Se bazzicate questi dintorni da tempo ormai lo saprete: Sanderson e le sue creazioni sono ospiti costanti e altamente graditi di questo blog fin dalla sua fondazione. Non vi stupirà dunque scoprire che la sottoscritta è tra le entusiaste giocatrici del nuovo GDR ispirato alla serie delle Cronache della Folgoluce, per il quale ho creato la mia nuova personaggia alethi Valerin Thanadal.
Come da tradizione, una nuova PG arriva sempre accompagnata da un raccontino di presentazione, in questo caso calato nelle atmosfere di Roshar. Va da sé che luoghi, fatti e personaggi (almeno i principali) così come le nomenclature varie sono opera di Sanderson, io mi sono limitata a costruire un po’ di trama a basso livello per dare consistenza alla mia Valerin. Il suo ritratto qui sopra, invece, è gentilmente offerto da Gemini.
Erano ore che sedeva alla scrivania con il capo chino sui libri. Il fabrial accanto a lei emetteva una tenue luce verdastra, che rendeva ostico interpretare la sua stessa calligrafia sulle pagine di appunti disordinati; gli occhi le bruciavano, il collo e la schiena la imploravano di alzarsi e cambiare posizione. Lei però andava avanti, imperterrita, più per stizza che per reale disciplina.
Accanto a lei, la distacanna lampeggiò per l’ennesima volta, ma Valerin la ignorò. Non aveva tempo per star dietro ai messaggi, non quando era così vicina a decifrare quel passo. O almeno, sperava di esserci vicina, più le ore passavano più la certezza che l’aveva guidata quella mattina la abbandonava. Che l’ottava parabola fosse complessa era risaputo ma, dopo una notte di sonno tormentato, Valerin si era svegliata con la certezza che avrebbe trovato la giusta interpretazione alla storia di Nohadon.
Alla fine, devo proclamare che nessun bene può essere ottenuto con mezzi falsi.
Continuava a trascrivere quelle parole, anche se all’apparenza non dicevano nulla di rivoluzionario: l’antico re ricordava l’importanza di scegliere sempre la verità sopra la menzogna, un precetto che la stessa dottrina Vorin aveva abbracciato. Eppure, Valerin era certa che ci fosse qualcosa di più profondo sotto. Qualcosa di meno intuitivo, di meno… banale.
Quel passo le risuonava, anche se non era in grado di dire perché. Era sicura di aver percepito qualcosa, durante la notte: una voce lontana, uno sfarfallio al margine del campo visivo che la spronava a continuare a scavare in cerca di una verità particolare, non solo sul libro ma anche su sé stessa. Ma quella mattina, alla luce verdastra del fabrial, il libro sembrava disposto a offrirle solo verità scontate, e lei si sentiva stanca e scoraggiata.
Oltretutto, dallo studio del libro era passata come al suo solito a fantasticare, e le pagine si erano riempite di appunti sull’aspetto che dovevano aver avuto i Radiosi Perduti all’epoca di Nohadon, sulle loro espressioni concentrate, sul suono delle loro voci.
Cancellò un’altra riga di divagazioni con la manofranca e asciugò una goccia di sudore con la manica dell’havah. Tornò al libro, ma poco dopo un sospiro frustrato le sfuggì dalle labbra. Possibile che fosse davvero tutto lì? Che gente come Jasnah Kholin si sbagliasse, e che le memorie di Nohadon fossero solo quello, delle memorie, senza alcun significato profondo dietro?
Valerin non voleva crederci. Gli studi della luminobile Kholin l’affascinavano da tempo: ammirava il coraggio della studiosa, la sua determinazione a perseguire idee che il resto degli studiosi considerava al limite dell’eretico. Le sarebbe piaciuto conoscerla, avere la possibilità di imparare da lei. O forse, ad essere sincere, le sarebbe piaciuto essere lei, padrona della situazione e al centro dei turbinosi eventi che stavano sconvolgendo Alethkar e l’intera Roshar.
Quella piccola verità vibrò dentro di lei, ma Valerin fu svelta a sotterrarla. Non stava bene essere così orgogliose, non per una futura e rispettata studiosa quale si impegnava a diventare. Prima di tornare al tomo, recitò alcuni degli insegnamenti della Devozione della Purezza per riportare in sé un po’ di umiltà, ma quando si chinò di nuovo sulle pagine le righe presero a danzare e a creare ghirigori simili a quelli del suo sogno, rendendole impossibile decifrarle.
