Prof. Andrés Ferreri: “Grazie a un insieme ben strutturato di procedure è possibile definire con precisione l’estensione del tumore e stabilire un approccio terapeutico personalizzato”
Tra le fasi della diagnosi e del trattamento di un tumore come il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), esiste un preciso momento che il paziente può non conoscere, ma che per l’oncologo è fondamentale: la stadiazione (in inglese “staging”). Questo termine racchiude un insieme di pratiche basilari per ‘conoscere’ meglio il tumore e, di conseguenza, impostare la terapia più adatta a limitarne le conseguenze. La stadiazione è dunque il punto di partenza del percorso terapeutico, che per tumori come il DLBCL si è arricchito, negli ultimi anni, di diverse opzioni di trattamento efficaci.
“Quando parliamo di stadiazione intendiamo una sequenza di procedure biochimiche, cliniche e strumentali che si mettono in pratica per definire l’estensione di ogni tumore, sia solido che ematologico”, afferma il prof. Andrés J. M. Ferreri, Direttore del Programma Strategico Linfomi presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano ed ex Presidente della Fondazione Italiana Linfomi (FIL). “Attraverso il risultato di indagini di laboratorio, radiologiche e di medicina nucleare si può capire quanto il tumore sia diffuso nell’organismo, definendo il coinvolgimento dei vari organi e, alla fine, scegliendo la terapia più adatta ad affrontarlo”.
Nel caso dei tumori solidi - come quello al pancreas o al colon-retto - la stadiazione serve a stabilire la possibilità di asportazione chirurgica della lesione cancerosa, prelevando il maggior quantitativo possibile di cellule tumorali. Invece, nel caso delle leucemie o dei linfomi la stadiazione è un importantissimo parametro correlato alla prognosi di malattia, con indici appositi usati per stilare un punteggio di aggressività del tumore e calibrare così l’intensità del trattamento.
“Per quel che riguarda il linfoma diffuso a grandi cellule B, la stadiazione si basa sul sistema di Ann Arbor/Costwolds, dal nome della cittadina statunitense dove è stato messo a punto parecchi anni fa”, precisa Ferreri. “Negli anni il sistema è stato soggetto a varie revisioni e oggi prevede quattro stadi di malattia. Al primo stadio si ha il coinvolgimento di un singolo linfonodo o di un organo, al secondo sono interessate due o più sedi linfonodali dallo stesso lato del diaframma e al terzo sedi multiple su entrambi i lati del diaframma, mentre al quarto stadio, il più grave, la malattia presenta un’estensione multifocale o bilaterale di organi extranodali [organi che non fanno del sistema linfatico, N.d.R.], oppure il coinvolgimento del fegato o del midollo osseo”.
La stadiazione del DLBCL si basa su alcuni esami fondamentali: le analisi del sangue (emocromo, funzionalità epatica e renale), che permettono di sospettare il coinvolgimento tumorale del midollo osseo, del fegato e, più raramente, dei reni; la tomografia assiale computerizzata (TAC) con mezzo di contrasto; la tomografia a emissione di positroni (PET); la biopsia e l’aspirato del midollo osseo. Tuttavia, ci sono situazioni particolari che richiedono altri esami ad hoc, dato che il DLBCL può potenzialmente colpire ogni organo. Bisogna quindi approcciarsi alla fase di stadiazione ascoltando il malato e cercando di identificare i segni clinici che possono suggerire il coinvolgimento di determinati organi: se un paziente, per esempio, riferisce un dolore addominale o episodi di vomito postprandiale potrebbe essere necessario eseguire una gastroscopia per studiare lo stato dello stomaco, anche in caso di PET negativa. Ugualmente, nel caso in cui un paziente riferisca vuoti di memoria o difficoltà a ricordare i nomi delle cose o delle persone è raccomandata una risonanza magnetica con contrasto per cercare localizzazioni cerebrali di malattia. “Una volta messi insieme i risultati di tutti gli esami si comprendono con precisione la localizzazione e l’estensione della malattia”, prosegue Ferreri. “In aggiunta a ciò, il sistema di Ann Arbor attribuisce un valore anche ai sintomi sistemici del linfoma, che comprendono sudorazione notturna, febbre e calo del peso ponderale”.
Ulteriore aspetto considerato dal sistema di stazione del DLBCL è la dimensione delle masse tumorali, tanto che si parla di malattia “bulky” nel caso di una lesione che abbia un diametro superiore a 10 cm o quando, nel caso di masse del mediastino, la lesione occupi oltre un terzo del diametro della cavità toracica. “Le masse “bulky” celano più frequentemente cloni di malattia resistenti alle cure farmacologiche e radioterapiche o alle terapie cellulari più moderne”, spiega l’esperto. Esistono, infatti, forme di linfoma diffuso a grandi cellule B resistenti alla chemioterapia che a livello prognostico lasciano poco margine di speranza: tuttavia, lo scorso anno, su The Lancet Oncology è stato pubblicato un articolo in cui si osservava come la combinazione di farmaci in grado di suscitare una risposta immunitaria (atezolizumab) con altre molecole (venetoclax, un farmaco antitumorale, e obinutuzumab, un anticorpo monoclonale) producesse incoraggianti tassi di risposta tra i pazienti, con un buon livello di sicurezza. Interessanti novità si stanno profilando sul percorso di cura del DLBCL (anticorpi bispecifici o farmaco-coniugati, persino le CAR-T), ma per stabilire, di volta in volta, quali terapie utilizzare bisogna aver svolto bene, alla base, il processo di stadiazione.
“Un aspetto particolarmente importante del sistema stadiativo di Ann Arbor è il coinvolgimento degli organi extranodali, o in modo particolare del midollo osseo”, chiarisce Ferreri. “Si tratta di un punto focale, perché fornisce indicazioni utili sul comportamento della malattia. Ad esempio, nel caso del linfoma del rene è nota la probabilità di disseminazione al sistema nervoso centrale, perciò occorre approfondire la situazione con esami che, come detto, normalmente non si farebbero nell’ordinario percorso previsto per il DLBCL, ma che a volte sono necessari per escludere localizzazioni in specifici organi”.
È infine cruciale che nel processo di stadiazione dei linfomi (ma non solo) siano coinvolte figure mediche differenti. “Dall’onco-ematologo all’anatomopatologo, senza trascurare il radiologo o il medico di medicina nucleare, servono professionisti in grado di portare il proprio personale contributo alla discussione multidisciplinare”, conclude Ferreri, rimarcando il carattere plurale di questo importante passaggio medico.
La stadiazione, quindi, corrisponde a una valutazione altamente personalizzata del DLBCL, che permette al medico di stabilire una prognosi e avviare il paziente alla miglior sequenza di trattamenti. E considerando l’ampia differenza di evoluzione di un tumore da individuo a individuo, la scelta di un cammino di cura mirato è il prerequisito imprescindibile per raggiungere più alte possibilità di guarigione.