Nei negozi e nei mercati spuntano di nuovo le pellicce, anche a prezzi stracciati, ma c’è davvero ancora chi ha il coraggio di indossare cadaveri di animali ingabbiati, torturati e uccisi solo per vanità?
Se ai tempi delle caverne poteva avere un senso indossare una pelliccia, oggigiorno è solo un capriccio di cui si può fare certamente a meno, soprattutto una volta che si è a conoscenza del prezzo pagato da milioni e milioni di animali, uccisi tra atroci e impensabili agonie.
Il prezzo pagato dagli animali
La breve vita degli animali sfruttati per la loro pelliccia è vissuta in allevamenti intensivi che si compongono di lunghe file di minuscole gabbie metalliche spoglie dove gli animali, spesso in sovrannumero, restano confinati senza mai uscirne.
Animali che patiscono una sofferenza tale da provocarsi gravi ferite, auto mutilarsi, e addirittura giungere ad attività di cannibalismo.
Oltre al tormento fisico e psicologico causato dal confinamento in piccole gabbie vuote per tutta la loro vita, i metodi comunemente usati per uccidere gli animali allevati per le loro pellicce sono agghiaccianti. Le volpi vengono tipicamente uccise tramite elettrocuzione anale, mentre i visoni vengono uccisi nelle camere a gas.
Solo nel 2024, nell’Unione europea sono stati uccisi per la loro pelliccia 6,3 milioni di animali.
Un’industria in perdita
Ma come rivela un nuovo Report all’Europarlamento presentato lo scorso 15 ottobre da Griffin Carpenter con il supporto di Eurogroup for Animals, Fur Free Alliance, Four Paws e Humane World for Animals “A full-cost account of the EU fur industry” (Un resoconto completo dei costi dell’industria delle pellicce nell’UE). l’industria della pelliccia non è solo fuori moda, ma anche un settore obsoleto e in netta crisi economica.
Con costi superiori ai ricavi e perdite di fatturato che gravano milioni di euro sui cittadini, è un’industria che non solo pesa sull’economia UE, ma è per di più beneficiaria di fondi pubblici e rappresenta meno dello 0,003% dei posti di lavoro nell’UE, una cifra paragonabile a settori ormai superati come il noleggio di videocassette VHS.
Nell’arco di un decennio si prevede un calo del 73% degli allevamenti di animali da pelliccia nell’UE e una previsione di ulteriore diminuzione della produzione del 15-20% entro il 2028.
Impatto sulla salute umana
Si tratta, inoltre, di un settore di produzione che non solo non tiene minimamente conto del benessere animale, ma neanche del benessere dell’uomo. Gli allevamenti di animali per la produzione di pelliccia rappresentano un serio pericolo per la salute pubblica, perché costituiscono serbatoi ad alto rischio per la diffusione di zoonosi, come è stato chiaramente dimostrato durante la pandemia di COVID-19. Centinaia di allevamenti di visoni sono stati colpiti da focolai di coronavirus e si è scoperto che nuove varianti del virus SARS-CoV-2 erano state trasmesse agli esseri umani dagli animali.
Inoltre, le forti emissioni dell’industria sono collegate alla diffusione di malattie respiratorie croniche e morti premature in tutta Europa. La concia e la lavorazione delle pellicce, infatti, comporta l’utilizzo di sostanze chimiche tossiche che causano un grave inquinamento del suolo, classificando questa industria tra le cinque con la più alta intensità di inquinamento.
Impatto ambientale
Per non parlare dell’impatto ambientale, stimato dal report in 226 milioni di euro all’anno in danni come quelli causati dall’inquinamento, dallo sfruttamento delle risorse o dalle specie aliene invasive, come nel caso del visone americano. A seguito della fuga di alcuni esemplari dagli allevamenti, oggi è ampiamente diffuso in tutta Europa, e ha impattato negativamente sulla fauna selvatica autoctona europea.
L’Italia ha chiuso l’ultimo allevamento nel 2022, con una legge nazionale che vieta l’allevamento di visoni, volpi, cincillà e cani procioni per la produzione di pellicce.
Nella UE sono 23 Stati membri che hanno introdotto divieti totali o parziali dell’allevamento di animali da pelliccia, e la buona notizia è che nei giorni scorsi si si è aggiunta la Polonia, il quarto maggiore esportatore di pellicce al mondo, approvando una legge che vieta l’allevamento di animali di pelliccia a fini commerciali.
Una forma di allevamento inaccettabile
Il report presentato pochi giorni fa al Parlamento europeo cita anche il parere scientifico dell’EFSA, Autorità europea per la sicurezza alimentare, che chiarisce che “nessun sistema di allevamento attualmente esistente può garantire il benessere delle specie allevate per la pelliccia”.
I visoni, le volpi, i cincillà e i cani-procioni sono animali riconosciuti come senzienti e soffrono per confinamento, isolamento, privazione comportamentale e stress cronico. Non esistono, secondo EFSA, miglioramenti possibili in grado di rendere accettabile questa forma di allevamento.
A fronte di dati e bilanci nettamente a sfavore di un’industria eticamente inaccettabile, altamente impattante e in crisi economica, è ora che la Commissione Europea fornisca una risposta sul divieto di allevamento, di importazione e commercio di pellicce animali entro marzo 2026, rispondendo alla volontà di 1,5 milioni di cittadini europei che hanno sostenuto l’iniziativa Fur Free Europe“