La sentenza del Tribunale di Castrovillari 22 settembre 2025, n. 1531 sulla scorta dell’orientamento ormai da tempo prevalente della giurisprudenza anche di legittimità, conferma l’inammissibilità, nell’ambito dei giudizi di separazione, divorzio o modifica delle relative condizioni, delle domande non strettamente connesse alle questioni famigliari. Tale orientamento, peraltro, risulta di fatto confermato anche dal recente decreto correttivo della riforma Cartabia in tema di risarcimento dei danni endofamiliari.

Secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione l’art. 40 c.p.c. consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione (36 c.p.c.), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente e caratterizzate da riti diversi: conseguentemente, è esclusa la possibilità del “simultaneus processus” tra l’azione di separazione o di divorzio, e relative modifiche, e quelle aventi ad oggetto, tra l’altro, lo scioglimento della comunione coniugale, la divisione o la restituzione dei beni, il rimborso di somme anticipate o il risarcimento del danno, essendo queste ultime soggette al rito ordinario, autonome e distinte dalla prima (cfr.

La giurisprudenza di merito si è quindi conformata a questo principio, e in particolare recentemente è stato osservato che la trattazione – unitamente alla domanda di separazione o di divorzio o di modifica delle relative condizioni – di domande che richiedono un’istruttoria specifica e talora prolungata, «risulta in contrasto con l’interesse – che non può ritenersi di natura esclusivamente privatistica – alla celere definizione non solo della questione inerente la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, ma anche delle delicate questioni relative all’affidamento, collocazione abitativa e mantenimento dei figli minori ed all’assegno per il coniuge, e dunque alla formazione del giudicato su tali questioni che, sia pure di natura atipica (c.d. “rebus sic stantibus” ), tuttavia costituisce un punto fermo rispetto al quale sono allegabili soltanto le modifiche dello stato di fatto e i giustificati motivi che costituiscono il presupposto dei procedimenti disciplinati dall’art. 473-bis.29» (Tribunale Potenza, 5 marzo 2024, n. 388).

La sentenza del Tribunale di Castrovillari di una separazione consensuale, che prevedeva – tra l’altro – l’impegno dei coniugi di trasferire la proprietà di un immobile in favore della figlia minore, la moglie ha adito il Tribunale per richiedere il divorzio e – tra l’altro – il trasferimento in favore della figlia del predetto immobile (e ciò probabilmente in ragione del rifiuto opposto dal marito).

Il Tribunale stesso ha quindi dichiarato inammissibile la domanda di trasferimento, innanzitutto richiamando la giurisprudenza sopra ricordata e precisando che in sede di divorzio (così come di separazione o di modifica) «è possibile adottare provvedimenti sulla casa coniugale soltanto ai sensi dell’art. 337-sexies c.c., mentre ogni questione relativa alla proprietà o al trasferimento di essa e ad eventuali diritti reali, quale quello di abitazione invocato dalla ricorrente, esula dal presente giudizio».

La sentenza del Tribunale di Castrovillari si pone in linea con la giurisprudenza di legittimità, e in questo senso non può essere criticata. Tuttavia, come sopra accennato, talvolta le questioni non strettamente famigliari costituiscono nei fatti il vero punto di conflitto, sicché sarebbe opportuna una riflessione per comprendere se davvero queste non possano avere alcun diritto di cittadinanza nel processo famigliare, nel cui ambito potrebbero essere affrontate con la giusta sensibilità e con un’ampia visione, per offrire una più efficace tutela alle parti deboli, anche nell’ottica di una possibile e virtuosa economica processuale.

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