Genetica medica e intelligenza artificiale: a che punto siamo?

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Al Congresso SIGU 2025, concluso nei giorni scorsi a Rimini, si è discusso di progressi e sfide etiche internazionali

Machine learning, deep learning e intelligenza artificiale generativa: ormai ne sentiamo parlare tutti i giorni. Ma che rapporto può esserci tra queste categorie di AI e la genetica medica? Il Prof. Benjamin Solomon, Clinical Director presso il National Human Genome Research Institute (NHGRI) di Bethesda, USA, lo ha spiegato durante la XXVIII edizione del Congresso Nazionale SIGU, Società Italiana di Genetica Medica, svoltosi a Rimini dal 23 al 25 settembre 2025.

Oggi si parla spesso in modo molto generico di “intelligenza artificiale” (IA). Ma l’IA non è una singola cosa: esistono infatti diversi tipi e categorie di IA, tra cui il machine learning (in cui i computer “imparano” dai dati), il deep learning (un tipo di machine learning che prevede l’elaborazione dei dati attraverso più livelli o strati), e l’IA generativa (che si basa in gran parte su metodi di deep learning e che consiste nel generare, o produrre, nuovi contenuti, come parole, immagini, video o suoni). Questi strumenti trovano molte applicazioni in genetica: dall’analisi dei risultati dei test genetici e genomici, alla valutazione di fotografie, radiografie o altre immagini di persone con sospette condizioni genetiche per comprenderne meglio la natura, fino allo studio della biologia alla base delle malattie genetiche e all’identificazione e sperimentazione di nuovi approcci terapeutici.

Un esempio concreto di applicazione dell’IA in genetica è quella pubblicata in un suo studio pubblicato dalla rivista scientifica JAMA, volto a valutare se reti neurali addestrate su immagini generate artificialmente tramite GAN possano migliorare la diagnosi di sindromi genetiche rare. Di cosa si tratta, in pratica?

“L’intelligenza artificiale generativa consiste nell’uso dell’IA per creare nuovi contenuti, come immagini. In questo contesto, può produrre ciò che viene definito “contenuto sintetico”. Ad esempio, un modello di IA può essere addestrato su fotografie di persone con condizioni genetiche e generare nuove immagini sintetiche. Le “GAN” (Generative Adversarial Networks) sono una delle tecniche per generare nuovi contenuti visivi, anche se ne esistono altre, come i modelli di diffusione. Una delle domande è se queste immagini sintetiche possano migliorare la capacità dei modelli di IA nel riconoscere le condizioni genetiche o, ad esempio, aiutare i clinici a formarsi nella diagnosi di tali condizioni. I nostri risultati – e quelli di altri gruppi – suggeriscono che l’uso dell’IA generativa in questi modi possa essere utile in alcuni contesti, soprattutto considerando che i dataset relativi alle malattie genetiche tendono a essere molto piccoli (dato che tali condizioni sono piuttosto rare).

Significa che l’intelligenza artificiale potrà, un domani, sostituire il medico nella diagnosi?

Alcuni pensano che l’IA sostituirà gran parte delle attività dei medici. Credo che, in parte, questo possa persino essere positivo: per esempio, l’IA viene utilizzata sempre di più per redigere note cliniche o gestire compiti amministrativi gravosi, liberando così i medici da incombenze burocratiche e permettendo loro di dedicarsi ad attività di maggiore valore. Altri strumenti di IA potrebbero sostituire compiti tradizionali dei clinici, come la lettura di radiografie o di vetrini istologici. Dunque, è probabile che alcune mansioni mediche vengano sostituite dall’IA, ma sono convinto che il ruolo dei “medici in carne e ossa” resterà fondamentale ancora a lungo. È più realistico immaginare che il medico del futuro lavorerà in modi molto diversi da quelli attuali.”

Pur senza immaginare scenari troppo futuristici, questa trasformazione della ricerca e della diagnostica rapida e in continua evoluzione è reale, e non coinvolge solo ricercatori e clinici, ma anche i pazienti e le loro famiglie. Questo comporta una serie di sfide etiche non indifferenti.

Una delle principali sfide etiche riguarda la necessità che gli strumenti di IA funzionino bene in contesti diversi: nei vari sistemi sanitari, per pazienti di età differenti o con condizioni diverse, o provenienti da diverse aree geografiche. Una domanda etica fondamentale è se l’IA possa contribuire a ridurre le disuguaglianze sanitarie, o se invece rischi di accentuarle. Anche con i progressi più impressionanti, resta cruciale chiedersi se l’uso di questi strumenti migliori davvero gli esiti clinici “nella vita reale”: occorre molto lavoro per capire dove l’IA sia utile, dove non lo sia e quali siano i modi migliori per integrarla nella pratica quotidiana. Vi sono inoltre sfide legate alla condivisione e alla protezione dei dati. Poiché il campo è ancora molto giovane, spesso sembra che vi siano molte più domande che risposte.

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info@osservatoriomalattierare.it (Redazione)