Deficit di piruvato chinasi: tra le possibili complicanze anche i disturbi cardiopolmonari

Compatibilità
Salva(0)
Condividi

Un caso clinico presentato al Congresso EHA 2025 mette in evidenza i benefici della terapia con mitapivat sulla funzione del ventricolo destro del cuore

Il deficit di piruvato chinasi (deficit di PK o PKD) è una rara forma di anemia emolitica congenita causata da mutazioni nel gene che codifica per l’enzima piruvato chinasi (PK), fondamentale per la produzione di energia nei globuli rossi: l’assenza o il malfunzionamento di questo enzima conduce a una ridotta sopravvivenza dei globuli rossi e, di conseguenza, a un’anemia cronica. Nel tempo, la malattia può determinare l’insorgenza di complicanze non solo ematologiche ma anche cardiopolmonari, come l’ipertensione polmonare, a causa della continua emolisi e dei suoi effetti dannosi sui vasi sanguigni. In questo scenario, mitapivat, un farmaco recentemente approvato in Europa per il deficit di PK, si sta dimostrando non solo efficace nel ridurre la necessità di trasfusioni, ma anche promettente per la salute del cuore.

Uno dei recenti contributi presentati dall’U.O.S.D. Malattie rare del globulo rosso dell’Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli” di Napoli allo scorso Congresso Annuale della European Hematology Association (EHA), tenutosi a Milano tra il 12 e il 15 giugno, ha riguardato proprio questo aspetto meno noto, ma estremamente rilevante, di mitapivat, ossia l’impatto della terapia con questo farmaco sulla funzione ventricolare destra del cuore, valutata attraverso la risonanza magnetica cardiaca (CMR), considerata il “gold standard” per lo studio della funzione biventricolare.

In occasione del Congresso abbiamo descritto il caso di un uomo di 40 anni affetto da una forma particolare di anemia emolitica cronica, determinata dalla combinazione di un deficit di piruvato chinasi in forma omozigote e di una beta-talassemia eterozigote. Questo caso era già stato oggetto di una precedente pubblicazione apparsa sulla rivista Journal of Cellular and Molecular Medicine e focalizzata sugli aspetti ematologici: in essa avevamo documentato una risposta clinicamente significativa alla terapia con mitapivat, che aveva portato alla sospensione delle trasfusioni in un quadro precedente considerato trasfusione-dipendente.

Nel nuovo lavoro, invece, abbiamo approfondito il possibile impatto cardiovascolare della terapia. Il paziente in questione è stato seguito nel tempo ed è stato sottoposto a tre risonanze magnetiche cardiache: la prima durante la fase in cui era andato incontro a regolari trasfusioni di sangue (2021), la seconda all’inizio della terapia con mitapivat (luglio 2023), e la terza dopo 19 mesi di trattamento. I risultati sono stati sorprendenti: pur in presenza di un leggero sovraccarico di volume del ventricolo sinistro - probabilmente legato a livelli medi di emoglobina leggermente più bassi rispetto a quelli mantenuti durante la precedente terapia trasfusionale regolare - abbiamo osservato un netto miglioramento della funzione del ventricolo destro, in particolare dei parametri di deformazione/tensione miocardica (strain), che permettono di cogliere precocemente le alterazioni funzionali, anche prima che si manifestino con una riduzione della frazione di eiezione.

Nel dettaglio, le analisi di strain del ventricolo destro sono migliorate in modo significativo (con incrementi rispettivamente del 22,6%, 45,3% e 57,6% nei tre assi di valutazione), a fronte di una riduzione della massa ventricolare destra del 14,7%. Tutto ciò si è verificato in un contesto di stabilità del carico di ferro miocardico. Questi dati, seppur ottenuti in un singolo caso, rappresentano la prima evidenza clinica di un possibile effetto benefico di mitapivat sul sistema cardiovascolare nei pazienti con deficit di PK e talassemia. I meccanismi ipotizzati sono legati alla riduzione dell’emolisi cronica e del suo impatto sull’endotelio vascolare e sulla pressione arteriosa polmonare, che a lungo andare può compromettere la funzione del cuore destro.

In conclusione, mitapivat potrebbe non solo cambiare la storia trasfusionale di questi pazienti, ma anche contribuire a proteggere il loro cuore (in particolare il ventricolo destro), che spesso paga il prezzo delle complicanze vascolari della malattia. Saranno necessari studi più ampi per confermare questi risultati e comprendere meglio i meccanismi in gioco, tuttavia l’orizzonte che si apre è decisamente promettente.

Dott. Paolo Ricchi
U.O.S.D. Malattie rare del globulo rosso, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Antonio Cardarelli” di Napoli

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Paolo Ricchi)