Fibrosi polmonare idiopatica: una nuova classificazione delle interstiziopatie polmonari

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Cambia la terminologia e arrivano i primi risultati incoraggianti degli studi su farmaci inalatori nel rallentarne la progressione

La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia rara, cronica e progressiva che colpisce soprattutto le persone sopra i 60 anni, più spesso fumatori o ex fumatori, ma non esclusivamente. È una pneumopatia interstiziale caratterizzata da un ispessimento e irrigidimento del tessuto polmonare che compromette la capacità respiratoria. Nella IPF la causa rimane, per definizione, sconosciuta (da qui il termine idiopatica), mentre le forme con causa ben identificabile (farmaci, esposizioni ambientali, malattie sistemiche) rientrano invece nelle interstiziopatie “secondarie”.

In Italia esistono centri specializzati in ogni regione, molti dei quali fanno parte di ERN-LUNG, la Rete di Riferimento Europea (ERN) per le malattie rare dell’apparato respiratorio. Tuttavia, la diagnosi resta spesso tardiva, con un ritardo medio di uno o due anni dall’esordio dei sintomi. “Fare una diagnosi precoce fa tutta la differenza: permette di iniziare il trattamento in una fase in cui la malattia può ancora essere rallentata”, spiega la dott.ssa Claudia Ravaglia, dell’U.O. di Pneumologia dell’Ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì (FC).

Fondamentale per la diagnosi precoce è una corretta classificazione delle forme della malattia. Un panel internazionale di esperti europei ed extraeuropei, di cui la stessa Ravaglia fa parte, ha recentemente proposto una nuova classificazione delle malattie polmonari interstiziali.

UNA NUOVA CLASSIFICAZIONE PER LE PNEUMOPATIE INTERSTIZIALI

La principale novità è il superamento della tradizionale dicotomia tra forme idiopatiche e secondarie. “La classificazione non parte più da una divisione netta, ma da un approccio integrato”, spiega Ravaglia. “All’esordio l’eziologia è spesso incerta e si chiarisce solo nel tempo. Per questo motivo non ha senso fermarsi di fronte all’etichetta di “idiopatica”, ma bisogna continuare a cercare la causa”.

Un altro elemento centrale della nuova classificazione è la distinzione tra pattern e diagnosi. “Il pattern descrive ciò che vediamo alla TAC o all’istologia, ma non coincide automaticamente con una diagnosi di malattia”, chiarisce Ravaglia. “In passato, un certo pattern coincideva di fatto con la diagnosi.  Oggi sappiamo invece che uno stesso pattern può comparire in diverse patologie, e che solo un approccio multidisciplinare consente una diagnosi corretta.”

LE PRINCIPALI NOVITÀ TERMINOLOGICHE

La nuova classificazione introduce tre aggiornamenti terminologici fondamentali: anzitutto la BIP (Bronchiolocentric Interstitial Pneumonia). Il termine identifica un pattern caratterizzato da alterazioni distribuite intorno ai bronchioli. “In passato queste alterazioni venivano attribuite quasi sempre alla polmonite da ipersensibilità, mentre oggi riconosciamo che il pattern bronchiolocentrico può comparire anche in altre diagnosi, e per la prima volta viene descritto come entità autonoma”, spiega Ravaglia.

Il secondo termine introdotto dalla nuova classificazione è IDAD (Idiopathic Diffuse Alveolar Damage), che va a sostituire la vecchia definizione di AIP (Acute Interstitial Pneumonia). “Il termine AIP era fuorviante - osserva ancora Ravaglia - perché suggeriva che tutte le forme acute fossero un’entità a sé stante. In realtà il danno alveolare diffuso può essere idiopatico ma anche secondario, e la nuova terminologia riflette meglio questa complessità”.

Infine, l’espressione AMP (Alveolar Macrophage Pneumonia) rimpiazza la DIP (Desquamative Interstitial Pneumonia). Negli anni Sessanta si pensava che le cellule negli alveoli fossero pneumociti desquamati, mentre oggi sappiamo che sono macrofagi. Inoltre, un tempo la malattia era associata quasi solo al fumo, mentre oggi conosciamo anche forme genetiche.

NUOVE FRONTIERE TERAPEUTICHE

Il 2025 ha segnato un passaggio importante anche sul piano terapeutico. A maggio sono stati pubblicati i risultati di due studi clinici di Fase III, aprendo prospettive concrete per rallentare la progressione della malattia.

Il nerandomilast potrebbe rappresentare una svolta per i pazienti, aprendo la strada a trattamenti clinicamente rilevanti e meglio tollerati.

All’ultimo congresso della European Respiratory Society (ERS), tenutosi ad Amsterdam a settembre 2025, sono stati presentati i dati dello studio multicentrico TETON-2, che ha valutato l’efficacia del treprostinil inalatorio in pazienti con fibrosi polmonare idiopatica e con forme progressive non idiopatiche. Condotto in numerosi centri italiani e internazionali, lo studio ha raggiunto l’endpoint primario, mostrando una differenza statisticamente significativa nella variazione della capacità vitale forzata dopo 52 settimane rispetto al placebo, oltre a un miglioramento della qualità della vita e del tempo al primo peggioramento clinico. La vera novità è che per la prima volta un farmaco si dimostra efficace anche per via inalatoria e questo apre la strada a una nuova generazione di trattamenti più efficaci.

Sono già in corso ulteriori studi, tra cui una formulazione inalatoria di nintedanib, e numerosi progetti di ricerca di base che sfruttano l’intelligenza artificiale per migliorare la diagnostica, integrando, per esempio, trascrittomica (single-cell/spatial transcriptomics) e analisi quantitativa delle immagini TAC.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Cristina Da Rold)