Sovranità tecnologica: perché l’Europa va verso l’open source

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La pubblica amministrazione detiene grandi quantità di dati sensibili e le sue infrastrutture sono strategiche: è il soggetto che più può beneficiare del software open source, che evita il vendor lock-in e garantisce interoperabilità, trasparenza e fiducia. “È un cambio di paradigma che va oltre la sovranità dei dati per abbracciare l’intero concetto di sovranità tecnologica, ovvero la capacità di comprendere, gestire e far evolvere autonomamente le proprie infrastrutture digitali”, evidenzia Giuseppe Cozzolino, Account Executive, Suse. Anche la Commissione Europea spinge in questa direzione: l’open source aiuta ad assicurare che le tecnologie fondamentali su cui si basano i servizi pubblici, le imprese e i cittadini siano accessibili, verificabili e governabili all’interno del perimetro europeo

21 Ottobre 2025

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Patrizia Licata

Giornalista

Foto di Clemens van Lay su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/una-bandiera-rossa-aperta-su-una-spiaggia-vicino-alloceano-ppJjSjpaw58

La sovranità tecnologica è uno dei temi centrali del dibattito europeo degli ultimi anni. Non si tratta solo di un’ambizione politica, ma di una necessità industriale: per le imprese e le pubbliche amministrazioni europee, impegnate nella transizione al cloud e all’intelligenza artificiale, è fondamentale avere il controllo sulle tecnologie (hardware, software e algoritmi) da cui dipendono per le loro attività.

In questo contesto, l’open source sta emergendo come una delle leve più concrete per la sovranità tecnologica (e anche digitale, che include la sovranità dei dati) europea. L’open source non solo rappresenta un modello aperto e collaborativo di sviluppo, ma consente ai Paesi e alle organizzazioni di mantenere il controllo sul codice, sull’evoluzione delle piattaforme e sui dati, come sottolinea il recente studio “Thematic Roadmap on Open Source and Inputs to Common Trust Principles” condotto dalla European Alliance for Industrial Data, Edge and Cloud e pubblicato dalla Commissione europea.

“In Europa il tema del rapporto tra open source e sovranità assume una dimensione politica e industriale specifica. Noi di Suse siamo convinti che la sovranità non si costruisca isolandosi, ma adottando modelli aperti e interoperabili, che garantiscano libertà di scelta e trasparenza”, evidenzia Giuseppe Cozzolino, Account Executive di Suse.

L’open source come risposta alle esigenze di sovranità

Lo scorso luglio la centralità dell’open source per la sovranità tecnologica è stata ribadita dalla vicepresidente esecutiva della Commissione europea, Henna Virkkunen. In risposta a un’interrogazione parlamentare relativa alla dipendenza dai fornitori statunitensi, Virkkunen ha riconosciuto l’urgenza di recuperare sovranità a partire dal software. Un elemento semplice e, tuttavia, non scontato: nel 2024, quasi la metà dei software utilizzati dalla stessa Commissione provengono dagli Stati Uniti. La quota sale nelle imprese e nelle PA. In Italia, pur con iniziative come il Polo Strategico Nazionale e gli incentivi del PNRR, molti sistemi digitali della pubblica amministrazione restano basati su tecnologie non europee.

La risposta a questo paradosso indicata dalla European Alliance for Industrial Data, Edge and Cloud è quella dell’open source, posto al centro delle politiche per la fiducia digitale. Nella visione di Bruxelles, la diffusione dei servizi cloud e lo sviluppo di soluzioni IA, considerati fondamentali per la competitività europea, vanno di pari passo con il tema della sovranità. Questa deve poggiare su un’infrastruttura europea capace di garantire autonomia, interoperabilità e trasparenza, riducendo la dipendenza da tecnologie proprietarie extraeuropee.

La roadmap illustrata nello studio evidenzia come il modello aperto sia la base per costruire un ecosistema in cui imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini possano condividere e gestire i dati in modo sicuro, secondo principi comuni di fiducia. L’open source non è solo una scelta tecnica, ma un principio di governance: rende possibile verificare, adattare e migliorare il software collettivamente, creando valore pubblico e privato allo stesso tempo.

“È un cambio di paradigma che va oltre la sovranità dei dati per abbracciare l’intero concetto di sovranità tecnologica, ovvero la capacità di comprendere, gestire e far evolvere autonomamente le proprie infrastrutture digitali”, commenta Cozzolino.

La roadmap open source

L’open source è spesso considerato sinonimo di software “gratuito”. Ma è molto più di questo, sottolinea lo studio della European Alliance for Industrial Data, Edge and Cloud: indica flessibilità architetturale, interoperabilità, trasparenza e resilienza. In un contesto in cui i fornitori esterni potrebbero limitare gli aggiornamenti, gli accessi o le modifiche, l’open source può garantire che l’utente finale (che siano le PA o le imprese) mantenga margini di controllo. 

