Una recente indagine AIOM rivela che il 90% dei clinici chiede una legge nazionale sul tema, e il 63% è favorevole all’eutanasia nei pazienti oncologici
Il fine vita non è un tema astratto. È il punto in cui la medicina incontra la coscienza, dove la tecnica si misura con la sofferenza e dove il diritto, spesso, arriva tardi. A dirlo non sono i pazienti, né i giuristi, ma i clinici: oncologi, anestesisti, radioterapisti, chirurghi, palliativisti, psico-oncologi. Ben 562 professionisti della cura hanno risposto a un’indagine promossa dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e dalla Fondazione AIOM, con il coinvolgimento di AIRO, SIAARTI, SICO, SICP e SIPO. I risultati sono stati presentati nel corso delle “Giornate dell’Etica” tenutesi a Lecce lo scorso settembre, nell’ambito di un convegno dedicato al tema “Fine vita: la cura oltre la malattia”.
Il 90% dei clinici ritiene necessaria una legge nazionale sul fine vita. Il 63% è favorevole all’eutanasia nei pazienti oncologici, il 50% in presenza di condizioni specifiche come sofferenza inaccettabile, scelta consapevole, aspettativa di vita breve. Il 13% lo è sempre. Il dato non si presta a semplificazioni: non è un’adesione ideologica, ma una richiesta di chiarezza normativa, di strumenti operativi, di tutela per il paziente e per il medico.
Le zone grigie sono molte. Il 50% dei clinici considera nutrizione e idratazione artificiale trattamenti medici, l’altra metà li definisce terapie di supporto. Il 32% dichiara di non sentirsi sufficientemente preparato ad assistere il paziente oncologico nella fase terminale. Il 60% continua a somministrare trattamenti oncologici nell’ultimo mese di vita. Solo il 29% afferma che la sedazione palliativa, dove indicata, viene sempre effettuata.
La pianificazione condivisa delle cure, prevista dalla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, è ritenuta attuabile nel 92% dei casi, ma solo il 9% la mette sempre in pratica. In presenza di Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), il 72% ritiene di dover sempre rispettare la volontà del paziente. L’85% informa il paziente oncologico in fase avanzata della prognosi, ma con frequenze variabili.
Sul piano organizzativo, l’82% delle strutture dispone di un’Unità o Servizio di cure palliative, il 77% garantisce cure simultanee. Ma il modello integrato resta difficile da attuare, anche nei centri più avanzati, per la carenza strutturale di palliativisti. In questo scenario, AIOM propone di rafforzare le competenze degli oncologi nella palliazione primaria e di promuovere una formazione di base che consenta di integrare precocemente gli interventi di supporto.
La proposta normativa attualmente in discussione, secondo AIOM e altre società scientifiche, presenta criticità rilevanti: esclude il Servizio Sanitario Nazionale dalla fase attuativa, non definisce chi debba assistere il paziente, prescrivere o fornire i farmaci, supervisionare la procedura. Il rischio è una selezione per censo, una medicina che discrimina, una presa in carico che non arriva.
Il messaggio dei clinici è netto: il fine vita è parte integrante del percorso di cura. Non può essere lasciato all’improvvisazione, né alla solitudine del paziente o del medico. Serve una legge, ma serve anche una medicina capace di accompagnare, informare, sostenere. Una medicina che non rinuncia alla cura, nemmeno quando la guarigione non è più possibile.