Lipodistrofia: il ruolo della genetica è essenziale, sia per la diagnosi che per il follow-up

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Dr.ssa Caterina Pelosini (Pisa): “Il compito del laboratorio di endocrinologia è quello di contribuire al corretto inquadramento della malattia attraverso analisi mirate”

“La lipodistrofia è una malattia dalle mille sfaccettature”: la descrizione scelta dalla dr.ssa Caterina Pelosini fa ben capire la varietà di forme in cui questa patologia si può manifestare, dalle congenite alle acquisite, dalle generalizzate alle parziali, fino a quelle legate all'invecchiamento precoce. Per questo motivo, da quasi dieci anni, i medici e le associazioni dei pazienti sottolineano l'importanza di cambiare la nomenclatura della lipodistrofia nell'elenco ministeriale.

“Nel marzo di quest'anno, io e il prof. Ferruccio Santini abbiamo partecipato ad un evento in Senato dedicato alle lipodistrofie, durante il quale abbiamo sottolineato l'importanza di intervenire sulla nomenclatura. Finalmente, ad aprile, il termine improprio 'lipodistrofia totale', che di per sé esclude molte forme di malattia, è stato sostituito da 'sindromi lipodistrofiche', nel quale rientrano i diversi sottotipi, eccezion fatta per le lipodistrofie HIV-correlate”, spiega la dr.ssa Pelosini, dirigente biologa della SOD Laboratorio Chimica e Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

L'Ospedale toscano, già dal 2019, si è dotato di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) che disciplina la diagnosi e la gestione multidisciplinare delle lipodistrofie, malattie rare caratterizzate dalla mancanza di tessuto adiposo sottocutaneo. Essendo il tessuto adiposo un organo endocrino, l'endocrinologo è il primo attore, ma è importante poter disporre di altre figure mediche che cooperino affinché il paziente venga seguito nel miglior modo possibile. In questo, la medicina di laboratorio ha un valore cruciale.

Le lipodistrofie possono essere ereditarie o acquisite: se si ipotizza una forma ereditaria, le analisi genetiche diventano fondamentali per confermare il sospetto diagnostico. Spesso, inoltre, i pazienti lipodistrofici vengono curati solo per le comorbidità, come il diabete, l'ipertrigliceridemia e la malattia epatica, perché non si ha il sospetto che queste malattie 'accessorie' siano dovute in realtà proprio alla lipodistrofia. “Il ruolo del laboratorio è essenziale sia per eseguire le indagini genetiche che per i dosaggi ormonali, in particolare di due ormoni che hanno un ruolo rilevante in questa patologia, la leptina e l'adiponectina”, prosegue la dr.ssa Pelosini.

La leptina è importante perché supporta la diagnosi di malattia, ci dà un'idea della quantità di tessuto adiposo presente e ci mette anche nella condizione di monitorare la malattia nel tempo. L'adiponectina, invece, è un ormone che ci è utile soprattutto nella diagnosi differenziale, per discriminare, soprattutto negli stati più avanzati di malattia, le lipodistrofie generalizzate o le forme associate a progeria dalle anoressie o da altre patologie legate a una deprivazione nutrizionale o a un dimagrimento patologico. Infatti, in un recente studio abbiamo paragonato i livelli di adiponectina nei pazienti con forme generalizzate di lipodistrofia, nei pazienti anoressici e in un gruppo di controllo normopeso, e abbiamo visto che nei pazienti con lipodistrofia questo ormone è pari a zero o dosabile al limite della sensibilità del metodo, mentre nei pazienti anoressici ha valori sovrapponibili a quelli che si ritrovano nei controlli normopeso. Questo avviene perché nei pazienti lipodistrofici il tessuto adiposo è assente e non in grado di produrre questo ormone”.

In termini di analisi genetiche, l'approccio del biologo molecolare varia a seconda del fenotipo del paziente: alcune forme di malattia sono abbastanza inconfondibili, come la sindrome di Berardinelli-Seip (lipodistrofia congenita generalizzata) o la sindrome di Dunnigan (lipodistrofia parziale familiare di tipo 2), e in questi casi si può pensare di eseguire l'analisi del singolo gene. Se invece il fenotipo è sfumato, e non corrisponde alle caratteristiche dei sottotipi più conosciuti, si procede con l'utilizzo del sequenziamento di nuova generazione (NGS). “Il mio approccio è studiato a tavolino: utilizzo dei pannelli genetici 'custom', che costruisco e modifico costantemente in base ai dati della letteratura, in modo da condurre un'indagine mirata ai geni responsabili della malattia. Il sequenziamento di nuova generazione dovrà poi essere confermato da un sequenziamento con metodo Sanger, come da linee guida”, sottolinea la biologa.

Una volta identificato il gene alla base della lipodistrofia, la terapia si concentra principalmente su due aspetti: la dieta e il trattamento delle comorbidità. La dieta è fondamentale, perché la malattia è strettamente legata ai livelli di leptina, un ormone anoressizzante che nel paziente lipodistrofico diminuisce o viene meno, come nel caso delle forme generalizzate. Il paziente, quindi, tende ad essere iperfagico: mangia molto di più di quanto dovrebbe, accumula il grasso in sedi ectopiche e di conseguenza sviluppa una malattia metabolica. La terapia delle comorbidità (diabete, ipertrigliceridemia) viene stabilita a livello multidisciplinare e nei casi in cui questa non è sufficiente si punta al ripristino dell'ormone mancante, attraverso l'utilizzo del farmaco metreleptina.

“Il nostro obiettivo come Centro di riferimento per la lipodistrofia è cercare di costruire, a livello del territorio nazionale, una rete che sia il più possibile funzionante e funzionale per il paziente, oltre a sensibilizzare gli specialisti ad inserire i nuovi casi nel registro europeo di malattia, ECLIP (European Consortium of Lipodystrophies)”, conclude la dr.ssa Pelosini. “Questo aiuterà ad avere dati sempre più concreti sulla reale prevalenza della malattia, sia nelle forme genetiche che nelle forme acquisite, su come si differenziano i vari sottotipi e su quali sono le comorbidità più frequenti”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Francesco Fuggetta)