“Dalle epilessie alle patologie neuromuscolari, l’Italia è in prima linea nelle sperimentazioni. Ciò che occorre è un passaggio strutturato dall’età infantile a quella adulta”
Il passaggio dall’età evolutiva a quella adulta rappresenta uno dei momenti più critici per i pazienti con malattie rare ad esordio pediatrico. Troppo spesso la continuità delle cure si interrompe proprio quando sarebbe più necessaria, con il rischio di vanificare anni di terapie e riabilitazione. Un fenomeno che in Italia riguarda migliaia di bambini e adolescenti, molti dei quali presentano disturbi del neurosviluppo che richiedono un approccio multidisciplinare di lunga durata. L’Italia si trova in una posizione di primo piano nella ricerca internazionale su queste patologie, con numerose sperimentazioni in corso, ma il vero nodo resta la costruzione di percorsi di cura che non si limitino alla dimensione medica, integrando anche gli aspetti cognitivi, relazionali e comportamentali. Ne abbiamo parlato con la professoressa Elisa Fazzi, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) e direttrice della U.O. di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza presso l’ASST Spedali Civili di Brescia.
Professoressa Fazzi, qual è il ruolo del neuropsichiatra infantile nel percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo dei bambini e ragazzi con malattia rara? Perché questa figura è così centrale?
Nel percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo dei bambini e ragazzi affetti da malattia rara con disabilità complesse, il neuropsichiatra infantile rappresenta uno dei primi interlocutori e ha un ruolo cruciale nel valorizzare e comprendere il significato dei sintomi, nel tracciare il percorso diagnostico e terapeutico, nonché nel garantire il massimo coinvolgimento dei pazienti e delle loro famiglie nelle scelte di cura. Molte delle malattie rare con esordio in età evolutiva richiedono una presa in carico neuropsichiatrica e riabilitativa di lungo periodo, basata su un approccio multidisciplinare. Questo perché si tratta di patologie che sono accomunate da diversi aspetti: la difficoltà per il bambino di ottenere una diagnosi appropriata e rapida, in grado anche di permettere un adeguato counseling genetico per eventuali future gravidanze della coppia genitoriale; la scarsa, ma in futuro sempre più possibile, disponibilità di cure risolutive; un andamento della malattia spesso cronico-invalidante, con un carico pesante sulla vita individuale, familiare e sociale.
L’Italia è considerata un punto di riferimento nella neuropsichiatria infantile anche per il suo coinvolgimento in reti di ricerca internazionali. Su quali patologie rare si stanno concentrando oggi le sperimentazioni più promettenti?
In Italia, la neuropsichiatria infantile è all’avanguardia nella sperimentazione di terapie innovative nelle malattie rare con coinvolgimento del sistema nervoso centrale, con la partecipazione a network di ricerca internazionali. Dalla sindrome di Angelman alle malattie neuromuscolari come l’atrofia muscolare spinale (SMA) o la distrofia muscolare di Duchenne (DMD), dall’atassia-teleangectasia alla sindrome di Aicardi-Goutières, dal deficit di AADC alle leucodistrofie e a tutte le epilessie rare: l’elenco di malattie rare per cui si stanno avviando trial sperimentali è sempre più lungo.
Molti bambini con malattia rara presentano anche disturbi del neurosviluppo. Come si costruisce un percorso di cura che tenga conto non solo della dimensione medica, ma anche di quella cognitiva, relazionale e comportamentale?
La presenza di un processo strutturato di continuità delle cure è correlata al miglioramento generale delle condizioni di salute e della qualità di vita, a una più positiva esperienza dei pazienti in relazione alla loro patologia e ad un più appropriato utilizzo delle risorse del sistema sanitario, con riduzione del tasso di ricoveri e mortalità. La continuità di cura è concetto ben più ampio e trasversale di quello di transizione e, soprattutto, pone al centro il paziente e i suoi percorsi, non i servizi. È per questo che, come Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, abbiamo scelto di approfondire il tema in modo specifico in un apposito documento di indirizzo, con particolare attenzione al delicato passaggio tra l’età evolutiva e l’età adulta.
Il passaggio dall’età evolutiva all’età adulta è spesso un momento critico. Quali sono, secondo lei, i principali rischi e le condizioni necessarie per garantire una transizione efficace?
Nella fase di passaggio verso l’età adulta, gli adolescenti con malattia rara e disturbi del neurosviluppo e le loro famiglie si trovano ad affrontare sfide particolarmente impegnative poiché, oltre ai cambiamenti specifici dell’adolescenza, devono far fronte anche a importanti differenze di natura assistenziale, organizzativa e culturale tra servizi per l’età evolutiva e servizi per l’età adulta, che portano frequentemente all’abbandono o all’interruzione dei percorsi assistenziali, con il rischio di compromettere i benefici degli interventi terapeutici e riabilitativi precedenti. Un buon percorso verso i servizi per l’età adulta può incrementare resilienza e autodeterminazione: la sua attuazione richiede un costante lavoro di programmazione, confronto e formazione comune tra tutti i servizi coinvolti (spesso assai numerosi), la definizione dell’intensità di supporto necessaria per ciascun utente (minima, moderata, elevata o molto elevata), l’informazione e la preparazione di pazienti e famiglie e il loro coinvolgimento attivo, la flessibilità nel momento di passaggio – che deve poter avvenire prima o dopo la maggiore età, in modo personalizzato per ciascuno – e un attento monitoraggio nel tempo.
Esiste una specificità nei bisogni di cura dei bambini con malattia rara? Ovvero, cosa succede, concretamente, quando la continuità delle cure si interrompe o non è garantita? E quali sono le conseguenze più evidenti?
Infanzia e adolescenza, in particolare nei bambini con malattia rara, sono fasi cruciali e delicate dello sviluppo umano, segnate da profondi cambiamenti fisici, endocrini, immunologici, neurobiologici, psicologici, cognitivi ed emotivi. Trattare bambini e adolescenti come “adulti in miniatura” è un errore grave: significa ignorare le loro caratteristiche evolutive, con il rischio di compromettere sia lo sviluppo individuale sia l’efficacia dei servizi sanitari.