Con le risposte n. 263 e n. 264 del 13 ottobre 2025, l’Agenzia delle Entrate interviene in merito ad alcuni importanti aspetti del nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati. A differenza del vecchio regime previsto dall’art. 16 del D.lgs. 147/2015, il nuovo sistema consente l’accesso all’agevolazione anche nei casi in cui il lavoratore mantenga una continuità con una precedente posizione lavorativa svolta in Italia prima dell’espatrio. Tuttavia, in questi casi, l’Agenzia richiede un periodo minimo di permanenza all’estero più lungo rispetto a quello previsto in via ordinaria.
Il contribuente che dimostra di aver risieduto all’estero nei tre periodi d’imposta precedenti al rientro in Italia può accedere al regime, a condizione che rispetti anche gli altri requisiti previsti. In particolare, può beneficiare dell’agevolazione solo per il reddito da lavoro dipendente svolto per una società diversa da quella per cui ha lavorato in passato, sia in Italia che all’estero.
Se, al rientro, il contribuente continua a collaborare con l’università presso cui aveva già prestato attività lavorativa, non potrà applicare il nuovo regime ai redditi derivanti da tale collaborazione. In questo caso, l’Agenzia riconosce la continuità con il precedente rapporto e quindi esclude l’agevolazione.
Per quanto riguarda la residenza fiscale, l’art. 13 del Protocollo n. 7 allegato al Trattato sull’Unione Europea stabilisce che i funzionari e gli agenti dell’UE, che spostano la residenza in uno Stato membro diverso per ragioni di servizio, mantengono il domicilio fiscale nello Stato originario. Questa regola si estende anche al coniuge (se non esercita attività professionale), ai figli e ai minori a carico.
Inoltre, i cittadini italiani iscritti all’AIRE restano fiscalmente residenti in Italia se operano come funzionari UE. In mancanza del requisito di effettiva residenza all’estero, non possono accedere al regime impatriati, né al vecchio né al nuovo, perché manca uno dei presupposti fondamentali.
Redazione redigo.info