C’è un filo che unisce Asolo, Montebelluna e Cavaso del Tomba, ed è quello del civismo: quel modo di fare politica che parte dai paesi, dalle piazze, dalle relazioni quotidiane. È lo stesso filo che oggi lega Andrea Regosa e Claudia Cadonà, due candidati de Le Civiche Venete che hanno scelto di sostenere Giovanni Manildo nella corsa alla presidenza della Regione Veneto.
Due storie diverse, ma complementari: lui imprenditore e architetto con un passato da rugbista e una visione territoriale profonda; lei impiegata notarile, volontaria, con una sensibilità umana che si traduce in attenzione ai temi sociali, alla sanità di prossimità e al benessere delle famiglie.
Entrambi incarnano lo spirito delle Civiche Venete: una politica fatta di concretezza, di ascolto, di partecipazione. Una politica che non arriva dall’alto, ma nasce dal basso, da chi ogni giorno vive e conosce il territorio. Continueranno il loro ciclo di incontri con le comunità dell’Alta Marca Trevigiana giovedì 23 ottobre a Riese Pio X presso il municipio ore 20:30 e giovedì 13 novembre a Cavaso del Tomba, sempre alle ore 20:30. E per tutta la campagna elettorale lavoreranno in coppia, così da stimolare il voto congiunto diverso in base al genere come prevede la normativa.
Andrea Regosa: il pragmatismo di chi costruisce, sul campo e in azienda
Quarantadue anni, laureato in Architettura con una tesi dal titolo “Asolo 2050 – un futuro possibile”, Andrea Regosa è uno di quei candidati che si riconoscono subito per la sincerità del tono e la passione con cui parla del proprio Veneto. Nato ad Asolo e oggi residente a Cavaso del Tomba, oggi alla guida di Aloven srl di Montebelluna, azienda di famiglia che da quarant’anni lavora nel settore dei tessuti tecnici per la calzatura sportiva.
Ma prima ancora dell’imprenditore, c’è il ragazzo cresciuto nei campi da rugby, fondatore con un gruppo di amici dell’associazione “Dai&Vai”, e poi candidato sindaco nel 2014 con la lista civica Asolo Viva. Un’esperienza che, come racconta lui stesso, «ha creato in me la consapevolezza che se vuoi cambiare le cose, devi avere il coraggio di metterci la faccia».
Oggi quel coraggio si traduce nella scelta di candidarsi al consiglio regionale con Le Civiche Venete. «Il nostro biglietto da visita siamo noi stessi — spiega —, la nostra storia, il nostro lavoro, le esperienze che portiamo dentro. È questo il senso del civismo: partecipare, proporre, costruire».
Nel suo intervento di presentazione, Regosa ha messo sul tavolo una visione precisa: un Veneto che deve cambiare passo, che rischia di rallentare se non ripensa il proprio modello di sviluppo. «Il PIL cresce appena dello 0,8% — ricorda —, molte aziende stanno affrontando il cambio generazionale senza strumenti adeguati, e la manodopera qualificata scarseggia. È il segnale che la locomotiva del Nordest sta perdendo slancio».
Per lui le priorità sono chiare. Primo: rafforzare la struttura di Veneto Innovazione, dotandola di risorse e strumenti per accompagnare le imprese nella transizione tecnologica. Secondo: formare lavoratori e giovani in linea con le esigenze reali del mercato.
«Dobbiamo rieducare al rischio i nostri ragazzi — dice Regosa —. La forza del Veneto è sempre stata la capacità dei giovani di mettersi in gioco, di fondare imprese, di innovare. Oggi serve restituire loro fiducia e opportunità, perché un Veneto senza giovani è un treno fermo in stazione».
Ma Regosa non è solo un uomo d’impresa. È anche un architetto che conosce il linguaggio del territorio, e che guarda al paesaggio veneto come a un organismo da rigenerare.
«In sessant’anni abbiamo ferito la nostra terra — ha detto —. Il poeta Zanzotto lo chiamava “progresso scorsoio”. Oggi dobbiamo prendercene cura».
Il suo programma ambientale è concreto e strutturato: stop al consumo di suolo, recupero degli edifici esistenti, riutilizzo del patrimonio pubblico dismesso e un grande piano di rinaturalizzazione dei fiumi e dei corsi d’acqua.
