da “Huffpost”[11.10.25]: “Cinema, audiovisivo e Rai tra feste e miserie. Dal Mia alla Festa di Roma, sono kermesse utili?”
Il ruolo confuso e incerto dello Stato nell’industria culturale italiana: deve intervenire Netflix per riaprire una sala cinematografica che il Centro Sperimentale di Cinematografia gestirà?! Le briciole del banchetto delle multinazionali
Venerdì sera 10 ottobre, si è conclusa l’edizione numero 11 del “Mercato Internazionale Audiovisivo” (Mia), una kermesse promossa dalla confindustriale Associazione Produttori Audiovisivi (Apa), che ha riunito a Roma alcune centinaia di operatori “business” dell’industria delle immagini in movimento di tutto il mondo, mentre mercoledì 15 ottobre inizia la “Festa del Cinema” di Roma, edizione numero 20.
Sia nel primo caso, sia nel secondo, andrebbero poste questioni che nessuno (o quasi) tende ad affrontare, e che qui – una volta ancora controcorrente – voglio evidenziare: essendo entrambe le iniziative sostenute generosamente dalla mano pubblica – con milioni e milioni di euro – sembra quasi che non vi sia necessità di valutazioni sulla loro efficacia, per la promozione dei rispettivi settori (televisione il Mia, cinema la Festa).
Come dire? Chiuso il “pacchetto” budgetario per la loro realizzazione (ai danari pubblici si associa qualche sponsor privato), si procede alla grande, si mette in moto una gran massa di consulenti e collaboratori e fornitori, si organizzano red carpet e panel e scintillanti feste e party… Poi tutto si conclude, e nessuno dei promotori offre un rendiconto reale, una valutazione di impatto dell’effimera intrapresa.
Si tratta di “macchine culturali” autoreferenziali, la cui reale efficacia ed utilità per la stimolazione della cultura cine-audiovisiva e per il rafforzamento del tessuto industriale del settore non viene mai dimostrata. Iniziative che registrano peraltro una continua interazione tra lobby e potere: basti osservare che guida il Mia la presidente di Apa Chiara Sbarigia, fino a pochi mesi fa alla guida anche della società pubblica Cinecittà (con buona pace del sempre latente conflitto d’interesse), consigliera della sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni. E alla guida della Festa del Cinema è stato chiamato nel luglio del 2024 il potentissimo Salvo Nastasi, presidente della Siae (ente pubblico economico a base associativa), già fiduciario di molti ministri e da ultimo il dem Dario Franceschini…
Per quanto riguarda il Mia, non sono pochi a domandarsi (sottovoce, per timore di ritorsioni ed emarginazione) che cosa produce di concreto, realmente, a livello di business (contratti di compravendita, reti promozionali, sviluppo di mercato…), se non una simpatica vacanza romana (a spese dello Stato italico) per centinaia di “buyer” e “seller” dell’industria audiovisiva internazionale. Basti osservare che quest’anno non hanno nemmeno partecipato al “Mercato Internazionale Audiovisivo” di Roma i rappresentanti della maggiore struttura europea per la promozione di audiovisivo nazionale, qual è l’agenzia UniFrance… Alcuni sostengono che il Mia sia di fatto una delle casseforti per il sostentamento dell’Apa, e ci si domanda se deve essere proprio lo Stato a sostenere paradossalmente una lobby di produttori, che dovrebbe invece evidentemente autofinanziare la propria associazione ed il suo sviluppo…
Per quanto riguarda la “Festa del Cinema”, il discorso è senza dubbio più complesso e ci tornerò presto su queste colonne, limitandomi qui ad anticipare che sarebbe interessante conoscere quante delle opere cinematografiche che vengono proposte durante la kermesse romana riescano poi ad essere realmente immesse nel mercato “theatrical” nazionale. Sia ben chiaro, questa criticità riguarda anche la kermesse suprema d’Italia, ovvero la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. In sostanza, si tratta di “isole felici” ma autoreferenziali, con un target limitato (cinefili, operatori del settore, curiosi…), una nicchia spesso sganciata dal “mercato” reale, ovvero dal pubblico vero reale di cinema e audiovisivo.
Queste due kermesse si sviluppano allegramente, mentre il settore cine-audiovisivo e la televisione pubblica boccheggiano.
Al di là del tenace entusiasmo della senatrice Lucia Borgonzoni (“la sottosegretaria onnipotente”, copyright del deputato pd Francesco Verducci) alimentato anche dal suo alleato Federico Mollicone (Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia e soprattutto Presidente della Commissione Cultura della Camera), il settore cine-audiovisivo è in crisi profonda da oltre due anni, come hanno evidenziato venerdì 10 ottobre anche le associazioni degli autori. In un comunicato congiunto 100autori, Aidac, Air3, Anac e Wgi hanno rinnovato l’esigenza di una interazione dialettica con il ministero della Cultura, lamentando il perdurante “rallentamento delle attività produttive”, rimarcando che “il protrarsi della crisi che da mesi affligge autrici, autori, interpreti, lavoratrici, lavoratori e imprese del settore impone che si intervenga tempestivamente a stabilire regole eque, stabili, e condivise”. Quindi la “crisi” c’è – allora! – nonostante le numerologie fantasiose continuamente proposte dalla Sottosegretaria leghista, degne di un sottosegretario alla Propaganda, piuttosto che alla Cultura!
