“Il tempo non si ferma”: trasparenza e reputazione nel tempo della transizione

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01/10/2025

Massimiliano Colognesi

'Il tempo non si ferma. Il reporting nella transizione', il titolo scelto per l’Oscar di Bilancio 2025 non è uno slogan, è il simbolo di un quadro normativo in continua transizione.

Il paradosso della transizione: il tempo legale rallenta, quello reputazionale accelera

Il 29 settembre si è chiusa la consultazione EFRAG sugli ESRS semplificati: proposta di riduzione fino al 57% dei datapoint (soprattutto per PMI e disclosure volontaria). Intanto, la Legge 118/2025 ha recepito lo stop-the-clock europeo sulla CSRD e la CSDDD slitta al 2027–2029.

In un contesto in cui la parola sostenibilità rischia di svuotarsi, la comunicazione aziendale è davanti a una scelta: trasformare il reporting in strumento di relazione autentica, o ridurlo a esercizio difensivo. Così, mentre il regolatore rallenta, la realtà accelera:

  • banche e investitori integrano i parametri ESG;
  • i fondi scremano i portafogli;
  • clienti B2B pretendono supply chain trasparenti;
  • i talenti scelgono imprese sostenibili.

E soprattutto: l’opinione pubblica è sempre meno tollerante verso l’opacità.

Trasparenza come asset relazionale

Per troppo tempo, la disclosure è stata vista come esposizione: dire di più = rischiare di più. Oggi è il contrario: l’asimmetria informativa genera sospetto, e il sospetto corrode la fiducia più velocemente di qualsiasi campagna di comunicazione.

La trasparenza invece costruisce credibilità anticipata. Non è solo cosa si comunica, ma come si dimostra di conoscere i propri rischi e di avere una governance solida per gestirli.

Quattro pilastri diventano decisivi:

  • Doppia materialità come ascolto strategico: un’impresa che sa ascoltare è un’impresa che può essere creduta.
  • Dati verificabili: senza evidenze, le dichiarazioni diventano greenwashing.
  • Governance trasparente: mostrare chi decide e come lo fa significa rispondere alla domanda “posso fidarmi?”.
  • Filiera documentata: assumersi responsabilità pubbliche anche verso partner e fornitori.

Reporting come dialogo, non come obbligo

Il vero spartiacque, oggi, non passa tra chi è già compliant e chi è in ritardo. Passa tra chi interpreta il reporting come obbligo da subire e chi lo riconosce come strumento di dialogo e creazione di valore.

Un bilancio di sostenibilità fatto bene non è un documento per il regolatore: è un contratto di fiducia con investitori, dipendenti, clienti, comunità.

I rinvii normativi, in questa prospettiva, non sono un “liberi tutti”, ma un’occasione per fare le cose bene: senza la pressione della scadenza immediata, ma con la lucidità di chi sa che la reputazione si costruisce ogni giorno e si perde molto più velocemente di quanto si possa recuperare.

Le aziende che sapranno utilizzare questa finestra temporale per consolidare processi, dati e governance non si troveranno solo pronte quando le norme torneranno a stringere: si troveranno già in vantaggio. Per chi comunica e fa relazioni pubbliche, la sfida è coltivare senso condiviso. Non mediare, ma creare connessioni autentiche.

Il tempo del legislatore può rallentare. Il tempo della reputazione, no.

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