di pensiero critico, di responsabilità, di passione civile. In un tempo in cui le fake news inquinano il dibattito pubblico e i social trasformano la complessità in slogan rabbiosi, avere generazioni capaci di discernere, di dialogare, di immaginare alternative è un atto di resistenza democratica.
Il seme buono oggi è questo: educare al rispetto, alla convivenza, alla ricerca della verità. Dare ai giovani strumenti per non piegarsi al cinismo, ma per credere che la politica – nel senso più alto – sia ancora il luogo dove si costruisce il bene comune. È anche ricordare che senza memoria – delle stragi, delle lotte civili, dei sacrifici di chi ha pagato con la vita la difesa della libertà – non c’è futuro che tenga.
Il Presidente Mattarella, con la sobrietà che gli è propria, ci dice che non possiamo abdicare a questa missione. La scuola è la seminatrice, ma la semina riguarda tutti: famiglie, comunità, istituzioni, società civile. Se la democrazia appare stanca, il compito non è quello di rimpiangere il passato, ma di alimentare nuove radici.
Perché l’aratro della storia continuerà a scavare, e la domanda decisiva sarà sempre la stessa: quali semi avremo avuto il coraggio di gettare?