Lo studio pone l’accento anche sulla necessità di “framework tecnici, organizzativi, operativi, etici e regolatori” standardizzati nei processi di condivisione dei dati. Evidenzia i gap esistenti nei componenti di fiducia o “trust” (identità, certificazione, interoperabilità) e raccomanda che si lavori in modo coordinato tra stakeholder pubblici e privati. 

Open source: un “bene comune” da 9 trilioni di dollari

Le ricerche condotte dall’Harvard Business School negli ultimi mesi aiutano a comprendere la portata economica di questo modello. Nel paper “The Value of Open Source Software” gli studiosi stimano che l’insieme del software open source utilizzato oggi nel mondo rappresenti un valore potenziale di oltre 9.000 miliardi di dollari per le imprese.

Le aziende, sottolinea lo studio, beneficiano enormemente del lavoro delle comunità open source, riducendo i costi di sviluppo e accelerando l’innovazione. Tuttavia, questo patrimonio globale non deve essere dato per scontato: viene costruito in modo collaborativo e occorre contribuire tutti al suo mantenimento diventando parte dell’ecosistema.

Un secondo studio dell’Harvard Business School, “Contributing to Growth? The Strategic Role of Open Source Software for Global Startups”, approfondisce proprio l’impatto strategico della partecipazione attiva. Le start-up che contribuiscono all’open source crescono più rapidamente, attraggono investimenti e talento, e riescono a influenzare l’evoluzione dei progetti da cui dipendono.

Questi risultati confermano quanto riferito già nel 2021 da uno studio di DG CONNECT della Commissione Europea: nel 2018 le aziende situate nell’area UE hanno investito circa 1 miliardo di euro in software open source, con un impatto sull’economia dell’eurozona stimato tra i 65 e 95 miliardi di euro. Inoltre, un aumento del 10% sugli investimenti in software open source potrebbe contribuire alla nascita di oltre 600 nuove start-up in Europa, generando un aumento di PIL di 100 miliardi di euro.

Lo studio evidenzia come usare esclusivamente software open source, invece di software proprietario, possa favorire l’indipendenza del settore pubblico nell’Unione, riducendo i costi e limitando il fenomeno del lock-in (la dipendenza dai fornitori).

“Essere open by design”, afferma Giuseppe Cozzolino, Account Executive di Suse, “significa permettere alle amministrazioni pubbliche e alle imprese di utilizzare e adattare le proprie infrastrutture digitali senza essere vincolate da un fornitore unico. È una condizione fondamentale per l’indipendenza tecnologica e per la resilienza dei sistemi nazionali”.

L’open source permette, infatti, di controllare e verificare il codice; i dati restano sotto la giurisdizione europea, e le infrastrutture possono essere costruite su standard comuni e trasparenti. Soprattutto, l’Europa può valorizzare le proprie competenze interne e sviluppare ecosistemi industriali locali, alimentando innovazione e occupazione qualificata.

Eurostack e il ruolo delle imprese europee

Il percorso avviato con iniziative come Eurostack (una proposta di politica industriale finalizzata a creare un’infrastruttura tecnologica interamente europea), sostenuta anche da Suse, si muove in questa direzione.

“La lettera d’intenti firmata da Suse con diversi attori del settore ribadisce l’impegno a costruire un cloud europeo aperto e interoperabile, basato su standard comuni e su tecnologie open source”, dichiara Cozzolino. “L’obiettivo è offrire alternative competitive ai grandi hyperscaler globali, capaci di garantire trasparenza, portabilità e conformità alle normative europee”.

Prosegue Cozzolino: “La sovranità digitale non è una sfida contro qualcuno, ma una responsabilità collettiva: significa assicurare che le tecnologie fondamentali su cui si basano i servizi pubblici, le imprese e i cittadini europei siano accessibili, verificabili e governabili all’interno del perimetro europeo”.

Dalla consapevolezza alla vera sovranità tecnologica europea

In sostanza, l’open source è un elemento importante nella realizzazione di un’Unione Europea più autonoma e sovrana dal punto di vista tecnologico. Ed è possibile conciliare apertura e sovranità, offrendo soluzioni sicure, interoperabili e pienamente europee.

Il passo successivo, però, è trasformare questi principi in prassi quotidiana: nelle politiche di procurement pubblico, nei programmi di ricerca, nella formazione digitale, nella collaborazione tra pubblico e privato. Solo così l’Europa potrà passare da una sovranità “dichiarata” a una sovranità tecnologica reale, capace di tutelare i dati, promuovere l’innovazione e mantenere il controllo sulle proprie infrastrutture strategiche.

“L’open source non è solo un modello di sviluppo software: è la chiave per costruire un futuro tecnologico e digitale realmente europeo”, conclude Giuseppe Cozzolino, Account Executive in Suse.

Recapiti
di Patrizia Licata