Home » Articoli » Lavoratori » “Pellegrini di speranza”, nella Diocesi di Nardò-Gallipoli la Settimana Sociale diocesana
Due serate tra relazioni, giustizia e profezia: la speranza come cammino concreto di umanità. Presente anche mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo emerito di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia.
“Pellegrini di speranza”, la settimana Sociale nella diocesi di Nardò-Gallipoli. Dialogo tra Chiesa e società civile per connettere Speranza e relazioni umane.
Come ogni anno, il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica (MLAC) della diocesi di Nardò-Gallipoli ha collaborato con l’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro per l’organizzazione della Settimana Sociale diocesana, tenutasi quest’anno presso la Sala Consiliare del Comune di Parabita (LE) il 27 e 28 ottobre 2025. Il luogo e il titolo scelto, “Pellegrini di speranza”, hanno orientato due serate di riflessione e dialogo tra Vangelo, società e responsabilità civile, in un tempo segnato da guerre, crisi ambientali e incertezze, ma anche da un desiderio diffuso di pace e rinascita. Il bisogno di fare rete, unire i cammini della società civile e della Chiesa sono da subito stati chiari a tutti i partecipanti. Vivere la Settimana Sociale nella Sala Consigliare comunale infatti è stato un segnale non di poco conto.
Speranza e relazioni umane
Il cuore della prima serata è stato il nesso tra speranza e relazioni umane: non come evasione, ma come forza concreta che prende corpo nei gesti, nella comunicazione che cura, nello sguardo che apre possibilità. In questo orizzonte si è inserito l’intervento dei coniugi Stefano Marra, docente di storia e filosofia presso il Liceo Capece di Maglie e vicepresidente del consultorio familiare “Hydruntum” dell’Arcidiocesi di Otranto e Maria Luce Bianco, esperta in orientamento scolastico e mental coach.
Dopo i saluti istituzionali letti dal consigliere comunale Antonio Nicoletti, in rappresentanza del Sindaco di Parabita dott. Stefano Prete, di don Santino Bove Balestra, parroco della parrocchia San Giovanni Battista di Parabita, di don Francesco Marulli, direttore dell’Ufficio di Pastorale Diocesano e Damiano Scarpa, segretario diocesano del MLAC. Moderati da Fabiana Ungaro, i due relatori ci hanno aperto ad una visione ampia sul tema della speranza.
Il loro contributo è stato capace di intrecciare filosofia, teologia e quotidiano, mostrando come la speranza cristiana debba essere gesto concreto che costruisce legami e responsabilità condivise. Questo il sunto delle loro relazioni:
L’etimologia di “speranza” permette di distinguerla dal desiderio come attesa di qualcosa di irraggiungibile e la configura come qualcosa di forte e concreto. La speranza cristiana, in particolare, è connessa con la ricerca del senso (cfr. Benedetto XVI, Spe salvi, 1-2), che c’è e va riscoperto, e il messaggio del Vangelo è sempre stato «performativo» perché «chi ha speranza vive diversamente» (Ibidem). Soprattutto dinanzi alle difficoltà di ogni tipo che oggigiorno sono presenti, come la congiuntura internazionale, gli scenari di guerra e le prospettive di controllo transumanista, la speranza cristiana è determinante perché la speranza cristiana è la certezza che anche il male maggiore, la morte, è stato vinto; conseguentemente, anche gli altri possono essere affrontati. Risulta necessario incarnarla a livello personale e interpersonale. Le filosofie di Hegel e del personalismo hanno chiarito che la persona è un essere in relazione; già nella filosofia tardo- antica e medievale si coglieva che la persona umana è una sostanza individuale razionale ma anche aperta alla relazione (cfr. S. Tommaso d’Aquino e il concetto della Trinità, in cui le Persone coincidono con le relazioni). Da qui l’importanza di vivere con speranza, cioè senza pretese e senza atteggiamenti rinunciatari, i rapporti umani, agendo in maniera pratica per la promozione degli altri, come quando, a scuola, piccoli gesti e semplici ma autentiche parole possono infondere fiducia in uno studente e creare un clima positivo in classe.
