06/10/2025
Daniela Ballarini (*)
Il 2 ottobre i soci FERPI hanno avuto l’occasione di partecipare a una straordinaria formazione con Giorgia Pizzuti dal titolo 'Le Neuroscienze del Public Speaking'.
Un incontro intenso, partecipato, che ha mostrato come il parlare in pubblico non sia solo una questione di tecnica, ma un viaggio nelle connessioni profonde tra mente, corpo e relazione.
È da quelle ore di lezione/interazione che nasce questa mia riflessione, da ciò che resta, dopo che le slide si chiudono e le parole continuano a risuonare dentro fino a mettere in moto la voglia di scriverne.
Negli ultimi anni ho parlato spesso in pubblico, eventi, convegni, conferenze, lezioni. Ogni volta ho capito qualcosa in più: che la vera sfida non è “parlare bene”, ma creare connessione autentica.
La scienza lo conferma. Quando comunichiamo, i nostri cervelli si sincronizzano in un processo chiamato neural coupling: chi ascolta e chi parla condividono, per un istante, lo stesso ritmo neurale. È lì che nasce la fiducia.
“Le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato che l’elaborazione delle informazioni, dalla comunicazione alla decisione, fino al comportamento di acquisto, non è mai un processo puramente logico e razionale, ma profondamente cognitivo ed emotivo” cito pari pari dalla slide di Giorgia, una delle prime, con uno sfondo di un cervello avvolto da scosse e luci blu, che catalizzano lo sguardo.
Quando parliamo in pubblico, non ci rivolgiamo solo alla mente analitica di chi ascolta, ma a quel sistema emotivo che costruisce fiducia, empatia e appartenenza. Ecco perché nel public speaking la parola non basta: serve il tono, la pausa, lo sguardo, l’energia.
Le neuroscienze del public speaking ci ricordano che ogni messaggio efficace nasce da un equilibrio tra logos, ethos e pathos, tra ragione, credibilità ed emozione.
Chi comunica bene non convince: connette.
Ho anche rispolverato i miei appunti di 9 anni fa, di quel Master Formativo in Neuromarketing e Processi Decisionali che mi ha spinto per mesi a prendere un aereo per Catania al mattino e rientrare a notte fonda per poi rientrare in studio, perché Giorgia mi ha riaperto cassetti della memoria e riacceso la mia insaziabile curiosità.
Le neuroscienze ci dicono che la fiducia nasce prima ancora delle parole.
È il cervello limbico, sede delle emozioni, a decidere se fidarsi o meno. Il tono della voce, lo sguardo, la postura attivano i neuroni specchio, creando empatia. È il motivo per cui chi parla con sincerità “arriva” anche senza slide perfette: la coerenza emotiva è più potente della retorica!
Ecco allora che la voce diventa strumento di relazione, non solo di espressione.
Il ritmo, le pause, il respiro tutto comunica. Il corpo diventa linguaggio, il linguaggio si fa relazione.
Quando raccontiamo un episodio, il cervello rilascia dopamina: aumenta l’attenzione e la memoria a lungo termine. Le storie restano impresse più dei dati perché attivano le stesse aree cerebrali che si accenderebbero se vivessimo davvero quell’esperienza.
Per questo il public speaking più efficace è quello che unisce il rigore del contenuto alla forza del vissuto.
Le neuroscienze ci aiutano a comprendere meglio anche il ruolo del relatore: non più solo informare, ma generare esperienza.
Creare un ambiente sicuro, empatico, dove chi ascolta si sente parte di un racconto condiviso.
E questo vale per un’aula universitaria, per un palco, per un evento o per una riunione di lavoro.
La formazione in FERPI continua ad alzare l’asticella, portando ai soci una crescita trasversale che diventa leva fondamentale di questa Federazione: una comunità professionale capace di unire scienza e umanità, pensiero e azione.
In fondo, chi si occupa di relazioni pubbliche è oggi più che mai un traduttore di emozioni complesse in messaggi semplici.
Le neuroscienze ci ricordano che la parola non è mai neutra: accende circuiti, costruisce fiducia, genera senso.
E questa, nel mondo della comunicazione, resta la nostra più grande responsabilità.
*Daniela Ballarini è socia e componente della Commissione Relazioni di Genere FERPI