“Sommersi”: comprendere il digitale per comprenderci

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21/11/2025

Enzo Rimedio

Il libro della settimana è Sommersi di Mattia Marangon per Apogeo. La recensione è a cura del socio Enzo Rimedio. 

Mattia Marangon (co-fondatore di Ugolize) ha recentemente pubblicato Sommersi, un volume che offre una lettura del digitale che va oltre l’analisi del comportamento degli utenti: propone una riflessione su come le piattaforme stiano ridefinendo la percezione, la decisione e la costruzione di valore. Per chi lavora nella comunicazione e nel marketing, il testo diventa un invito a considerare il contesto digitale non solo come un canale, ma come un ecosistema cognitivo che condiziona profondamente il modo in cui i contenuti vengono interpretati.

L’autore mostra come l’algoritmo sia più di un semplice filtro: è una vera e propria infrastruttura di attenzione, progettata per massimizzare la permanenza degli utenti. Questo cambia radicalmente la prospettiva di chi si occupa di strategia. Non basta creare contenuti “interessanti”: bisogna comprendere le logiche che regolano ciò che arriva davvero alle persone. L’engagement, spesso celebrato come KPI cruciale, appare qui per ciò che è: una misura distorta che cattura attenzione, ma non necessariamente significato né relazione.

Marangon mette al centro la psicologia cognitiva, sottolineando come i contenuti digitali performino meglio non perché più rilevanti, ma perché si agganciano ai bias che ci accompagnano da sempre. Per chi costruisce campagne, questo implica riconoscere che l’efficacia non dipende solo dalla creatività, ma dalla capacità di leggere l’utente nel suo ambiente percettivo. L’euristica della disponibilità può alterare la percezione del rischio; il bias della negatività può trasformare un commento isolato in una crisi reputazionale; l’effetto Dunning-Kruger può amplificare conversazioni poco qualificate ma molto rumorose. Sono dinamiche che il marketing deve imparare a navigare, non solo a gestire.

Una parte particolarmente utile per i professionisti riguarda la trasformazione dell’indignazione in modello economico. Mattia Marangon mostra come l’ecosistema social premi i contenuti che generano reazioni forti, indipendentemente dal loro valore informativo. Il rage-baiting e il cry-baiting non sono errori del sistema: sono strategie che sfruttano l’architettura dell’algoritmo. Per brand e creator, questo rappresenta una sfida etica e strategica. Cercare visibilità attraverso la polarizzazione può portare risultati immediati, ma erode nel lungo periodo la fidelizzazione, la brand safety e la credibilità.

Ugualmente rilevante è la riflessione sulle relazioni parasociali, sempre più centrali nelle strategie di influencer marketing. L’autore evidenzia un dato spesso sottovalutato: più cresce il senso di vicinanza percepita, più aumenta anche la fragilità emotiva dell’utente. Il marketing deve quindi muoversi con consapevolezza, evitando di trasformare la vulnerabilità in una leva di conversione. La “loneliness economy” non è solo un fenomeno sociale, ma un rischio reputazionale per i brand che la alimentano inconsapevolmente.

Il collasso del contesto – la perdita di sfumature, l’estrazione di clip isolate, la viralità senza radici – ridefinisce il lavoro dei marketer. Ogni messaggio deve essere progettato sapendo che potrà vivere autonomamente, scollegato dal resto, trasformato dall’ecosistema. Con l’AI generativa la sfida si amplifica: in un ambiente dove tutto può essere falso, la fiducia diventa la risorsa più scarsa. La comunicazione non può più limitarsi a costruire storytelling: deve costruire verificabilità.

Mattian Marangon dedica pagine importanti all’attivismo performativo, un tema cruciale per chi opera nel brand purpose. Le piattaforme premiano la visibilità, non la coerenza. Il rischio è che le campagne valoriali finiscano per contribuire alla sovraesposizione simbolica delle cause senza generare impatto reale. Il marketing, per rimanere credibile, deve distinguere tra il contenuto che “funziona” e il contenuto che costruisce valore nel tempo.

Il tema dell’educazione digitale diventa, in questa lettura, una competenza strategica: i professionisti non devono solo comunicare, ma interpretare il comportamento degli utenti tenendo conto di fenomeni come il bias di conferma o l’effetto backfire, che rendono inefficaci approcci troppo razionali o frontali. Le strategie devono integrare la conoscenza delle dinamiche cognitive che governano le reazioni, non solo quelle demografiche.

Molto interessante, per chi si occupa di progettare esperienze di marca, è la lettura della cosiddetta enshittification: il degrado progressivo delle piattaforme man mano che monetizzano ogni interazione. In questo scenario, la qualità torna a essere un vantaggio competitivo. Produrre contenuti che non puntano all’iperstimolo ma alla pertinenza, alla trasparenza e alla relazione autentica diventa un atto distintivo, quasi controcorrente.

Il libro si chiude con una riflessione che risuona fortemente nel marketing contemporaneo: la consapevolezza è la vera forma di resistenza. Se ogni like è un voto, ogni condivisione un endorsement e ogni secondo di attenzione un trasferimento di potere, allora anche la strategia di comunicazione deve evolvere. Non si tratta più solo di raggiungere l’utente, ma di accompagnarlo a riconoscere il proprio ruolo nell’ecosistema digitale.

L’autore ci ricorda che gli algoritmi non sono entità autonome: sono specchi dei comportamenti collettivi. Il marketing, più di ogni altro settore, ha la capacità di orientare questi comportamenti. Non si tratta di opporsi al sistema, ma di usarlo con lucidità e responsabilità, costruendo contenuti che non alimentino l’ipnosi del feed, ma aiutino le persone a riemergere, almeno un po', dal rumore.

In un mondo dove la superficialità è la norma, la scelta di progettare comunicazione con profondità, cura e consapevolezza non è solo un gesto etico: è una strategia di posizionamento. E forse la più efficace per il futuro.

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