La speranza interroga, provoca le persone, perché non è un rinvio, ma un cammino perseguibile per l’ottenimento di un bene esistente (cfr. Francesco). Condizione essenziale, però, per vivere la speranza nelle relazioni, è mettere da parte il giudizio nei confronti dell’altro. Ciò non significa lassismo, perché gli errori vanno ammessi, ma le persone non possono essere etichettate con sentenze che non ripongano più fiducia in loro. Al contrario, la comunicazione con l’altro richiede uno sguardo profondo, un ascolto attivo, un prendersi cura, altrimenti può chiudere i rapporti e ferire. Infatti, le parole hanno un enorme potere, ma il modo con cui vengono trasmesse ne ha molto di più: concretizzare la speranza a livello interpersonale richiede pertanto una particolare attenzione all’intonazione della voce, all’inflessione stessa del tono, persino al controllo del volume, ma anche allo stabilimento di un contatto visivo significativo, all’uso di movimenti intenzionali, al controllo delle espressioni, oltre al contenuto di ciò che si dice. La speranza ci chiede un impegno continuo e volontario, oggi più che mai, perché per incontrare l’altro c’è bisogno di spostarsi da sé e andare verso… con empatia e attenzione.
Speranza, Giustizia e Pace
La seconda serata dal titolo “Speranza, Giustizia e Pace” ha avuto un focus più centrato sulla Dottrina Sociale della Chiesa e sulla collaborazione viva, reale e profonda che deve esserci tra la Chiesa e le decisioni critiche e profonde che avvengono intorno a noi.
I saluti di S.E. Mons. Fernando Filograna, vescovo di Nardò-Gallipoli, di don Salvatore Leopizzi, responsabile diocesano del Movimento Pax Christi, e di don Francesco Marulli in qualità di moderatore della serata, hanno introdotto S.E. Mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo emerito di Altamura-Gravina- Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia, salutato con gioia da tanti sacerdoti presenti nella sala consiliare in quanto ex rettore del seminario di Molfetta.
Con il suo stile diretto e appassionato, mons. Ricchiuti ha riportato la riflessione sul terreno concreto della storia, ricordando che la Chiesa tutta non può restare in silenzio o dormiente davanti alle guerre e alle ingiustizie che attraversano il mondo. Da autentico discepolo di don Tonino Bello, ha ribadito che per il cristiano non si tratta tanto di “stare da una parte o dall’altra”, di prendere le difese dell’una o dell’altra parte ma di stare sempre dalla parte della Giustizia e dei poveri, come richiesto dall’insegnamento evangelico. Facendo riferimento al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, ha richiamato la necessità di costruire la pace attraverso la giustizia, ribadendo che “la radice della pace è la giustizia” e che senza giustizia non ci potrà mai essere pace ricordando anche il celebre discorso di Papa Paolo VI all’ONU (1965), in cui il Pontefice pronunciò l’appello «Jamais plus la guerre!», “mai più la guerra”, come mandato profetico per tutta la Chiesa.
Mons. Ricchiuti ha, inoltre, sottolineato che con il Battesimo ogni cristiano riceve il dono della profezia, non della diplomazia: i profeti – ha detto – non hanno salvacondotti, ma parole che costano e gesti che rischiano. Citandone l’attualità, ha ricordato il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune (Abu Dhabi, 2019), firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb, nel quale si afferma con chiarezza che “la religione non deve mai essere usata per giustificare la guerra”.
“Non si può dire,” ha ribadito mettendoci di fronte alla realtà quotidiana del momento, “che Dio abbia dato una terra ad un popolo per giustificare la violenza o la distruzione dell’altro”. Il suo intervento, schietto e profetico, ha toccato davvero le coscienze dei presenti, invitando ciascuno a vivere la fede non come rifugio ma come responsabilità.
In conclusione, le due serate ci hanno restituito la forza di una speranza incarnata, che non teme la realtà ma la attraversa con fiducia e impegno. Come MLAC diocesano e come Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro, abbiamo riconosciuto che la speranza è la forma più concreta della carità: è relazione, giustizia, parola che costruisce pace. Abbiamo lasciato Parabita con la convinzione che la speranza non è un sentimento, ma una direzione: un cammino da percorrere insieme, come veri pellegrini di speranza.