Prof. Francesco Rodeghiero (Vicenza): “La terapia per la patologia va personalizzata caso per caso e pianificata sotto stretto controllo di un ematologo esperto”
Un uomo di circa 70 anni si presenta in un laboratorio analisi per degli esami di controllo prima di affrontare le vacanze; non ha sintomi particolari ma i risultati dell’emocromo suggeriscono un immediato approfondimento: infatti, il conteggio delle piastrine è di circa 15mila unità per microlitro di sangue, un valore considerato critico. È un possibile caso di trombocitopenia immune (ITP), una malattia rara, anche se meno di quanto si pensi (circa 10 casi ogni 100mila persone), in grado di provocare una distruzione delle piastrine mediata dalla presenza di autoanticorpi diretti contro di esse. La diagnosi non è particolarmente complessa ma il trattamento prevede l’impiego di più categorie di farmaci, da utilizzare con moderazione e secondo un regime ben monitorato. Lo spiega il professor Francesco Rodeghiero, già primario del reparto di Ematologia di Vicenza, attualmente Direttore Scientifico della Fondazione Progetto Ematologia.
LA DIAGNOSI DI ITP E I LIVELLI DELLE PIASTRINE
Il termine piastrinopenia (o trombocitopenia) esprime una carenza di piastrine, gli elementi corpuscolari presenti nel sangue che concorrono alla formazione dei coaguli in caso di rottura dei vasi sanguigni: se il numero delle piastrine circolanti è basso, il rischio di eventi emorragici cresce.
“Quando il conteggio delle piastrine scende sotto le 100mila unità per microlitro di sangue [i valori di riferimento vanno da 150mila a 400mila unità per microlitro, N.d.R.] si sospetta la presenza di ITP”, afferma Rodeghiero. In questa fase è di assoluta importanza distinguere la ITP primaria dalle trombocitopenie secondarie, ossia correlate a disordini linfoproliferativi (leucemia linfocitica cronica, linfomi non-Hodgkin, ecc.), a infezioni virali (HIV o virus di Epstein-Barr) o a malattie autoimmuni (anemia emolitica o lupus eritematoso sistemico), oppure indotte dall’assunzione di determinati farmaci. Pertanto, queste ed altre cause di carenza di piastrine vanno necessariamente escluse prima di formulare una diagnosi di ITP primaria. “Il laboratorio di analisi può svolgere un primo essenziale compito nel segnalare alle persone che presentano un livello di piastrine troppo basso di rivolgersi a un ematologo”, sottolinea Rodeghiero. “Il paziente deve essere subito visitato in modo che il dato clinico trovi riscontro in un corretto inquadramento diagnostico. Soltanto a questo punto potrà iniziare il percorso di cura, che deve tener conto di svariati fattori, non solo del conteggio delle piastrine”.
“Una volta diagnosticata la ITP - prosegue l’esperto - va considerato che la gran parte dei pazienti affetti da questa malattia non sanguina, perciò è importante effettuare una corretta valutazione del rischio emorragico: se il conteggio delle piastrine scende sotto le 30mila unità per microlitro, la probabilità di sanguinamento è più alta”. Come nel caso dell’uomo descritto nell’apertura dell’articolo, che scoprì di avere i classici segni della malattia, cioè delle microscopiche raccolte di globuli rossi, dette petecchie, in alcune regioni del corpo. La presenza delle petecchie e il drastico calo delle piastrine implica la necessità di ricorrere a un trattamento per riportare il livello delle piastrine entro i valori di normalità.
VERSO UNA TERAPIA CRONICA PERSONALIZZATA
“Il trattamento di prima linea per la trombocitopenia immune è rappresentato dai farmaci corticosteroidi, come il prednisone, da assumere per via orale su base giornaliera”, chiarisce Rodeghiero. “Nel giro di un paio di settimane, la conta piastrinica aumenta in due terzi dei pazienti e si può iniziare a ridurre il dosaggio iniziale; ma se dopo 7-10 giorni non si osserva una risposta soddisfacente bisogna interrompere subito il farmaco, per evitarne i possibili effetti collaterali, quali ipertensione, alterato metabolismo del glucosio e disturbi dell’umore”. Durante tutto questo periodo, la conta delle piastrine, così come la risposta al farmaco, va accuratamente monitorata dal proprio ematologo.
“Il concetto è di sottoporre a trattamento i pazienti che hanno un rischio emorragico importante o in grado di compromettere le loro normali attività”, commenta l’esperto vicentino. Di conseguenza, nel corso degli anni, si è resa necessaria una valutazione delle soglie che indicano l’entità del rischio di sanguinamento: un’esigenza motivata dalla diversità dei pazienti colpiti da ITP, che possono essere bambini di età inferiore ai 5 anni, adolescenti (magari dediti all’attività fisica), adulti fra i 20 e i 50 anni di età (la fascia più frequentemente affetta dalla malattia) o anziani in terapia anticoagulante.
