Scopri perché la distinzione tra turista e viaggiatore è una bugia che ci raccontiamo, e cosa conta davvero nel modo in cui viaggiamo.
di Ruben Santopietro
C’è una frase che sento spesso: “io non sono turista, sono viaggiatore”. Ogni volta che la ascolto sorrido, perché è una scorciatoia che usiamo per sentirci tutti un po’ migliori, come se bastasse un’etichetta diversa a cambiare il senso di ciò che facciamo. Eppure la realtà, se la guardiamo con onestà, è più semplice e anche un po’ più scomoda.
Secondo la definizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, chiunque si sposti dal proprio luogo di residenza per almeno una notte senza lavoro retribuito sul posto rientra nel turismo. Punto. È un turista. La parola viaggiatore non è una categoria tecnica, non ha alcun valore accademico, ma è piuttosto una costruzione culturale, un racconto che facciamo a noi stessi e agli altri per apparire e probabilmente anche sentirci diversi.
Non è un dibattito solo italiano, anzi. La contrapposizione turista vs viaggiatore è globale e ricorre praticamente in tutte le culture dove il turismo è un fenomeno rilevante. In Inghilterra già nell’Ottocento i travellers si consideravano diversi dai tourists: i primi più avventurosi e colti, i secondi legati al nascente turismo organizzato dei Grand Tour. In Francia c’è la stessa distinzione tra voyageur e touriste, e anche qui il secondo termine ha assunto un’accezione quasi dispregiativa, associata a superficialità. In Spagna la differenza tra viajero e turista è diventata tema comune nel marketing delle destinazioni, con campagne che cercano di “trasformare il turista in viajero”. Nei Paesi anglosassoni, soprattutto negli Stati Uniti, “traveller” è spesso visto come chi cerca esperienze più autentiche, mentre “tourist” rimanda a viaggi preconfezionati e mete affollate.
Insomma, è un contrasto universale, anche se ogni Paese gli dà sfumature diverse. Non è un caso, ma nasce da un bisogno quasi umano di sentirsi diversi dalla massa.
Il mito del viaggiatore si è rafforzato negli ultimi anni come reazione alla logica della Checklist Era. Dal nostro ultimo report emerge che 3 turisti su 4 incarnano proprio questa logica: viviamo in un’epoca in cui il viaggio è spesso ridotto a una collezione da completare, dieci cose da vedere, cinque ristoranti imperdibili, tre tramonti da fotografare.
Tutto questo è utile, ma quando la lista prende il sopravvento sull’esperienza, il viaggio si impoverisce generando una contro-narrazione. E allora ci raccontiamo: “Io non faccio le file, non seguo i flussi, non vado dove vanno tutti: io sono viaggiatore”. È un’idea che funziona bene sui social e nelle conversazioni, ma non sempre nei luoghi che visitiamo. Perché si può dichiarare di essere viaggiatori e fare le stesse cose di tutti, così come ci si può definire turisti e vivere invece esperienze autentiche, profonde e rispettose. Alla fine non è questione di nome, ma di cosa resta del nostro passaggio.
La verità è che tutti alterniamo momenti da turista e momenti da viaggiatore… dipende dal tempo, dal budget, dall’energia o dallo scopo del viaggio. Tre giorni a Parigi possono diventare una corsa tra Louvre, Tour Eiffel e Montmartre, mentre un mese a Marsiglia può trasformarsi in un’immersione lenta, magari imparando a cucinare la bouillabaisse con una famiglia locale. Ma entrambi rientrano nella stessa definizione ufficiale di turismo.
L’errore è credere che turista significhi sempre superficiale e viaggiatore significhi sempre profondo, perché non è così. Non conta quanto hai visto o fotografato, ma se il luogo ti ha dato qualcosa e se tu hai saputo lasciare qualcosa in cambio. La differenza non sta nel nome che ti dai, ma nella reciprocità che sei capace di creare.
In Visit Italy abbiamo una convinzione che per noi è centrale: i luoghi possono avere i turisti, ma i turisti non possono avere i luoghi. Solo dove il benessere dei residenti è alto, anche l’esperienza del visitatore può esserlo, perché senza questa base l’equazione non funziona. L’ho visto più volte lavorando con territori che hanno scelto di crescere senza perdere il loro equilibrio, quando un luogo vive bene se stesso, anche chi arriva da fuori lo vive meglio.
E se togliamo le parole, restano i gesti concreti che cambiano davvero un viaggio. Non è questione di fotografare meno o comprare locale per principio, ma di lasciare valore invece che consumo, di rispettare il ritmo del posto, riconoscerne la cultura, restituire più di quanto hai preso.
Prova a ricordare l’ultimo viaggio. Non chiederti se sei stato turista o viaggiatore, chiediti piuttosto se quel posto oggi sta meglio, uguale o peggio anche solo di un millimetro. La risposta non sta nel passaporto identitario che ci diamo prima di partire, ma in quel bilancio silenzioso ed intimo tra noi e il luogo.
All’inizio anch’io inseguivo l’etichetta, poi ho capito che il viaggio mi cambiava davvero quando smettevo di recitare una parte e accettavo di essere ospite, quando il mio sguardo si spostava dal selfie alla vita che mi stava intorno. Oggi non mi interessa dimostrare di essere viaggiatore, mi interessa piuttosto essere una buona presenza. È proprio da questa riflessione che nasce anche il mio TEDx, che è un invito a guardare il viaggio con occhi nuovi e a chiederci se siamo davvero fatti per viaggiare o se non sia il viaggio stesso a essere fatto per trasformarci. Se ti va di approfondire, puoi rivederlo qui sotto.
La bugia più grande del turismo moderno non è chiamarsi turisti, è credere che basti definirsi viaggiatori per fare un viaggio migliore. In realtà non è una questione di etichette, ma di come ci muoviamo dentro i luoghi. Possiamo essere turisti e lasciare valore, oppure definirci viaggiatori e consumare un posto come chiunque altro.
Se una distinzione ha senso, non sta nel nome, ma nell’impatto. Non conta se ti chiami turista o viaggiatore, conta se il luogo ti riconosce come ospite o come peso.
Imprenditore e CEO di Visit Italy, piattaforma culturale indipendente che racconta l’Italia lontano dai riflettori. Da anni lavora nel marketing territoriale, accompagnando destinazioni e comunità a costruire nuove narrazioni. È stato intervistato da BBC, CNN e Skift come una delle voci italiane più autorevoli sul turismo. Nel tempo libero coltiva la passione per l’arte, le due ruote e l’esplorazione dei luoghi più affascinanti del mondo.