Gravidanza e screening neonatale: uno studio italiano apre nuove prospettive per la medicina preventiva

Compatibilità
Salva(0)
Condividi

La carenza di vitamina B12 come indicatore sentinella: nuove evidenze per ripensare i percorsi nutrizionali prima e durante la gestazione

La gravidanza è un periodo cruciale per la salute della madre e del neonato, e rappresenta una finestra privilegiata per interventi di prevenzione e sorveglianza clinica. Uno studio pubblicato su Frontiers in Nutrition - frutto del lavoro congiunto di un ampio gruppo di ricercatori italiani - ha analizzato retrospettivamente oltre 100 gravidanze fisiologiche, raccogliendo dati clinici, nutrizionali e metabolici sia materni che neonatali.

L’obiettivo dello studio è duplice: da un lato, descrivere in modo sistematico le caratteristiche delle coppie madre-bambino identificate per carenza materna di deficit di vitamina B12 grazie allo Screening Neonatale Esteso (SNE), in un contesto italiano; dall’altro, valutare il potenziale impatto di questi dati sulla medicina preventiva, in ambito pre-concezionale e concezionale. Un focus specifico è stato dedicato al ruolo dello Screening Neonatale Esteso, che potrebbe rappresentare uno strumento efficace per la presa in carico della coppia madre-bambino e per intervenire all’interno di una finestra di opportunità terapeutica.

Abbiamo intervistato due delle autrici dello studio, la prof.ssa Elvira Verduci, professore ordinario di Pediatria presso il Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano e la dr.ssa Martina Tosi, dietista e dottoranda di ricerca in Scienze della Nutrizione presso l’Università degli Studi di Milano, per ripercorrere i passaggi principali della ricerca e approfondire le implicazioni cliniche e di sanità pubblica che ne derivano.

Prof.ssa Verduci, quali sono le motivazioni che hanno portato alla realizzazione di questo studio e quale vuoto conoscitivo intendeva colmare?

Lo studio è nato per descrivere al meglio i deficit nutrizionali di vitamina B12 della diade mamma-neonato individuati tramite SNE, poiché i pochi studi già pubblicati non includevano dati metabolici e nutrizionali della mamma e del bambino, raccolti prima e dopo l’intervento terapeutico con somministrazione di vitamina B12 intramuscolo. Inoltre, abbiamo considerato che, ad oggi, nel territorio italiano vivono molte persone che seguono diete vegetariane o vegane, sia per motivi etici, personali o religiosi, ma a livello ospedaliero non esistono percorsi personalizzati per la presa in carico nutrizionale di donne con queste abitudini alimentari durante la gravidanza, esponendole quindi a un maggior rischio di carenze nutrizionali che può avere conseguenze importanti sulla salute della mamma e del bambino.

Il lavoro pubblicato ha analizzato 107 coppie madre-bambino identificate da circa 200.000 neonati sottoposti a SNE in Regione Lombardia: quali criteri avete utilizzato per selezionare i dati e quali variabili sono state considerate centrali?

I dati sono stati selezionati a partire dai neonati nati in Regione Lombardia dal 2021 che, allo SNE, presentavano un lieve aumento di acido metilmalonico e omocisteina, valori non compatibili con malattie metaboliche ereditarie (acidemie organiche) ma indicativi di un possibile deficit di vitamina B12 di origine materna. In questi pazienti è stato quindi valutato lo stato della vitamina B12 sia nella madre che nel neonato, identificando le coppie con reale carenza, che sono state inviate poi all’Ambulatorio di Malattie Metaboliche dell’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi. Il lavoro pubblicato su Frontiers in Nutrition includeva 107 coppie madre-bambino, ma l’analisi è stata successivamente estesa e, a settembre 2025, comprende già oltre 130 coppie.

Guardando al futuro, quali sviluppi potrebbero derivare da questo lavoro? Sono previsti follow-up o applicazioni in ambito clinico o formativo?

In futuro, i possibili sviluppi derivanti da questo lavoro sono molteplici e di grande rilevanza sia dal punto di vista clinico che di salute pubblica. In primo luogo, è auspicabile prevedere una collaborazione più stretta tra ginecologia e nutrizione, favorendo percorsi di presa in carico multidisciplinari in cui ostetriche, ginecologi e nutrizionisti collaborino attivamente, fin da prima del concepimento, con programmi di educazione alimentare e interventi personalizzati. In ambito clinico, ciò potrebbe tradursi in protocolli standardizzati per la valutazione nutrizionale in ambito ginecologico. Sul piano formativo, è necessario aumentare la consapevolezza del personale sanitario sul ruolo della nutrizione in questa epoca di vita. A livello socioeconomico e politico, andrebbe garantito un migliorare accesso a una nutrizione adeguata e a supplementazioni con vitamine/minerali personalizzate, soprattutto nelle fasce più vulnerabili della popolazione.

Dottoressa Tosi, dai risultati emergono importanti dati in merito al ruolo dei pattern dietetici in gravidanza. Quali sono gli elementi più significativi emersi?

Dai risultati dello studio emergono dati significativi riguardo al ruolo dei pattern dietetici durante la gravidanza. Circa la metà delle nostre pazienti era di origine asiatica, e la maggior parte delle donne seguiva diete latto-vegetariane per motivi religiosi e culturali; tra queste, pochissime hanno assunto integratori di vitamine o minerali durante la gravidanza. È stato inoltre osservato che un’insufficiente assunzione di micronutrienti, quali vitamine e minerali, non riguardava esclusivamente le donne che seguivano diete vegetariane o vegane, ma era diffusa anche tra quelle con alimentazione onnivora, ovvero coloro che consumavano anche carne, pesce, uova e latte/latticini. In questi casi, pur consumando tutte le principali fonti di origine animale, le porzioni e le frequenze di consumo risultavano spesso inferiori rispetto a quelle raccomandate, comportando quindi un rischio significativo di deficit nutrizionali.

In che modo questi dati possono contribuire a migliorare la presa in carico delle donne in gravidanza e a orientare percorsi clinici più personalizzati?

Questi dati evidenziano l’importanza di un approccio più personalizzato alla nutrizione in gravidanza, prevedendo integrazioni mirate in base al trimestre di gestazione e al tipo di dieta seguita. In particolare, molti multivitaminici in commercio non contengono quantità sufficienti di vitamina B12 per chi segue un’alimentazione vegetariana o vegana, rendendo fondamentale un’attenta valutazione dei fabbisogni individuali. È quindi utile rafforzare la collaborazione tra il team ostetrico-ginecologico e gli specialisti della nutrizione, al fine di garantire una presa in carico completa, indipendentemente dalla scelta vegetariana o vegana. Tale approccio dovrebbe iniziare già prima del concepimento, con una valutazione dietetica mirata, e prevedere controlli periodici e ripetuti in ciascun trimestre di gravidanza, per adattare eventuali supplementazioni e interventi nutrizionali alle esigenze mutevoli della gestazione.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Alessandra Babetto)