Permessi 104: la Cassazione chiarisce che conta l’assistenza, non l’orario

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Con l’Ordinanza n. 23185/2025 la Suprema Corte ribadisce che i permessi sono legittimi se finalizzati alla cura del familiare con disabilità, indipendentemente dalla fascia oraria

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sull’uso dei permessi previsti dalla Legge 104/1992, confermando un principio di grande rilievo per lavoratori e caregiver: non è l’orario della giornata a rendere legittimo il permesso, ma la concreta prestazione di assistenza al familiare con disabilità. È questo il cuore dell’Ordinanza n. 23185/2025, che offre una tutela in più a chi ogni giorno si fa carico di cure spesso continuative e non legate a rigidi schemi temporali.

IL CASO CONCRETO

La vicenda trae origine dal licenziamento di un dipendente accusato di aver utilizzato i permessi 104 per scopi personali. Le prove raccolte dal datore di lavoro mostravano spostamenti mattutini che non sembravano riconducibili a un’attività di cura. In appello, però, il lavoratore aveva dimostrato di aver prestato assistenza al familiare disabile soprattutto nelle ore serali e notturne, quando il bisogno era più pressante. La Corte d’Appello di Bari aveva quindi annullato il licenziamento, decisione poi confermata dalla Cassazione, che ha rigettato il ricorso del datore di lavoro.

LA POSIZIONE DELLA CASSAZIONE

Nell’ordinanza, la Suprema Corte ribadisce che i permessi della 104 non devono essere utilizzati in coincidenza con l’orario di lavoro, ma devono essere finalizzati all’assistenza effettiva. È dunque irrilevante se la prestazione avviene al mattino, di sera o di notte: ciò che conta è che vi sia una cura reale e dimostrabile nei confronti della persona con disabilità. A carico del datore di lavoro rimane l’onere di provare un uso improprio del permesso, mentre non è richiesto al lavoratore di giustificare ogni ora con attività di assistenza diretta.

LE IMPLICAZIONI PRATICHE

“È un’ordinanza – spiega l’Avv. Roberta Venturi, Sportello Legale OMaR – Dalla parte dei Rari – che conferma un principio importante e dunque che non è necessario che sussista una sovrapposizione temporale tra le necessarie attività di assistenza al familiare con disabilità e l’orario di lavoro. Sappiamo che questa pronuncia produrrà effetti solo sulla fattispecie concreta, tuttavia rappresenta, in termini generali, un precedente giurisprudenziale importante”.

Questa pronuncia, dunque, apre a una maggiore flessibilità nell’uso dei permessi, adattandoli meglio alle esigenze concrete delle persone con disabilità e dei loro caregiver. Per chi presta assistenza, significa non dover dimostrare una coincidenza rigida con i turni lavorativi, ma poter organizzare i momenti di cura in base ai reali bisogni del familiare. Resta comunque consigliabile documentare l’assistenza svolta, per essere in grado di rispondere a eventuali contestazioni.

UN SEGNALE PER IL FUTURO

“Il vero nodo – conclude Venturi – non è giuridico, ma sociale: quando il diritto pretende di incasellare l’assistenza in fasce orarie standard, ignora la natura intermittente, faticosa e spesso invisibile della cura. Questa ordinanza non risolve tutto, ma riconosce che il tempo del caregiver non coincide con quello del cartellino”.

Si può quindi concludere che Ordinanza n. 23185/2025 rappresenta un precedente importante nei contenziosi sul tema dei permessi 104. La Cassazione ha scelto di dare priorità all’effettività dell’assistenza rispetto a vincoli meramente formali, riconoscendo il valore del lavoro di cura svolto in orari spesso invisibili. Un passo che rafforza i diritti dei caregiver e, indirettamente, la tutela delle persone con disabilità.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Alessandra Babetto)