Giovedì 16 ottobre, il Custode di Terra Santa, fr. Francesco Ielpo, accompagnato da diversi suoi confratelli francescani minori, ha incontrato a Roma la presidenza nazionale di Azione cattolica. Un incontro che ha rinsaldato, ancora una volta, i legami di amicizia e di solidarietà tra l’Azione cattolica italiana e i cristiani di Terra Santa.
Padre Ielpo ha concesso, alcuni giorni prima, un’intervista a Segno nel mondo sulla situazione che si vive oggi in Terra Santa, tra la stanchezza e speranza. Anticipiamo l’intervista che apparirà nel nuovo numero di Segno in distribuzione con Avvenire il prossimo 24 ottobre.
Ho incontrato frate Francesco Ielpo, Custode di Terra Santa, poche ore dopo l’annuncio della tregua a Gaza. Una notizia inattesa, accolta con sollievo e gratitudine, che ha ridato un po’ di fiato a una popolazione stremata. Eppure, anche in questo spiraglio di luce, resta la consapevolezza che il cammino è ancora lungo e difficile.
Padre Ielpo è arrivato a Roma lo scorso 16 ottobre per incontrare la Presidenza dell’Azione cattolica italiana. Un appuntamento voluto e desiderato da entrambe le parti: la vicinanza dell’associazione alla popolazione della Terra Santa è un impegno che continua da diversi anni. Un impegno concreto, visibile, solidale, fatto di volti e di gesti, che è sentito dagli adulti e in particolare dai giovani. Al vedere la stella è un’esperienza di servizio con i bambini di Betlemme. Il luogo dove l’Ac ha messo mani e cuore, lacrime e carezze si chiama Hogar Niño Dios, la casa dei Gesù Bambini. A turno alcuni giovani si alternano a offrire solidarietà e speranza, aspettando che la situazione migliori, lì in Terra Santa, e si possa iniziare di nuovo a far partire i volontari.
Altro impegno in cui l’Ac si spende ogni anno è la Colletta del Venerdì santo. Attraverso questa raccolta, la Custodia di Terra Santa sostiene la tutela dei Luoghi santi e la presenza dei cristiani in quei territori, promuovendo iniziative di solidarietà e assistenza. «La situazione rimane in salita», dice fra Ielpo. «La mia prima impressione, in questi mesi da Custode, è quella di una grande stanchezza. Stanchezza della guerra, di tensioni, di tutto ciò che generano in termini di sospetto, paura e rabbia. Tutti vorrebbero vivere in un contesto in cui queste tensioni si attenuino, ma la realtà quotidiana è segnata da fatica e disillusione».
L’accordo è un primo passo
Una stanchezza non solo fisica, ma anche spirituale e collettiva. E tuttavia, accanto a questa fatica, riconosce «una grande sete di speranza». «In questi ultimi anni la gente, le popolazioni aspirano soprattutto alla speranza. Cercano segni, anche piccoli, che facciano intravedere una possibilità. La notizia dell’accordo, ha risvegliato qualcosa. Non è la soluzione di tutto, ma un primo passo, una boccata d’ossigeno. Forse si intravede una possibilità».
La Custodia di Terra Santa, che da oltre otto secoli protegge i luoghi della fede e le comunità cristiane locali, oggi si trova ad affrontare sfide nuove e antiche insieme. I frati minori sono presenti in Siria, Libano, Israele, Palestina, Giordania, Cipro ed Egitto: una rete diffusa di fraternità che, nonostante le difficoltà, continua a testimoniare la presenza della Chiesa nei luoghi delle origini. Tra le sfide, la più dolorosa resta quella dell’emigrazione.
«Il tema della migrazione – spiega fra Ielpo – ci sta molto a cuore. È un impoverimento umano e spirituale. Ma non giudichiamo chi parte: comprendiamo le loro ragioni. Ciò che desideriamo è che nessuno sia costretto a lasciare la propria terra. A chi resta vogliamo dire: noi ci saremo sempre. La Custodia non ha mai abbandonato nessuno e continuerà a essere accanto alle famiglie e alle comunità che, pur nella fatica, scelgono di rimanere».