Regosa cita gli esempi virtuosi del Centro Europa e del Canada per dire che è ora di cambiare paradigma: «Abbiamo trattato i fiumi come nemici, cementificandoli. Dobbiamo tornare a considerarli alleati. L’acqua deve rallentare, ricaricare le falde, generare ecosistemi».
Non è un discorso da tecnico, ma da cittadino che vive i mutamenti climatici nel quotidiano. «Un fiume in salute è un fiume sicuro — afferma —, ma è anche un corridoio ecologico e un’opportunità turistica. Un territorio curato è un territorio che genera lavoro e benessere».
Le sue parole disegnano un Veneto del 2030 che rischia di essere molto diverso se non si agisce subito: «Non possiamo sprecare altri cinque anni. Dobbiamo rimettere la locomotiva sui binari giusti: più sostenibile, più solidale, più prospera».
Claudia Cadonà: la voce della cura e dell’ascolto
Accanto a lui, Claudia Cadonà, 40 anni, originaria di Cornuda e oggi residente ad Asolo, rappresenta la dimensione più sociale del civismo. Impiegata notarile, impegnata nel volontariato, racconta con semplicità e convinzione la sua scelta di candidarsi: «I miei genitori mi hanno insegnato che se qualcosa non mi piace, non devo aspettare che siano gli altri a cambiarla. Devo darmi da fare».
Il suo intervento pubblico, il primo della vita, è stato accolto con applausi sinceri proprio per la sua autenticità. Nessun artificio retorico, ma una chiarezza di intenti che raramente si ascolta in politica.
«Mi metto in gioco — ha detto — perché credo profondamente nel nostro territorio. Non è un pezzo di torta da spartire, ma una comunità viva, fatta di persone. E la politica deve tornare ad ascoltarle, non a contarle».
Per Cadonà il cuore del programma è il sociale, che definisce “la riforma che nessuno spiega”. Si riferisce alla legge regionale del 2024 che ha introdotto i nuovi Ambiti Territoriali Sociali (ATS), destinati a sostituire la componente sociale delle ULSS entro il 2026.
«È una rivoluzione silenziosa — spiega —. Gli ATS uniranno i Comuni per gestire i servizi sociali, ma molti cittadini non sanno cosa questo significhi. Chi avrà bisogno di aiuto a chi si rivolgerà? Gli assistenti sociali continueranno a conoscere davvero il territorio? La Regione deve vigilare, informare, spiegare. Perché dietro ogni sigla ci sono persone».
Cadonà porta avanti anche un’idea precisa di sanità: una sanità di prossimità, che torni ad essere “la casa di tutti”.
«È sempre più difficile trovare un medico o prenotare una visita — racconta —. Servono presidi territoriali, ambulatori aperti, case della comunità dove trovare un medico, un infermiere, uno sportello di ascolto. E serve investire nella domiciliarità, perché una persona seguita a casa vive meglio e costa meno al sistema».
Accanto alla sanità materiale, pone quella invisibile ma sempre più urgente: la salute mentale. «Sempre più ragazzi vivono momenti di ansia e solitudine — dice —. Servono psicologi di base, come ci sono i medici di base, figure accessibili e di riferimento. La salute mentale è salute a tutti gli effetti».
Un’idea semplice, ma rivoluzionaria nella sua concretezza: prevenire prima che il disagio diventi sofferenza. «Non possiamo continuare a ignorare il disagio psicologico dei giovani — aggiunge —. È un’emergenza silenziosa, ma reale».
Il terzo asse del suo impegno è la famiglia, che per Cadonà rappresenta la radice di ogni comunità.
«Se vogliamo che i giovani costruiscano un futuro qui, dobbiamo sostenere chi decide di fare famiglia — afferma —. Più asili nido pubblici, più flessibilità, meno costi. Non si può scegliere tra lavoro e vita».
Una visione che unisce welfare e sviluppo, sociale e impresa, e che dialoga perfettamente con la sensibilità di Regosa sul tema della rigenerazione territoriale: perché non c’è impresa senza comunità, e non c’è comunità senza cura.
