Duro il giudizio del tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni a proposito del DDL sul suicidio assistito in discussione in Parlamento. “Cambia i parametri stabiliti dalla Corte costituzionale”
“Il testo in discussione in Parlamento non mira a regolamentare il fine vita, ma a cancellare i diritti che abbiamo conquistato a colpi di disobbedienze civili”: non usa mezzi termini nel bocciare il ddl sul suicidio medicalmente assistito, Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e volto conosciuto per le battaglie sui diritti civili, in particolare per quella sulla legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia. Gli abbiamo chiesto il suo giudizio e quello dell’associazione Luca Coscioni su un testo di legge molto divisivo, che sta spaccando l’opinione pubblica.
Qual è il vostro giudizio generale sul testo sul fine vita in discussione in Parlamento? E in particolare qual è la posizione dell’Associazione Luca Coscioni sulla questione delle cure palliative: cioè cosa comporta porre l’inserimento della persona malata in un percorso di cure palliative come condizione per il ricorso al suicidio medicalmente assistito?
Questa legge cambia i parametri stabiliti dalla Corte costituzionale, perché restringe l’accesso solo alle persone collegate a macchinari (“dipendenti da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali”), escludendo chi dipende dall’assistenza di terzi, come famigliari e caregiver (previsti invece dalla Consulta) con il risultato di escludere in partenza la quasi totalità delle persone che ne hanno bisogno. Non solo: introduce il coinvolgimento preventivo dell’autorità giudiziaria, in modo da bloccare le procedure, prevede la creazione di un Comitato etico nazionale di nomina governativa che centralizzi le risposte alle richieste di aiuto alla morte volontaria, tagliando così fuori i Comitati etici territoriali ed estromettendo il Servizio sanitario nazionale. Si introduce inoltre l’obbligatorietà delle cure palliative come condizione di accesso. Le cure palliative sono già un diritto da 15 anni. Attualmente esiste già il dovere da parte dello Stato di proporre e, nel caso, di fornire cure palliative al malato terminale. Inserire la questione del percorso di fine vita significa in realtà provare a farne un trattamento sanitario obbligatorio.
Come valuta oggi la situazione italiana rispetto al dibattito internazionale sul fine vita? Ci sono modelli o esperienze all’estero che ritiene particolarmente rilevanti per l’Italia?
Nel merito delle leggi, Belgio, Olanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Spagna hanno scelto la legalizzazione piena dell’eutanasia, con modalità diverse e con un’esperienza ormai anche decennale, che potrebbe fornire spunti fondamentali per trarre il meglio dai loro percorsi. Come metodo di dibattito, invece, in Francia e nel Regno Unito il confronto sul tema del fine vita si è svolto al di fuori delle logiche di partito. Nel Regno Unito la proposta è stata approvata nonostante il voto contrario di due ministri. In Francia, invece, il testo di iniziativa parlamentare è stato preceduto da un lungo lavoro di un’assemblea di cittadini estratti a sorte, durata diversi mesi. In Italia, al contrario, il Governo ha scelto di presentare in aula un testo frutto di un’intesa tra i partiti di maggioranza, senza avviare alcuna consultazione pubblica, se non qualche confronto informale con la Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Alcune regioni, come la Toscana, hanno iniziato a muoversi autonomamente sul tema. Questa frammentazione territoriale rappresenta un segnale di avanzamento o rischia di indebolire la pressione sul governo centrale?
Abbiamo proposto la nostra legge regionale “Liberi Subito” a tutte le Regioni, per ottenere certezza di tempi e modalità nell’attuazione dell’“aiuto al suicidio”, e la Toscana è stata la prima ad approvarla. Spero ne seguano altre. Le leggi regionali non modificano (non potrebbero farlo!) le regole nazionali su chi ha diritto a essere aiutato, ma danno certezze ai malati e ai medici sul come le regole nazionali devono essere attuate nella gestione del sistema sanitario, che è di piena competenza regionale. Una legge nazionale servirebbe per estendere i diritti, come fa la nostra legge di iniziativa popolare “Eutanasia legale”.
C’è il rischio che i cittadini italiani abbiano diritti diversi a seconda della regione in cui vivono?
Adesso c’è una sanità a macchia di leopardo in tutta Italia, perché ci sono Regioni che erogano tutto, fanno le verifiche nei tempi adeguate e Regioni che non lo fanno. Attualmente la sentenza della Corte costituzionale è applicata su tutto il territorio italiano ma in modo difforme, le legge regionale “Liberi Subito” mira proprio a questo, a dare regole certe e uniformi in tutte le Regioni.
Quali sono le principali iniziative che come associazione state portando avanti in questo momento, sia a livello istituzionale che di sensibilizzazione pubblica?
Come Associazione Luca Coscioni abbiamo deciso di mettere a disposizione del Parlamento una proposta alternativa, nel metodo e nel contenuto: la legge di iniziativa popolare “Eutanasia legale”, già sottoscritta da oltre 50mila persone, che va nella direzione del rafforzamento dei diritti esistenti, per consentire l’aiuto alla morte volontaria anche per mano di un medico e anche per pazienti non dipendenti da trattamenti sanitari. Inoltre, con l’obiettivo di informare adeguatamente i cittadini sui propri diritti nella fase della malattia e della fine della vita, il “Numero Bianco” (06 9931 3409), grazie a volontari formati che rispondono da tutta Italia, punta a fare luce su tutti i diritti in tema di fine vita: cure palliative, interruzione delle terapie, DAT, amministrazione di sostegno, pianificazione condivisa delle cure e scelte di fine vita.
Recentemente si è parlato molto del caso di Coletta, la 44enne affetta da SLA, che nelle scorse settimane ha ricevuto il diniego della Asl, perché non sarebbe mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, avrebbe cambiato l’idea di accedere al suicidio assistito e non soffrirebbe in modo intollerabile. Qual è la sua opinione in proposito?
In Campania, la Regione di “Coletta”, la nostra proposta di legge regionale “Liberi subito”, depositata da oltre un anno, non è mai arrivata in aula. Lo scorso marzo il presidente Vincenzo De Luca ne ha bloccato l’iter sostenendo la necessità di avviare un ciclo di consultazioni, a partire da quella con la Conferenza episcopale. Consultazioni che, però, non si sono mai svolte. Con questa mossa ostruzionistica, De Luca e la sua maggioranza hanno di fatto impedito di garantire tempi e procedure certi alle persone che, come “Coletta”, attendono una risposta. Il diniego che ha avuto alla sua richiesta di accesso al suicidio medicalmente assistito appare come un rifiuto arbitrario e si traduce in un trattamento disumano verso una donna costretta ad affrontare il rapido aggravarsi di una malattia gravissima.