Valerin si rassegnò e chiuse la copia della Via dei re. Si alzò per dare un po’ di tregua ai muscoli doloranti e girottò per la stanza, gettando qualche occhiata all’oscurità al di là della finestra. Mancavano ancora diverse ore alla cena, ma il cielo era già coperto e il fronte dell’Altatempesta sembrava vicino. Con curiosità socchiuse la finestra e raffiche di vento invasero la stanza, scacciando gli ultimi rimasugli di straniamento dovuti alle tante ore di studio.
Aveva poco senso starsene chiusa tra quelle quattro pareti quando là fuori c’era tutto quel fermento. Chiuse la finestra e tornò alla scrivania, dove fissò un foglio allo scrittoio della distacanna, che aveva ripreso a lampeggiare. Sapeva già che si trattava della madre, in ansia per il suo viaggio e bisognosa di rassicurazioni. La sua intenzione di partire con la carovana aveva procurato parecchia agitazione in famiglia e, se non fosse stato per l’intervento di Hener, difficilmente Valerin avrebbe ottenuto il permesso dal padre di imbarcarsi in quell’avventura.
In un moto di tenerezza verso il fratello maggiore, Valerin ruotò la gemma della distacanna e scrisse un breve messaggio di risposta, poi abbandonò la stanza e scese al pianterreno.
La sala comune della piccola locanda era gremita di gente, probabilmente altri viaggiatori in cerca di un riparo dall’Altatempesta. Le ci volle qualche minuto per individuare Taszo, ma quando infine lo scorse si fece largo in mezzo alla folla e raggiunse la sua tavola, attorno alla quale sedevano diversi dei loro compagni di viaggio.
«Luminobile, è un piacere averla a cena con noi» la salutò lo shin, con un lieve cenno del capo rasato. Valerin fece per prendere posto, ma esitò: i membri della carovana sedevano tutti allo stesso tavolo, uomini e donne, e parlavano tra loro senza prestare grande attenzione all’etichetta. Una situazione che i suoi genitori avrebbero disprezzato, e che l’aveva spinta a farsi portare la cena in camera i giorni precedenti. Quella sera, però, era stufa di starsene sola a rimuginare sul suo libro, senza arrivare da nessuna parte. Ringraziò che Davinar fosse tanto lontana e che i suoi non potessero vederla, allargò il sorriso e si sedette.
«Ne sono felice anche io, Taszo» disse con sincerità. Da qualche parte dentro di lei, una vocina esile le suggerì che quello non fosse il giusto comportamento per una devota, ma la silenziò, concentrandosi invece su ciò che aveva intorno.
«Posso ordinarvi da mangiare?» le chiese un uomo con l’aspetto da soldato, e Valerin annuì. Al tavolo le chiacchiere continuavano, e lei fu lieta che gli altri viaggiatori non le prestassero troppa attenzione. Attese che le venisse servito il suo pasto dolce e leggermente speziato e fece vagare lo sguardo sui suoi compagni di viaggio, soffermandosi in particolare su Taszo.
Lo shin la affascinava: sembrava conoscere molte storie sui Radiosi Perduti, e i suoi contatti con l’alta nobiltà alethi avevano assicurato a tutti loro la possibilità di raggiungere le Pianure Infrante, cuore pulsante degli ultimi eventi che avevano investito Roshar. Valerin non vedeva l’ora di arrivare nel campo e osservare con i suoi occhi ciò che i messaggeri comunicavano da settimane: le nuove forme assunte da quelli che un tempo erano considerati innocui parshi; Dalinar Kholin, fratello del defunto re, nelle vesti di Altoprincipe della Guerra.
Finché era rimasta a Davinar, le notizie dalle Pianure Infrante le erano arrivate regolarmente: a casa, il lampeggiare di una distacanna era un momento di massima attività; le assistenti della madre sostavano a turno davanti allo scrittoio, pronte a ruotare la gemma e a chiamare il padre di Valerin per comunicargli le novità dal campo, soprattutto le numerose richieste dell’Altoprincipe Thanadal, cugino del padre, di uomini e approvvigionamenti.
