di Aldo Bonomi  Microcosmi – Il Sole 24 Ore 

In un recente microcosmo ho consigliato a Milano di alzare lo sguardo nel suo essere metromontagna ospitando le Olimpiadi della neve. Se invece si abbassa lo sguardo verso la tumultuosa composizione sociale si capisce la metamorfosi interrotta nel suo essere città senza coesione. A me appaiono tante città che non stanno in una. La prima è la città verticale di cui è protagonista la neoborghesia dei flussi, cresciuta nel post-expo e trainata da tre macro-economie: la finanza, dai big players con tanto di risiko bancario vedi Mediobanca, l’industria dell’abitare con l’atterraggio a Milano dopo il 2008 dei grandi sviluppatori immobiliari globali, l’industria urbana delle infrastrutture e delle reti, dalla metamorfosi delle multiutilty che si fanno Spa alle “fabbriche” dell’alta formazione, fino a parchi scientifici, nodi dei big data e reti distributive delle grandi piattaforme che veicolano i flussi logistici del consumo metropolitano. Nella città verticale, innervata da 1.200 sedi di multinazionali, l’8% detiene il 40% della ricchezza e con gli affitti cresciuti del 42% in 10 anni. La seconda città coincide con il parco a tema della vetrinizzazione dello shopping globale, del design, di eventi e cultura che sostengono la città-spettacolo: 40mila imprese della creatività e 233mila addetti, un’industria fieristica e dei grandi eventi che genera 1,2 milioni di presenze turistiche.
Una città il cui motore algoritmico batte il ritmo di lavoro per oltre mezzo milione di lavoratori della conoscenza, tra “tecnici” e partite Iva di terza generazione, per una parte dei quali vale ancora la vita agra (Bianciardi) narrata più di mezzo secolo fa. Contigua è la città della turistizzazione globale con oltre 10 milioni di presenze, affitti a breve, ma anche cultura, eventi, business, moda e shopping, con una polarizzazione del commercio tra brand e capitali sui grandi assi commerciali e commercio tradizionale che arretra fuori dalle aree degli eventi e della movida. Serrande abbassate da un lato, e baristi camerieri e rider che arrancano dall’altra. La quarta città è la Milano del flusso migratorio, composta da oltre 260mila dentro le mura e mezzo milione nella cintura, 40mila studenti di origine straniera, il 70% nati in Italia. Una moltitudine, specchio funzionale della città verticale, insediata nelle semiperiferie tra città e area metropolitana, occupata al 40% in professioni dequalificate, stipata nel gradino più basso di lavori, reddito e possibilità. Una fiumana di braccia e desideri ad alimentare la fabbrica urbana. La quinta Milano è l’infrastruttura dell’industria urbana della conoscenza con università, accademie, centri di ricerca, parchi scientifici e startup. La cintura industriale del ‘900 a rischio di farsi cintura della ruggine si è sostituita con le fabbriche dei saperi, da Mind all’Università Bicocca, dalla Bocconi allo Iulm al Politecnico, potenti macchine di rigenerazione urbana ma in difficoltà nel produrre abitare accessibile per 200mila studenti e per i lavoratori della conoscenza e quadri tecnici necessari alle neofabbriche. La sesta città è la pedemontana del capitalismo intermedio in metamorfosi, intessuta di 45mila imprese e 32 miliardi di fatturato industriale, e verso sud verso nodi logistici e data center che spuntano come funghi. Sul confine del margine metropolitano di nome ma non di fatto commuta con Milano flussi di lavoro, produzione, investimenti reciproci e servizi, mobilità anche residenziale. Così come avviene con la settima, la città larga dell’urbano-regionale, con città medie e città-snodo da Monza a Como, Lecco, Varese, Bergamo, Brescia, Lodi…la cui traiettoria sembra incorporare sempre più tendenze e faglie sociali della metropoli. Milano è città piattaforma capace di attrarre flussi ma che non riesce a tessere una piattaforma sociale in divenire.
Occorre ritessere giunture dell’ultimo miglio della città in divenire guardando all’ultimo metro dei tanti messi al lavoro. Per fare soglia delle faglie in allargamento, l’abitare sempre più difficile, il lavoro povero, la fatica del welfare e dell’emergenza educativa, di fasce giovanili etichettate (“maranza”) con pluridentità che non mangiano futuro. Per dirla con Calvino delle Città invisibili (Marozia-Milano), i flussi del competere sorvolano e attraversano la “città delle rondini” che promette opportunità, sorvolando suadenti senza cura e raccontano le moltitudini che stanno in basso. Oggi la competizione rischia di mangiarsi la coesione nell’assenza di un neomunicipalismo delle economie riproduttive, che riduca la fatica del vivere, abitare e lavorare a Milano.

bonomi@aaster.it