Nel panorama in continua evoluzione della moda sostenibile, la trasparenza è un pilastro fondamentale sia per i marchi sia per i consumatori. Le etichette tessili dovrebbero essere un faro di verità, eppure alcune ricerche smascherano una realtà ben diversa: un’ampia quota di capi in commercio presenta indicazioni fuorvianti o errate sulla composizione dei materiali. L’etichettatura scorretta dei capi mina così l’integrità dell’industria della moda.
Lo studio olandese: 41% di etichette sbagliate
Uno studio condotto nei Paesi Bassi* su più di 10.000 capi ha rivelato statistiche allarmanti: le etichette non sono accurate nel 41% dei casi. La maggior parte del campione dello studio è costituita da indumenti post-consumo non riutilizzabili, scartati dal consumatore e consegnati a un centro di selezione tessile. Sono state riscontrate differenze significative nell’accuratezza delle dichiarazioni di composizione tra materiali puri e miscelati. Le discrepanze emergono soprattutto nei capi che mescolano fibre (es. cotone + poliestere), dove il tasso di accuratezza è di solo il 23%. Le analisi suggeriscono che l’esagerazione intenzionale del contenuto di cotone sia effettivamente plausibile. Nel caso di fibre pure invece il tasso di accuratezza arriva al 77%.
Non è solo una questione di marketing disonesto: le etichette fuorvianti minano la fiducia dei consumatori, complicano i processi di riciclo e favoriscono il greenwashing.
Esempi nel mercato dell’UE
La normativa europea richiede che i capi tessili commercializzati nell’Unione riportino indicazioni chiare e leggibili sulla composizione. Tuttavia, verifiche condotte da ONG e organismi indipendenti mostrano che alcune griffe non rispettano questi obblighi, specialmente quando le etichette contengono affermazioni ambientali implicite (green claims) senza supporto concreto.
Nel mercato della pelliccia, per esempio, uno studio** che ha analizzato 667 articoli contenenti fibre animali ha scoperto che il 68% non rispettava le regole dell’UE sull’etichettatura. La pelliccia vera animale e quella sintetica stanno diventando sempre più simili nell’aspetto, nella sensazione al tatto e nel prezzo. I consumatori, la maggior parte dei quali rifiuta la pelliccia vera per motivi vari, devono ricevere informazioni sufficienti per consentire loro di fare scelte etiche. Spesso si dà per scontato che un prezzo basso indichi la presenza di pelliccia sintetica e che se un articolo contiene vera pelliccia animale ci si aspetta, comprensibilmente, di vedere tali informazioni chiaramente indicate sull’etichetta. L’attuale sistema di etichettatura invece non fornisce un metodo semplice per avvisare i clienti della presenza di vera pelliccia animale.
Greenwashing e affermazioni ambientali ingannevoli
Oltre agli errori nella composizione tessile, molte etichette “eco”, “responsabili” o “green” risultano fuorvianti. Un report del Changing Markets ha stimato che fino al 60% delle affermazioni di sostenibilità sui siti fashion può essere considerato greenwashing, quindi privo di basi reali. Una review del 2024 ha sottolineato le numerose pratiche di greenwashing – come l’uso di parole vaghe, certificazioni auto-rilasciate e omissioni nei dettagli di filiera – presenti nell’industria tessile globale.
Sai a che è appena partito il nostro workshop in tre serate sul greenwashing e le regole della moda? Clicca qui
Perché è un problema (oltre la frode): le conseguenze reali
Questa falsa rappresentazione va oltre l’inganno del consumatore.
- Compromessa tracciabilità e riciclo tessile
In un mondo in cui il riciclo e le pratiche sostenibili sono fondamentali, i riciclatori necessitano di informazioni precise sui tessuti con cui lavorano. Per chi si occupa di riciclo o economia circolare, conoscere con precisione la fibra (cotone, lana, poliestere, etc.) è essenziale per processare correttamente i materiali. L’efficacia del riciclo si basa sulla conoscenza della composizione dei materiali dei capi poiché tessuti diversi richiedono processi di riciclo distinti. Le etichette mendaci ostacolano la separazione e riducono la qualità dei processi di rigenerazione. La disinformazione può portare alla contaminazione dei flussi di riciclo, riducendo l’efficacia complessiva e causando ulteriori danni ambientali. Infatti, se non si sa di che tessuto si tratta, non si può trattarlo o smaltirlo nel modo giusto.
- Distruzione della fiducia del consumatore
Quando scopriamo che un capo non è quello che diceva di essere (es. “100 % cotone” si rivela un misto, oppure “made in Italy” è una falsa indicazione), il rapporto col marchio si incrina. Il consumatore consapevole oggi valuta molto l’onestà delle etichette, e ogni inganno mina la reputazione del brand. Man mano che i consumatori diventano più attenti alle scelte sostenibili, spesso si affidano alle etichette per informare le loro decisioni di acquisto. ci sono consumatori che hanno esigenze specifiche per la composizione dei tessuti che acquistano, ad esempio a causa di allergie, convinzioni religiose o personali. Per molti, comprendere il materiale di un capo è fondamentale anche per l’impatto ambientale. Quando le etichette sono fuorvianti, i consumatori credono di fare scelte responsabili, per poi scoprire di aver inconsapevolmente sostenuto pratiche che contraddicono i loro valori.