Da quando era partita con la carovana di Taszo, Valerin era riuscita ad avere dalla madre solo poche informazioni sparse. Taszo doveva avere notizie fresche, e Valerin fu tentata di interrompere la discussione tra lo shin e uno degli altri viaggiatori, un alethi dai lunghi capelli scuri e dal volto costantemente tormentato, ma si trattenne. Un conto era contravvenire ai dettami sedendo alla stessa tavola di un uomo alethi, e persino scambiare qualche parola con il suo ospite; un’altra era interrompere sgarbatamente una discussione per saziare la sua perenne curiosità.
Si morse la lingua e si concentrò sul pasto, continuando però ad ascoltare le voci che vibravano intorno a lei: chiacchiere leggere, ma anche speculazioni e interrogativi su ciò che li attendeva alle Pianure Infrante. Non era la sola ad essere eccitata, dopotutto, e questo la fece sentire meno in difetto con la Devozione.
Al centro del suo stomaco, qualcosa si contorse e sussultò appena. Qualcosa che aveva a che fare con la sua aderenza alla Devozione, con il suo volerla seguire tanto strenuamente. Socchiuse gli occhi e inspirò, una piccola scia di ghirigori le invase il campo visivo. Espirò finché non svanirono, insieme alla sensazione di disagio.
Quando riaprì gli occhi, vide che il rumoreggiare intorno a lei era cambiato, gli occhi della folla si concentravano tutti sulla porta, dalla quale era appena entrato un messaggero.
«Qualcuno ha cercato di uccidere Dalinar Kholin» disse l’uomo e un mormorio si levò dai tavoli. «Il tentativo è fallito, l’assassino è fuggito.»
Il messaggero venne fatto accomodare e molti lo circondarono per chiedergli i dettagli. Intorno a Valerin, le chiacchiere ripresero e si concentrarono sulla notizia: qualcuno gioiva per il fallimento dell’assassino, qualcun’altro si lamentava che il misterioso uomo non fosse riuscito in qualcosa che in tanti auspicavano.
Anche se erano ancora distanti, la situazione nelle Pianure Infrante aveva un impatto diretto e profondo su di loro così come sul resto di Roshar: chi poteva dire se, finita la guerra contro i Parshendi, Kholin si sarebbe limitato a comandare su Alethkar o se avrebbe cercato di estendere il suo dominio anche sugli altri regni? E se gli eserciti umani avessero invece perso, cosa sarebbe accaduto a quegli stessi regni?
Valerin ebbe voglia di alzarsi per raggiungere il messaggero, ma l’espressione dispiaciuta del padre alla sua ennesima contravvenzione della Devozione le balenò nella mente. Rinunciò all’idea e rimase al suo posto, anche se i pensieri corsero alle Pianure Infrante, ai volti delle persone che stavano combattendo quella lunga guerra e che lei non aveva mai visto, ma che si era immaginata con grande precisione. Pensò a Dalinar Kholin, all’importanza strategica che aveva dimostrato nelle ultime settimane, alle vittorie che gli eserciti umani avevano ottenuto grazie alla sua guida.
«Luminobile Thanadal, voi cosa ne pensate?»
La voce sconosciuta la riportò alla realtà. I suoi compagni di carovana ora la fissavano in attesa di una risposta, il calore le risalì al volto. Cosa avrebbe detto una buona devota in quella situazione? Probabilmente nulla, pensò, la guerra non era affare da donne, e Valerin faceva meglio a non immischiarsene.
«Io…» mormorò. «Ogni vita alethi è importante, sono felice che la sua sia stata risparmiata.» Ottenne in risposta qualche sorriso condiscendente, gli stessi che venivano riservati alle donne della sua famiglia in quelle circostanze. Ebbe voglia di alzarsi e lasciare la sala comune, ma Taszo le picchiettò una spalla con fare amichevole.
«Ben detto, luminobile. E comunque quel dannato Kholin ha la scorza dura, e sa il fatto suo. È un bene che sia scampato all’assassinio e che possa guidare ancora gli eserciti contro il nostro nemico.»
Le parole di Taszo diedero di nuovo il via alle chiacchiere, e gli sguardi si allontanarono da Valerin. Lei gliene fu grata, ma il senso di disagio rimase ad aleggiarle intorno. Aveva fatto quello che la religione prescriveva, si era astenuta dal dire davvero la sua opinione su una questione che non la riguardava. Perché allora si sentiva così tremendamente delusa da se stessa?