Produttività e disturbi mentali: le priorità per l’Italia secondo l’OCSE - I-Com, Istituto per la Competitività

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In questo mese l’OCSE ha pubblicato un nuovo rapporto dal titolo Mental Health and Work: Tackling the Productivity Cost, che riporta al centro del dibattito pubblico un tema cruciale e ancora troppo trascurato: l’impatto dei disturbi mentali sulla produttività del lavoro. L’Italia, in particolare, risulta tra i paesi europei più esposti a questo costo “invisibile”, spesso sottostimato nei dibattiti su crescita e benessere collettivo. Emerge così la necessità di affrontarlo con un approccio sistemico, pragmatico e strutturato.

UNA CRISI SILENZIOSA, UN COSTO ALTISSIMO

Secondo il rapporto circa un terzo dei problemi di produttività in Europa è attribuibile a problematiche legate alla salute mentale. In Italia i disturbi mentali colpiscono quasi 17 milioni di persone nell’arco della vita e circa 8 milioni all’anno. Eppure, meno della metà riceve un trattamento adeguato. Questo mismatch genera una perdita economica stimata in oltre l’1,5% del PIL nazionale. Si tratta di un impatto superiore a quello dell’assenteismo per malattie fisiche di lieve entità.

Ma il danno non si limita alla sfera economica. Il disagio psichico non curato incide negativamente sulla qualità del lavoro, sul benessere collettivo e sulla capacità di innovazione delle imprese. Inoltre, contribuisce a inasprire le disuguaglianze: colpisce più duramente giovani, donne e lavoratori precari, alimentando un ciclo di esclusione e marginalità.

LAVORO E SALUTE MENTALE: UN RAPPORTO DA RICOSTRUIRE

Il rapporto OCSE sottolinea che lo stato di salute mentale è tanto causa quanto conseguenza di dinamiche lavorative disfunzionali. In Italia le condizioni lavorative precarie, i carichi eccessivi, la mancanza di riconoscimento e le pressioni da performance stanno contribuendo ad aumentare ansia, burnout e depressione, anche tra i più giovani. Il fenomeno della “grande rinuncia”, che ha coinvolto centinaia di migliaia di lavoratori italiani negli ultimi due anni, è anche figlio di un sistema che spesso ignora il benessere emotivo dei suoi dipendenti.

Oggi più che mai l’ambiente lavorativo deve essere ripensato come spazio di prevenzione e promozione del benessere psicologico. Eppure, le iniziative aziendali strutturate in questa direzione restano rare: solo il 16% delle imprese italiane ha implementato programmi dedicati alla salute mentale dei dipendenti (OCSE, 2025). Un dato che riflette una sottovalutazione del problema e una carenza di strumenti operativi, normativi e culturali.

I COSTI DEL MANCATO INTERVENTO SUI DISTURBI MENTALI

I dati OCSE mettono in luce una realtà che non può più essere ignorata: i disturbi mentali rappresentano una delle principali cause di perdita di produttività e di spesa sanitaria, con un costo stimato pari al 4,2% del PIL degli Stati membri. Non si tratta solo di un dato macroeconomico, ma di una cifra che si riflette concretamente nella vita quotidiana delle persone e nelle scelte organizzative delle imprese e delle istituzioni. La perdita di ore lavorative, l’assenteismo, il fenomeno del “presenteismo” – cioè la presenza sul posto di lavoro senza una reale efficienza – e il ricorso frequente a prestazioni sanitarie creano un circolo vizioso che penalizza sia i singoli individui che la collettività. In Italia, dove le risorse destinate alla salute mentale sono storicamente inferiori alla media europea, questo fenomeno rischia di amplificare ulteriormente disuguaglianze già esistenti nell’accesso alle cure e nei livelli di prevenzione.

Un aspetto particolarmente rilevante emerso dall’analisi OCSE è la distribuzione diseguale del peso dei disturbi mentali tra le diverse fasce della popolazione. I giovani e le donne risultano più esposti, soprattutto in seguito agli effetti della pandemia, che ha fatto emergere un incremento significativo dei casi di ansia, depressione e burnout. Questo non è solo un problema sanitario, ma un tema di equità sociale e di coesione: le persone più fragili rischiano di pagare un prezzo sproporzionato in termini di salute, istruzione e opportunità professionali. Il mancato sostegno in questa fase della vita può tradursi in un carico di lungo periodo per il sistema sanitario e previdenziale.

Un’altra dimensione spesso trascurata riguarda il legame tra disturbi mentali e patologie croniche. Numerosi studi evidenziano come la presenza di ansia o depressione riduca l’aderenza alle terapie per malattie come diabete, ipertensione o malattie cardiovascolari, con un aumento dei ricoveri ospedalieri e della mortalità precoce. Ciò significa che investire nella salute mentale non produce solo un beneficio diretto, ma ha anche un effetto moltiplicatore nel ridurre i costi complessivi del sistema sanitario.

LE RACCOMANDAZIONI OCSE: UN’AGENDA CONCRETA PER L’ITALIA

Nel documento del 2025 l’OCSE individua una serie di aspetti su cui agire per ridurre i costi del disagio mentale legato al lavoro. Le principali raccomandazioni comprendono:

  • Prevenzione attiva nei luoghi di lavoro, attraverso la formazione della classe manageriale, la diffusione di strumenti di rilevazione precoce del disagio e la promozione di ambienti lavorativi sani e inclusivi.

  • Accesso facilitato alle cure psicologiche, anche attraverso il rafforzamento della sanità territoriale e la piena implementazione dello psicologo di base.

  • Politiche attive del lavoro che integrino il supporto psicologico nei percorsi di reinserimento lavorativo per persone con disturbi mentali.

  • Misure fiscali e regolatorie per incentivare le imprese a investire nel benessere mentale dei dipendenti (es. deducibilità dei costi per programmi aziendali di salute mentale).

  • Potenziamento della raccolta dati e del monitoraggio nazionale sull’impatto economico e sociale della salute mentale nel lavoro.

Queste raccomandazioni si adattano perfettamente anche al contesto italiano, dove si avverte l’urgenza di passare da iniziative spot a una strategia nazionale, che veda coinvolti Ministero della Salute, Ministero del Lavoro, Regioni, imprese e parti sociali.

In questo senso, l’indicazione OCSE di rafforzare i programmi di prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico integrata non è una raccomandazione generica, ma un vero e proprio imperativo di politica sanitaria.

UNA STRATEGIA PER IL FUTURO

La salute mentale non è solo un tema sanitario. È una questione economica, sociale e di civiltà. Investire nel benessere psicologico dei lavoratori è oggi una priorità nazionale. Per l’Italia, affrontare questa sfida con coraggio significa ridurre le disuguaglianze, aumentare la produttività e costruire un sistema più equo e umano. Le basi per una riforma ci sono tutte: i dati, le esperienze internazionali, le raccomandazioni dell’OCSE e la crescente sensibilità dell’opinione pubblica.

Servono ora scelte politiche chiare, risorse dedicate e un patto tra istituzioni e mondo del lavoro per trasformare il disagio in un’opportunità di cambiamento. Perché un paese che tutela la salute mentale dei suoi cittadini è un paese più forte, più lungimirante e più produttivo.

Recapiti
Maria Vittoria DI SANGRO