- Facilita il greenwashing
Le affermazioni ambientali generiche (eco, sostenibile, green) senza trasparenza alimentano l’illusione che si stia facendo la scelta giusta, quando invece l’impatto può essere identico — o addirittura peggiore. Le etichette ingannevoli diventano così uno strumento di marketing, non di informazione.
- Rischi legali e sanzioni
Nel mercato UE, i brand che forniscono informazioni fuorvianti possono incorrere in controlli, sanzioni amministrative o richieste di risarcimento. Alcuni paesi stanno già esaminando con attenzione le affermazioni ambientali per imporre maggiore trasparenza.
Conosci già alcuni casi reali sull’etichettatura falsa o fuorviante nei capi tessili? Ascolta in questo episodio cos’è successo nel nostro Paese e non solo 👇
Le cause dietro l’errore
- Supply chain complessa e disomogenea
Le filiere tessili attraversano più continenti, con fornitori multipli, processi di tintura, trattamenti e finissaggi. Talvolta i marchi ricevono parti del tessuto già miscelate o rielaborate, rendendo difficile tenere traccia esatta. - Test e controlli insufficienti
Alcuni brand non testano ogni lotto o affidano controlli solo visivi (non analisi chimiche). Questo aumenta il margine di errore quando i fornitori dichiarano composizioni incomplete o parziali. - Costi / desiderio di differenziazione
Dichiarare un’alta percentuale di fibre naturali o “eco” può rendere il prodotto più appetibile. In certi casi, si può cadere nella tentazione di arrotondare al rialzo o presentare il “best case scenario”. - Normative poco chiare o mancata applicazione
Le leggi sull’etichettatura esistono, ma la loro applicazione concreta è disomogenea nei vari paesi. C’è spesso poca penalizzazione per le violazioni “leggere”. Sebbene siano legalmente obbligati a informare adeguatamente i consumatori sulla composizione dei prodotti che immettono sul mercato, marchi e rivenditori non hanno (ancora) dovuto affrontare alcuna ripercussione legale (pubblica) per etichette inesatte. Nel caso in cui un marchio scopra che un’etichetta è inaccurata, l’intera spedizione, sia in magazzino che ancora in corso di spedizione, dovrà essere richiamata per essere “rietichettata”.
Cosa dovrebbe fare un brand attento alla sostenibilità
Lo studio olandese rappresenta un campanello d’allarme per i marchi del settore della moda sostenibile. Evidenzia la necessità di standard e controlli rigorosi nelle pratiche di etichettatura per garantirne l’accuratezza. Mentre i marchi sostenibili si sforzano di differenziarsi in un mercato saturo, un impegno per l’onestà nell’etichettatura può aumentare la loro credibilità e promuovere la fiducia dei consumatori.
I marchi che danno priorità a un’etichettatura corretta non solo incarnano il loro impegno per la sostenibilità, ma consentono anche ai consumatori di fare scelte consapevoli. Garantendo la correttezza della composizione del tessuto e del paese di origine, i marchi possono contribuire a un sistema della moda più trasparente. Le ripercussioni positive di un’etichettatura accurata vanno oltre la fiducia immediata. Incoraggiano un passaggio verso i principi dell’economia circolare, in cui i consumatori si sentono sicuri di riciclare o riutilizzare i propri capi, riducendo così gli sprechi.
L’importanza di un’etichettatura accurata dei tessuti
Nel 2020, il rapporto della Global Fashion Agenda ha sottolineato l’importanza della trasparenza, chiedendo una maggiore tracciabilità nelle filiere della moda. Questo dialogo tra gli stakeholder del settore è in stretta linea con i risultati dello studio olandese, indicando un cambiamento sistemico necessario affinché il futuro della moda sostenibile prosperi.
In conclusione, l’etichettatura errata rappresenta un ostacolo significativo al perseguimento di un panorama della moda trasparente e sostenibile. Mentre gli appassionati di moda e i marchi promuovono il cambiamento, è essenziale ricordare che la moda sostenibile non si basa esclusivamente sull’uso di materiali ecocompatibili, ma comprende l’intero ciclo di vita di un capo. Garantire che l’etichettatura sia accurata e affidabile è fondamentale se vogliamo progredire verso un’industria veramente sostenibile ed etica.
I marchi dovrebbero adottare misure immediate per migliorare l’accuratezza delle pratiche di etichettatura. Per i consumatori, riconoscere l’importanza di esaminare attentamente le etichette può guidarli verso scelte che riflettano veramente i loro valori. Insieme possiamo coltivare un’industria della moda fondata sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla sostenibilità.
* Clothing labels: accurate or not?, Circle Economy for The Ministry of Infrastructure & Waterways, 2019.
** Mislabelled and Misleading – Fur labelling problems, Fur Free Alliance, 2017