Melanoma uveale: le nuove possibilità terapeutiche ridisegnano il percorso dei pazienti

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Dr. Ernesto Rossi (Gemelli, Roma): “Oggi in Italia possiamo offrire trattamenti conservativi, è un cambiamento epocale”

Silenzioso, aggressivo e poco conosciuto: il melanoma uveale è un tumore raro che colpisce l’occhio e che negli ultimi anni sta entrando sempre di più nell’agenda della ricerca oncologica.  Oggi però lo scenario è cambiato: diagnosi più precise, terapie mirate, approcci conservativi e nuove possibilità di trattamento sistemico stanno ridisegnando il percorso dei pazienti. In Italia uno dei centri di riferimento è il Policlinico Gemelli di Roma, che oggi rappresenta uno dei pochissimi istituti a partecipare a studi clinici internazionali dedicati a questa patologia.

“Ad ottobre, al congresso europeo di oncologia, verranno presentati i dati preliminari di uno studio sulla terapia preoperatoria per il melanoma uveale. È una novità assoluta: il primo paziente in Europa arruolato in questo trial è stato proprio nel nostro centro. Si tratta di un’opportunità straordinaria”, spiega il Dr. Ernesto Rossi, dell’Oncologia Medica del Gemelli di Roma.

UN TUMORE DIVERSO DA TUTTI GLI ALTRI MELANOMI

Il melanoma uveale non va confuso con altre forme di melanoma. “Molti pazienti ancora oggi ci chiedono se le terapie del melanoma cutaneo possano essere trasferite all’oculare. La risposta è no: sono due patologie completamente diverse”, chiarisce Rossi. Esistono infatti diverse tipologie: il melanoma uveale, che origina nell’uvea (iride, corpo ciliare e coroide), il melanoma congiuntivale e i melanomi delle mucose, che possono insorgere nella cavità orale, nell’area anorettale o in sede ginecologica. Tutti derivano dai melanociti, ma hanno caratteristiche molecolari e cliniche distinte che richiedono approcci terapeutici dedicati.

Il melanoma uveale rappresenta solo il 4-5% di tutti i melanomi, ma è il tumore più frequente dell’occhio. A renderlo particolarmente insidioso è la sua aggressività: fino al 50% dei pazienti sviluppa metastasi a distanza, molto spesso a livello epatico. La probabilità di sviluppare metastasi dipende da diversi fattori. Le dimensioni della lesione e lo stadio al momento della diagnosi sono determinanti, ma a pesare sempre di più sono le caratteristiche genetiche. “Sappiamo che alterazioni come l’amplificazione del cromosoma 8q sono associate a un rischio metastatico più elevato. Oggi, però, possiamo stratificare i pazienti e personalizzare il monitoraggio e i trattamenti”, spiega l’oncologo.

La buona notizia è che circa la metà dei pazienti guarisce senza recidive. Nell’altro 50%, pur in presenza di metastasi, le terapie attuali permettono spesso di convivere con la malattia a lungo, in condizioni accettabili di qualità di vita. 

UNA DIAGNOSI SPESSO CASUALE

Nella maggioranza dei casi il melanoma uveale viene scoperto in maniera incidentale, durante una visita oculistica di controllo. “Accade che si identifichi una lesione pigmentata all’interno dell’occhio e il paziente venga subito inviato a un centro specializzato. In altri casi, invece, sono i sintomi visivi ad attirare l’attenzione: offuscamento della vista, comparsa di flash o alterazioni del visus. Quando la diagnosi arriva in fase asintomatica, le probabilità che la lesione sia di piccole dimensioni sono più alte, anche se non è una regola”, racconta Rossi.

Tra i fattori di rischio noti ci sono la carnagione chiara, la melanocitosi oculodermica e alcune sindromi genetiche predisponenti, come quella legata al gene BAP1. Molto meno chiaro invece il ruolo dei raggi UV, che hanno un peso minore rispetto al melanoma cutaneo.

LE TERAPIE OGGI DISPONIBILI PER IL MELANOMA UVEALE

Il trattamento dipende dalle dimensioni e dalle caratteristiche del tumore. Oggi si utilizzano tecniche di radioterapia altamente mirate, come la brachiterapia con placche di rutenio e la terapia protonica, che consentono di colpire la lesione riducendo al minimo i danni ai tessuti sani. Nei casi più avanzati, quando la massa è troppo grande o non risponde alle terapie conservative, si ricorre all’enucleazione, ovvero alla rimozione chirurgica del bulbo oculare, seguita dall’inserimento di una protesi.

“Fino a poco tempo, fa molti pazienti non avevano alternative all’enucleazione. Oggi invece, grazie ai nuovi farmaci e agli studi clinici in corso, possiamo offrire trattamenti più conservativi. È un cambiamento epocale”, sottolinea Rossi.

Se il tumore viene trattato localmente ma resta il rischio di diffusione, entrano in gioco le terapie sistemiche. Una delle novità più importanti è il tebentafusp, un’immunoterapia mirata indicata per i pazienti portatori della variante genetica HLA-A*02:01.

Tra le combinazioni allo studio, l’accoppiata di farmaci darovasertib, un inibitore della proteina PKC, e crizotinib, già utilizzato in altri tumori per bloccare la proteina MET, sta mostrando risultati preliminari incoraggianti.

LA SVOLTA DEI NUOVI TRIAL CLINICI

Il vero cambio di passo arriva dalla recente ricerca. Il Policlinico Gemelli è al centro di studi internazionali che stanno testando terapie innovative sia prima dell’intervento, con strategie neoadiuvanti in grado di ridurre la massa tumorale e consentire approcci più conservativi, sia dopo il trattamento locale, con protocolli adiuvanti pensati per abbassare il rischio di recidiva e metastasi.

È importante dire alle persone che queste opzioni esistono concretamente in Italia. Abbiamo già partecipato a studi clinici internazionali con risultati incoraggianti, e nei prossimi mesi sarà possibile per molti pazienti accedere a nuove sperimentazioni direttamente nel nostro paese. Sapere che questa opportunità esiste nel nostro Paese è una svolta storica”, commenta Rossi. Uno degli errori più comuni è trattare il melanoma uveale come se fosse un melanoma cutaneo. “Bisogna rivolgersi subito a un centro specializzato, dove ci sono équipe multidisciplinari e accesso ai trial clinici. Purtroppo chi inizia percorsi terapeutici generici rischia poi di non poter più entrare negli studi, e questo significa perdere opportunità concrete”. 

Al Gemelli, così come in altri centri italiani di riferimento, arrivano pazienti da tutta Italia. Molti studi clinici, inoltre, prevedono forme di rimborso per le spese di trasferta, agevolando l’accesso anche a chi viene da fuori regione.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Cristina Da Rold)