Da sempre l’Azione cattolica ha svolto percorsi di formazione e riflessione sul tema della pace per ragazzi, giovani, adulti. Ad oggi sono più di cento i teatri di guerra, di varia natura, che nel mondo minano la pace e la civile convivenza (www.ucdp.uu.se). Tra questi spiccano in particolare i conflitti nel medio oriente, ma molti si consumano in Africa e in altre parti del mondo. Con l’adesione al progetto del Mean (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta) l’associazione ha voluto aderire ad una azione concreta in Ucraina attraverso la partecipazione di alcuni soci alla missione che ha visto 110 persone da tutta Italia confluire a Cracovia per svolgere una attività di amicizia e di pace.
Un Giubileo di pace e speranza, dove tutto sembra perduto
Già lo scorso anno l’associazione aveva partecipato alla missione Mean in Ucraina con suoi rappresentanti, ma quest’anno la partecipazione ha visto un numero maggiore di soci provenienti da diverse diocesi: Bergamo, Milano, Venezia, Torino. Il viaggio di quest’anno ha voluto celebrare il giubileo della pace e della speranza, in un territorio dove sembra tutto perduto e che invece è forte e con tanta voglia di normalità. Il viaggio, partito da Cracovia ci ha portati a Kiev dove ci ha accolto il nunzio apostolico che sul conflitto ha dichiarato che “la guerra non si risolve con mezzi politici né tanto meno con i mezzi militari. Ci vuole un’idea. E voi uomini e donne che venite dall’Italia non siete una realtà tra tante. Siete una forza di umanità”. L’idea dei corpi civili di pace, una presenza di pace europea per presidiare i territori a rischio di conflitto o con situazioni di instabilità, rappresentano una soluzione all’insorgere e alla gestione dei conflitti. Proposti da Alexander Langer, politico, giornalista e pacifista italiano, dei corpi civili di pace se ne riparla da pochi giorni in Italia come in Europa e rappresentano una sfida di pace per governare i conflitti.
La missione Mean si è poi recata a Kharkiv, città martoriata a oriente del paese a 50 Km dal confine con il fronte russo dove sono morte centinaia di persone. In uno dei sedici cimiteri della città abbiamo celebrato un commovente momento di preghiera interreligioso dove il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia dei latini, mons. Pavlo Honcharuk ha commentato che “la nostra terra è bagnata di sangue e noi combattiamo per vivere”. Alla cerimonia ecumenica hanno partecipato il nunzio apostolico di Kiev, mons. Visvaldas Kulbokas, il vescovo esarca greco-cattolico di Kharkiv, mons. Vasyl Tuchapets, e i rappresentanti delle Chiese ortodossa e armena apostolica.
Oltre le bombe, la vita continua e non si rassegna
Nei giorni successivi, in mezzo agli allarmi che ci costringevano a recarci nei rifugi ricavati nelle fermate della metropolitana o negli scantinati degli alberghi, abbiamo incontrato dei pezzi di società civile che non si rassegnano alla guerra e tentano di vivere la vita nella quotidiana normalità, attraverso gesti semplici quali la cura delle aree verdi, l’immediata ricostruzione delle parti danneggiate dalle bombe e dallo scorrere della normale vita, anche se gli studenti svolgono le lezioni in maniera discontinua nei bunker ricavati sottoterra e che dalle 23 alle 5 vige il coprifuoco.
La catena della solidarietà è molto lunga ed efficace: gli aiuti arrivano da tutto il mondo. Molte organizzazioni, anche italiane, portano aiuti alla gente sfollata. Tanti comuni della zona di confine si ritrovano con migliaia di persone che sono sfollate dalle zone di guerra. I sindaci delle città sono impegnati allo spasimo per trovare rifugio, una casa, del cibo e per garantire un posto caldo dove stare, nonostante i continui attacchi alle centrali energetiche. Nonostante questa continua emergenza, non rinunciano a progettare il futuro della ricostruzione e delle attività che ripartiranno alla fine della guerra.
I droni e la guerra da vicino
Al termine della missione, durante la notte, abbiamo vissuto una esperienza diretta di cosa è la guerra. Una situazione che il popolo ucraino vive continuamente da tre anni. In piena notte, sul convoglio che ci stava riportando da Kiev a Cracovia abbiamo sentito alcuni forti boati che hanno scosso il treno.
Alcuni di noi hanno sentito ronzare vicino al convoglio dei droni. Mentre una batteria di contraerea, posta nei pressi della stazione di Leopoli, dove nel frattempo ci eravamo fermati, provava a respingere l’attacco. La guerra l’abbiamo percepita, in un piccolo e breve episodio che è durato per noi una eternità. Abbiamo condiviso quello che il popolo Ucraino vive tutte le notti, da tre anni. L’incubo di essere colpiti da un missile, di perdere la casa, i propri cari. In quegli istanti ho pensato ad una frase di Edgar Morin “La guerra è sempre una spirale verso l’abisso”, un luogo dove spesso cade per motivi che nulla hanno a che vedere con la dimensione dell’umano.
Abbiamo deciso di raccontare questa esperienza perché è di tutta l’associazione, non solo di chi è partito. In un percorso di pace che ci deve vedere fratelli tutti. Il cammino è ancora lungo, ma pieno di speranza.