“Nei pazienti con ITP non rispondenti all’uso moderato dei corticosteroidi si procede comunemente con una terapia personalizzata basata sulla tolleranza e l’efficacia dei molteplici farmaci oggi disponibili”, riprende Rodeghiero. “La somministrazione endovena delle immunoglobuline va riservata ai casi urgenti, a serio rischio di emorragia. Per raggiungere risultati duraturi sono disponibili degli anticorpi monoclonali - come rituximab - che distruggono i linfociti che producono gli autoanticorpi, oppure si ricorre alla splenectomia (rimozione della milza). Oggi, tuttavia, in caso di mancata risposta ai corticosteroidi si preferisce di gran lunga il ricorso agli agonisti dei recettori della trombopoietina, comunemente denominati TPO-mimetici [la trombopoietina, o TPO, è l’ormone che regola la produzione delle piastrine, N.d.R.]”.
TPO-MIMETICI: UN SALTO DI QUALITÁ NEL TRATTAMENTO
I farmaci TPO-mimetici si legano ai recettori per la trombopoietina presenti sui megacariociti (i precursori delle piastrine) e sulle cellule staminali ematopoietiche, inducendo l’attivazione di diverse vie di segnalazione (JAK-STAT, MAPK e PI3K-AKT) e favorendo così una maggior produzione di piastrine. I più conosciuti esempi di questa categoria di medicinali, che hanno rivoluzionato la qualità di vita dei pazienti con ITP, sono romiplostim, eltrombopag e avatrombopag, che si differenziano sostanzialmente per le modalità di somministrazione (il primo consiste in un’iniezione sottocutanea settimanale, mentre gli ultimi due si assumono giornalmente in compresse).
“Come detto, al fallimento della terapia corticosteroidea si fa generalmente seguire il trattamento con TPO-mimetici, che suscitano una risposta transitoria in oltre l’80% dei casi e una risposta durevole nel tempo in circa il 15-20%”, precisa Rodeghiero. “Tuttavia, come tutti gli altri farmaci, anche i TPO-mimetici hanno degli effetti collaterali, che sono stati e continuano ad essere oggetto di valutazione nel tempo”.
ATTENZIONE AL RISCHIO TROMBOTICO
All’ultimo Congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA), svoltosi quest’anno a Milano, sono stati presentati interessanti dati riguardo al rischio di trombosi nei pazienti con ITP che assumono TPO-mimetici. “Nonostante la comprovata efficacia, questi farmaci sono associati all’insorgenza di eventi trombotici”, spiega l’ematologo vicentino, che nel 2016 aveva trattato l’argomento in un articolo per la rivista American Journal of Hematology. “I colleghi intervenuti al Congresso EHA hanno calcolato il rischio cumulativo di esposizione ai TPO-mimetici e alla fine hanno osservato che esistono alcuni fattori collegati all’eventuale sviluppo di trombosi”, precisa Rodeghiero, riferendosi al più elevato conteggio delle piastrine, all’età avanzata dei pazienti, alla presenza di ipertensione e alla rapidità della risposta alla terapia.
“Dai dati emersi nel corso di precedenti studi si osserva che il tasso di eventi trombotici in persone con ITP in terapia con TPO-mimetici è fino a 4-5 volte più elevato rispetto a quanti, nella stessa fascia d’età, non fanno uso di questi farmaci. Si tratta di medicinali che hanno una grande importanza clinica ma devono essere usati con attenzione e sempre sotto il controllo di un ematologo esperto, che conosca molto bene la patologia”.
LE PIÙ RECENTI NOVITÀ TERAPEUTICHE PER LA ITP
Tra gli ultimi farmaci ad essere stati approvati, anche in Italia, per il trattamento della ITP cronica c’è fostamatinib, che agisce riducendo il tasso di distruzione delle piastrine mediata dagli anticorpi. “In due studi clinici di Fase III, questo farmaco ha già dimostrato una buona efficacia nel trattamento di pazienti adulti refrattari a precedenti terapie”, aggiunge Rodeghiero. “Inoltre, non sono stati segnalati eventi avversi legati a un aumento del rischio trombotico. Si tratta solo del primo di una lunga lista di farmaci che mirano a ridurre, attraverso meccanismi d’azione diversi, la produzione di anticorpi diretti contro l’organismo: una strategia usata con successo anche nel trattamento di varie malattie autoimmuni”.
Un altro farmaco recentemente approvato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) è rilzabrutinib, un inibitore orale della tirosin chinasi di Bruton (BTK), una proteina che svolge un ruolo fondamentale in molteplici processi patologici mediati dall’attivazione anomala del sistema immunitario. Nello studio clinico LUNA 3, rilzabrutinib ha dimostrato un impatto positivo sulla conta piastrinica, sul sanguinamento e su altri sintomi della trombocitopenia immune.