E quindi non sono soltanto più le associazioni di maestranze e tecnici ed attori (#Siamoaititolidicoda, Raai – Registro Attrici e Attori Italiani, Unita – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) a denunciare la crisi a chiare lettere e con numeri inequivocabili (nel 2024 crollo del 90 % dei lavoratori delle troupe cine-audiovisive occupati rispetto al 2023).
E queste cinque associazioni autoriali contestano anche l’impostazione della peraltro piuttosto confusa e generica “Mozione Cinema e Audiovisivo” promossa da Mollicone – ovvero dalla maggioranza – e approvata martedì 7 in Parlamento (143 voti favorevoli e 103 contrari, respinte tutte le mozioni presentate dalle opposizioni cioè M5s, Pd, Avs, Iv, Azione). Mozione che peraltro non si comprende che concreta ricaduta avrà mai.
Si ha notizia che per lunedì 13 ottobre il ministro Alessandro Giuli (FdI) abbia convocato un “tavolo” al Collegio Romano. Qui verrà presentato ufficialmente il neo direttore generale del Cinema e Audiovisivo, identificato intuitu personae in Giorgio Carlo Brugnoni, attuale Vice Capo di Gabinetto del Mic (ex dirigente Cdp, entrato al Collegio Romano come consigliere economico dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano). Dopo oltre tre mesi di “vacatio” (da inizio luglio, a seguito delle dimissioni dello storico Dg Nicola Borrelli), la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo avrà finalmente una nuova guida, e tutti confidano che la “macchina burocratica” del Ministero riprenda a pieno ritmo, recuperando ritardi sedimentatisi nel corso degli ultimi due anni.
Intanto, da mesi è decaduta la Commissione Promozione della Dg Cinema e Audiovisivo (la maggioranza dei suoi membri si è dimessa nel marzo 2025). E non si comprende perché il ministro non nomini la nuova, magari adottando un’innovativa procedura di “call” per le autocandidature e una trasparente selezione comparativa dei curricula… Centinaia di organizzatori culturali di festival e altre iniziative attendono i risultati del bando tardivamente pubblicato (uno degli ultimi atti a firma dell’ex Dg Borrelli) per il sostegno per l’anno 2025 – da gennaio a dicembre, e siamo a metà ottobre! – e affondano nelle sabbie mobili di incerti sovvenzionamenti.
Sul fronte della Rai, si continua a registrare la surreale contrapposizione muro contro muro tra governo ed opposizioni, senza la chance di nominare un presidente (dal settembre 2024!), dinamica che conferma l’impotenza cui è stata costretta la Presidente Barbara Floridia (M5s), e la sostanziale inutilità, ormai, a questo punto, di questo organismo parlamentare… Giovedì 9 è scaduto il termine per presentare emendamenti per l’iter di una ipotetica legge di riforma della Rai che probabilmente non vedrà mai la luce: le opposizioni hanno peraltro elaborato i loro testi in totale assenza di trasparenza (lo stesso vizio del governo) e senza alcun coinvolgimento della società civile (anche le opposizioni predicano bene e razzolano male).
Episodio sintomatico del complessivo deficit di politica culturale italica? Giovedì 9 è stata quasi salutata con entusiasmo (e con benedizione del ministro della Cultura) la notizia che la multinazionale dello streaming Netflix si impegna a mettere sul tavolo 4 milioni di euro per riaprire una sala cinematografica romana chiusa da anni, il Cinema Europa (di proprietà di Aurelio De Laurentiis, che ormai s’appassiona più di sport che di film), che verrà messa a disposizione del Centro Sperimentale di Cinematografia (Csc). Quello stesso Csc che tre anni fa (durante l’era Franceschini) s’era impegnato con milioni di euro – danari pubblici ovviamente – per la riapertura (annunciata come grandiosa) del Cinema Fiamma, iniziativa mai portata a termine… E si tratta di quella stessa Netflix che in Italia è sempre stata trattata – da Franceschini così come da Borgonzoni – con i guanti di seta, senza mai imporle quote di investimento obbligatorio realmente efficaci e adeguate “finestre temporali” tra la proiezione di un film in sala e la sua possibile proposizione in streaming. E l’Italia finisce ora per addirittura ringraziare – battendo le mani – un player potentissimo, perché concede qualche briciola del suo ricchissimo banchetto: una beneficenza dell’impero…
La deriva continua… prevale assoluta conservazione, deficit totale di innovazione. E tra qualche giorno tutti (o quasi) saranno distratti dall’ennesimo red carpet, che cerca di coprire le crepe con il luccichio dei flash. Continua la parata pubblica permanente, confondendo la vetrina con la strategia: un settore che si autocelebra mentre affonda. Feste e miserie del cinema italiano. Pubbliche virtù e vizi privati (cit.)
Angelo Zaccone Teodosi