Custodire le pietre
La presenza di chi rimane ha un valore profetico: «La nostra missione è custodire le pietre, ma anche e soprattutto le pietre vive. Questa è la nostra identità francescana». «La Custodia – prosegue – è una realtà composta da frati provenienti da quaranta Paesi differenti. È un mosaico di lingue, culture e sensibilità, ma unito da una stessa passione: la passione per Dio e per l’uomo. Questa passione ci tiene insieme e ci chiede di essere creativi. Perché un conto è fare il parroco ad Aleppo, un altro a Nazareth, un altro ancora nella Città Vecchia di Gerusalemme. In ogni luogo dobbiamo reinventarci ma ciò che resta costante è il desiderio di servire questa terra e la sua gente».
Una missione complessa anche dal punto di vista umano, perché i frati vivono accanto a comunità spesso divise da fronti contrapposti. «Viviamo ogni giorno la tensione di stare accanto a persone che appartengono a mondi differenti: israeliani, palestinesi, migranti, rifugiati, lavoratori stranieri. Ma la nostra vocazione è essere ponti, testimoniare che è possibile vivere insieme nella diversità».
Parlando di Gaza, la voce di fra Ielpo si fa più intensa. Negli ultimi mesi le richieste di evacuazione rivolte anche alla comunità cristiana non hanno piegato la scelta di religiose e religiosi che hanno deciso di restare. «Quel gesto mi ha profondamente toccato. Quando ho saputo che le suore e i preti, ma anche il vescovo e il sacerdote greco-ortodosso avevano scelto di restare, mi sono immedesimato nei due patriarchi, il cardinale Pierbattista Pizzaballa per il Patriarcato latino di Gerusalemme e Teofilo III per il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme. Mi sono chiesto: che cosa prova un pastore sapendo che i propri figli scelgono di rimanere, pur correndo un rischio altissimo, forse anche della vita? Ho sentito il bisogno di dire loro: non siete soli».
Non siete soli
Dopo il comunicato congiunto dei patriarchi, anche la Custodia ha espresso pubblicamente la propria solidarietà. «Quel gesto – continua – è stato per me il più grande grido che si è levato verso le coscienze in mezzo a questo inferno. Non ha fatto notizia, come spesso accade per i gesti d’amore più puri, ma è stato un segno fortissimo: c’è ancora chi è disposto a dare la vita per amore. È un appello, una testimonianza che dice al mondo che tutti desiderano essere amati fino a questo punto».
Tra stanchezza e ferite antiche, la speranza che si è riaccesa chiede ora passi pazienti e concreti. «Il compito della Chiesa, oggi, è stare, accompagnare, prendersi cura. Non con grandi gesti, ma con la presenza quotidiana. È questo che genera speranza: sapere che c’è qualcuno che si prende cura di te. È una fedeltà al presente, alle persone, ai luoghi. Ed è questa fedeltà che può continuare a generare segni credibili di riconciliazione e di vita condivisa. Piccoli gesti, forse, ma capaci di far intravedere la possibilità di un futuro diverso».
Al termine di questa conversazione con il Custode, emerge con chiarezza il suo legame profondo con la Terra Santa, con la Custodia e con la missione che i frati minori sono chiamati a vivere. Custodi e guardiani delle pietre, dei luoghi della fede, ma anche parte integrante del tessuto sociale, educativo ed economico di questa terra. Non basta costruire la pace, occorre imparare a viverla quotidianamente, in ogni ambiente, con ogni persona. La speranza è che questo accordo possa davvero portare un po’ di serenità a quanti hanno sofferto, non solo negli ultimi due anni, ma da molto più tempo. E che, nonostante la stanchezza e le ferite, possa fiorire giustizia e pace per chiunque abiti questa terra, che rimane Santa, nonostante tutto.