La lettera dei disegnini: la storia più struggente d’amore e distanza della Sicilia
Ci sono storie che non hanno bisogno di retorica per farsi strada nel cuore.
Storie che non puntano sugli effetti, ma sulla verità nuda di una vita semplice.
Quella che a volte sembra piccola, invece contiene un universo intero.
Questa è una di quelle storie.
La donna che non sapeva scrivere e inventò un linguaggio
Il 2 novembre 1973, in un piccolo paese siciliano, una donna – analfabeta – decise di scrivere al marito emigrato in Germania.
Non voleva uno scrivano, non voleva orecchie estranee tra sé e l’uomo che amava.
Così prese un foglio bianco a righe, respirò, e scelse la strada più antica del mondo: disegnare.
Un cuore trafitto da una freccia.
Quattro figurine in fila: lei e i figli.
Simboli politici. Pane, lavoro, fatica.
Una grotta con la stella cometa.
Segni semplici, ma potentissimi.
Una lettera fatta senza parole, eppure piena di voce.
Quel foglio, parte di un carteggio perduto, finì tra le mani di Gesualdo Bufalino, lo scrittore di Comiso, che provò a decifrarne il senso.
Non per presunzione, ma per rispetto: quella donna, senza volerlo, aveva creato poesia.
La decodifica struggente di Bufalino
Bufalino ascoltò quei segni come si ascolta un sussurro.
E ne trasse una ricostruzione che oggi è un piccolo patrimonio della nostra memoria collettiva.
Ecco le sue parole, tratte da La luce e il lutto (Sellerio, 1996):
“Anni fa – non molti, è bene saperlo in anticipo – un carteggio di raro tenore s’intrecciò tra due coniugi siciliani, lui emigrato per lavoro in Germania, lei rimasta in paese ad accudire la vecchia suocera e la giovanissima prole. Analfabeti entrambi e riluttanti a dividere con uno scrivano estraneo e venale i segreti della propria intimità (fossero effusioni d’affetto o notizie di spicciola economia domestica), i due sposi ricorsero, per corrispondere, ad un linguaggio di convenzione, un sistema di pittografie in sequenza, il cui senso risultasse intelligibile al destinatario.
“Amore mio caro, il mio cuore è trafitto dal tuo pensiero lontano, e ti tendo le braccia insieme ai tre figli. Tutti in buona salute, io e i due grandicelli, indisposto, ma non gravemente, il piccino. La precedente lettera che t’ho spedito non ha ricevuto risposta e ne soffro. Tua madre, colpita da un male, si trova in ospedale, dove mi reco a trovarla. Non temere che ci vada a mani vuote; né sola, dando esca a malelingue: m’accompagna il figlio mezzano, mentre il maggiore rimane a guardare il minore. Il nostro poderetto, ho provveduto che fosse arato e seminato. Ai due “giornalieri” ho dato 150.000 lire. Si son fatte le elezioni per il Comune. Ho votato Democrazia Cristiana, come il parroco m’ha suggerito. Per la Falce e Martello la sconfitta è stata grande: come fossero morti, in un cataletto.
Ma che vincano gli uni o gli altri, è tutt’una. Nulla cambia per noi poveretti: abbiamo zappato ieri, zapperemo ancora domani. Molte ulive quest’anno, dai nostri ulivi. L’uomo e i due ragazzi che ho assunto, l’uno per bacchiarle, gli altri per raccoglierle a terra, mi sono costati 27.000 lire. Altre 12.000 lire le ho spese per il frantoio. Ne ho ricavato tant’olio da riempire una giara grande e una piccola. Posso ricavarne il prezzo corrente che è di 1.300 lire al litro.
Amore lontano, il mio cuore ti pensa. Ora, soprattutto, che viene Natale e vorrei essere insieme a te, cuore a cuore. Un abbraccio, dunque, da me e dai tre figliolini. Arrivederci, amore caro, il mio cuore è tuo e ti sono fedele, unita a te come i nostri due anelli”.
Una lettera senza parole che dice tutto
Dietro quei disegni non c’è ingenuità.
C’è necessità.
C’è l’urgenza di mantenere un filo, di non far cadere il mondo quando la distanza diventa troppo grande.
È la Sicilia delle mani sporche di ulive, delle case basse, delle donne che tengono insieme la vita mentre gli uomini cercano futuro altrove.
È una storia che commuove perché è vera.
E perché ci ricorda una cosa semplice:
quando non hai le parole, l’amore inventa un modo di parlare.
Sempre.
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